giovedì 7 marzo 2024

11Analitici e continentali, sapere umanistico e scientifico.


 



In un suo ’articolo del 1932 (Uberwindung der Metaphysik durk logische Analyse der Sprache) Carnap polemizza contro la metafisica e contro quei termini che. non avendo alcun riferimento empirico o riconducibile, assumono significato metafisico. Nell’articolo il bersaglio polemico è soprattutto l’uso del termine ‘nulla’ in Heidegger di cui Carnap cita un passo tratto dal saggio [i] C'os’è la metafisica? del 1929: «indagato dev’essere l’ente soltanto e – null’altro; l’ente solamente e inoltre – nulla; l’ente unicamente oltre a ciò -  nulla. Come sta la cosa con questo nulla? … esiste il nulla solo perché c’è il Non, ossia la Negazione? O forse la cosa sta inversamente? Esiste la negazione e il Non esiste solo perché c’è il nulla?»[ii]  .

La conclusione di Carnap, dopo attenta disamina di espressioni contenenti il termine ‘nulla’, è che alcune proposizioni possono essere tradotte in equivalenti in cui il termine ‘nulla’ non compare mentre altre sono irrimediabilmente prive di senso o dotate di quel senso metafisico che le rende insensate o addirittura contraddittorie. A questo punto Carnap ricorda come la circostanza non sia affatto ignorata da Heidegger il cui commento, riportato da Carnap, è il seguente « “Domanda e risposta riguardanti il Nulla sono allo stesso modo, assurde […] La regola solitamente addotta, il principio di contraddizione esclusa, la logica in generale, sopprime questa domandaTanto peggio per la logica! Noi dobbiamo rovesciare la sua egemonia: se infirma il potere dell’intelletto nel campo delle questioni circa il Nulla e l’Essere, allora si decide con ciò anche il destino dell’egemonia della ‘logica’ all’interno della filosofia. La stessa idea della ‘logica’ si dissolve nel vortice di un interrogativo più originario” per poi concludere che il non senso metafisico sia un surrogato dell’arte.»[iii]

Lo stretto rapporti tra arte e filosofia è, secondo Carnap, confermata dal fatto che «proprio il metafisico dal più forte temperamento artistico che forse ci sia mai nato, cioè Nietzsche, ha commesso meno di tutti l’errore di questa commistione. […] Tuttavia nell’opera in cui egli esprime con la massima efficacia ciò che altri dicono per mezzo della metafisica o dell’etica, ossia in “Così parlò Zarathustra”, non sceglie l’equivoca forma teoretica, ma si decide apertamente per la forma dell’arte, la poesia.».[iv]

Nel P.S. Carnap annota che anche Hilbert nella conferenza Die Grundlegung der elementaren Zahlenlehre del 1930 così si espresse: «In una recente conferenza filosofica trovo questa proposizione; “Il nulla è la pura e semplice negazione della totalità dell’ente.” Questa proposizione è istruttiva per il fatto che, a dispetto della sua brevità, esemplifica tutte le principali violazioni che si possono commettere nei confronti di principi stabiliti dalla mia teoria assiomatica». 

Carnap parla di parole metafisiche senza significato, io preferisco parlare di termini ’Vaghi’. termini sconcertanti e soprattutto in sospetto di metafisica. Un sospetto grave almeno da quando Kant, inaugurando la Filosofia Critica, tentò di mettere al bando la metafisica e di tracciare un confine di senso epistemologico che cominciò ad assumere, prima con Frege, Tardoskyn e Meinong, poi con Russell, Wittgenstein e il neopositivismo, valenze logico-linguistiche sempre più forti. 

Il problema dell’identificazione del senso diventa nel secolo scorso un problema vivo in riferimento alle parole, ai concetti e alle teorie. Tanto più vivo quanto più si cerca di cercare di specificare il senso di quei termini ‘vaghi’ per i quali non si riesce a dare definizione esplicita ma ci si deve accontentare di un discorso di contesto.

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La questione delle definizioni dei termini “vaghi” sembra anche distinguere gli “Analitici” dai “Continentali”.  Secondo i primi le definizioni deve essere esplicite mentre per i continentali è ovvia l’accettazione di definizioni contestuali. Il Continentale in genere usa termini come ‘Essere’ e ‘Nulla’ senza porsi eccessive domande di senso o definizione, procedendo sicuro che sarà la discussione a dare un senso, non tanto alla parola, quanto al discorso complessivo. Al contrario l’Analitico cercherà sempre una definizione esplicita o almeno parzialmente esplicitabile. Tale definizione deve aggregare (secondo regole di una grammatica condivisa) termini di cui sia noto il senso. Siamo in sostanza alle prese con la logica del dizionario dove l’interdefinizione è obbligatoriamente circolare e dove, per uscire dalla circolarità, si deve approdare a un sistema di termini indefiniti primitivi o a contesti extralinguistici.

Non avviene dunque a caso che i Continentali approdino spesso a filosofie avverse a ogni tipo di fondamento e che gli Analitici si affidino all’assiomatica, a termini primitivi e, nel caso del neopositivismo, a regole di formazione e trasformazione di “protocolli” empirici, Non avviene dunque a caso che i continentali approdino spesso a filosofie avverse a ogni tipo di fondamento e che gli Analitici si affidino all’assiomatica, a termini primitivi e, nel caso del neopositivismo, a regole di formazione e trasformazione di e su protocolli empirici, generando spesso  infernali meccanismi di proliferazione  il cui meccanismo è il seguente: Si costruisce una teoria sul mondo e ci si chiede se è vera; per rispondere a questa domanda bisogna, però, sapere cosa si intende per "verità" e quindi avere una teoria a questo riguardo. In tal modo avremo non più una sola teoria, ma due ed entrambe dovranno, essere giustificate da altre teorie e queste, a loro volta da altre. In fondo la teoria di Tarski produce questo meccanismo; costruisce una semantica per il concetto di "verità" e ottiene come risultato una gerarchia senza fine di linguaggi, ciascuno con il suo concetto di verità. Ognuna di questa verità verrà definita, sempre, nel linguaggio di ordine superiore. Questo è il meccanismo gerarchico che genera mostri come le antinomie, le cause incausate, i motori immobili.

A questo punto, però, il dilemma non sta nell’accettare condanne di inquinamento metafisico o, in alternativa, il modo di procedere “continentale”, ma, constatando come quest’ultimo mostri un’organizzazione interna a feedback con caratteri di circolarità, nell’inaugurare uno studio della logica circolare, dove la cibernetica, che, per la sua struttura, non genera antinomie o cause incausate, può molto aiutare.

 Siamo comunque di fronte a concezioni profondamente antitetiche che, a mio parere, sono connesse all'opposizione cultura umanista cultura scientifica.  

in un paese come il nostro dove pressoché tutte le facoltà di filosofia sono impostate sulla cultura umanistica, la questione è ancora più seria.  Non così né in Germania, ( Heidegger e Carnap) e neppure in Francia e in Inghilterra. E' una nostra anomalia culturale?  

Ezio Saia


 

[ii] Tratto da Carnap Il superamento della metafisica mediante l’analisi del linguaggio. Saggio inserito ne Il Neoempirismo U.T.E.T, 1969, p. 504

[iii] Id. p. 519

[iv] Id. p. 531

lunedì 4 marzo 2024

12 Imperi dei diritti - Illuminismo imperiale

 



Si parla esplicitamente, di solito, di imperi religiosi e imperi totalitari, ma, se questi hanno monopolizzato questa stratificazione, essa è più o meno presente, magari temporaneamente e marginalmente in tutte le forme di potere politico; anche nelle democrazie specialmente oggi, in cui assistiamo ad assestamenti imperiali tipo UE che vanno di pari passo con la decadenza della democrazia del voto e con la costruzione di realtà politiche fastose e assimilatrici che si presentano come democrazia dei diritti, (diritti naturalmente universali.)

La parola diritti compare con ossessione paranoica e sono sempre diritti che si vogliono Universali, incontestabili, indici di civiltà, eterni, esistenti da sempre, anche se negati: l’impero dei diritti non è meno imperiale degli altri imperi

Mentre i grandi illuministi si dedicavano, con l’Enciclopedia, a conoscere e divulgare le conoscenze degli operai, degli artigiani, degli agricoltori, rivolgendo l’indagine non verso l’universale assimilatore, ma, come già secoli prima con Ugo da San Vittore, verso le sapienze dei muratori, dei fonditori, dei cuochi, altri illuministi guardavano all’universalità dei diritti e dei doveri.

Una spinta fanatica verso una forte e falsa idealità diretta verso la predicazione di principi, diritti e doveri universali, indipendenti dalle cultura, dalle storia e dalle credenze concrete in cui ciascun uomo, con la sua famiglia, con la sua comunità, con i suoi avi, era cresciuto, come se il mondo fosse una tabula rasa e gli uomini esseri astratti e non fatti carne, con un passato, gioie, dolori, credenze, affetti, divinità.

Fu la nuova ribelle corrente del pensiero romantico ad avvertire costoro: “Guardate che esistono la storia, le tradizioni, le educazioni, le religioni. Siamo uomini che vivono nel loro tempo, con la loro carne e le loro convinzioni, non esseri fatti di creta plasmabile come volete voi.

Non abbisognano tante citazioni per capire la situazione; basta quell’Imperativo categorico di Kant che nella sua Critica della ragion pratica prescrive: Agisci in modo che la massima che guida la tua azione possa valere come principio di legislazione universale.

Ma su Kant per ora rinviamo il discorso.

Oggi siamo, con l’impero UE, nella stessa situazione Nulla di strano che emerga nelle posizioni di comando la più squallida mediocrità, nulla di strano che, fin dalla seconda metà del secolo scorso, arte, poesia, inventività siano pressoché scomparse.

Che diversità dal miracolo e dalla sfolgorante attività artistica e intellettuale delle città greche e rinascimentali.

 

10 Ucraini e russi

 


I giornalisti dell'élite sono sempre lì a scrivere o raccontare in televisione che la Russia è in difficoltà, e che la Russia si sta ritirando: oggi un chilometro, ieri due, ieri hanno issato la bandiera sul campanile? Quale? quello che era caduto? Sì, ma l’hanno tirato su in quattro e quattr’otto con l’eroismo di Zelensky. Santo Zelensky….  l’altro ieri si sono ripresi un intero villaggio. Mica metà! Intero, tutte le sette  case. Zelensky di qui,  Zelensky di là. Vincerà la guerra? Come no! La vincerà e  caccerà Putin.

Come non si può non ricordare che già nei primi giorni, dopo il  primo sistema di sanzioni, c’era chi infallibilmente prevedeva il fallimento della Russia in una settimana! poi dopo due settimane, poi entro un mese. Poi altre sanzioni, altre sanzioni, altre sanzioni e via di questo passo, a cui seguivano le solite litanie, entro una settimana, due, tre: con queste non può reggere, Putin è malato, i russi si ribellano e lo detronizzano, i russi fanno la fame, i supermercati sono vuoti, il burro costa come l’oro, non durerà un altro mese. Certo la Russia fallì ma aveva i soldi e l'Occidente non li ha voluti. Una comica degna di Totò, che rivoltandosi nella tomba rideva e diceva: “Ancora mi copiano”

Tutti questi esperti che puntualmente sbagliavano e sbagliavano e ri-sbagliavano, erano saggi, studiosi, colti o Sibille fasulle o più semplicemente ignoranti e cretini? O ciechi, che non vedevano le croci uncinate tatuate sui corpi ucraini ma li vedevano in Italia perfino nei formicai? 

Stanche di dire “fallirà in una settimana, min due in tre in un mesi in due mesi, s’accordarono  sulla definitiva sentenza. “ Lo faranno nel lungo periodo.” 

E intanto fiorivano gli intellettuali in tivù. Era divenuta virale una battuta di non so quale giornalista americano. “Gli americani combatteranno i russi fino all’ultimo ucraino.” bella frase e realistica  ma l'intellettuale di turno, con la voce del padrone, ribatteva idiotamente “Non sono gli americani ma i russi che stanno sterminando gll’ucraini.” 

A costoro vorrei chiedere: “quando i nostri generali ordinavano ai nostri poveri fanti, durante la prima guerra mondiale, l’attacco e quelli uscivano dalle trincee al grido: SAVOIA, SAVOiA, correndo a farsi ammazzare e senza fermarsi perchè da dietro altri fanti italiani avevano l’ordine di sparare nelle loro schiene, se si fermavano. Chi uccideva? Cadorna? Gli austriaci?  Chi uccide oggi là con armi in campo ben più micidiali? Zelensky, Biden, Putin?

Ce lo dice un’altra circostanza storica. L'America con la NATO o senza Nato ha perso tutte le guerre, a cominciare da quella della Corea. Cuba, la fuga da Cuba, il Vietnam la fuga dal VIetnam nonostante la macelleria sistematica, bombe, le bombe, le bombe e napalm un disastro terminato dopo centinaia di migliaia di morti, invalidi, mutilati con una vergognosa fuga della “La tigre di carta” - così la chiamava Mao - con la coda fra le gambe, abbandonando all’ira vietcong i vietnamiti che avevano collaborato.

Dopo il Vietnam, l’infinito disastro di vent'anni in Afghanistan e concluso con una fuga ancor più vergognosa, poi la Siria, l’Iraq e in America latina le dittature imposte in CIle e in Argentina e i Contras in Nicaragua.   Disastri dappertutto, la grande potenza umiliata nel mondo e in Sudamerica dove tutte le dittature imposte sono crollate. Di qui l’esigenza di cambiare strategia: “Visto che il nostro esercito non vince, facciamo combattere gli altri e noi via con le bombe e le sanzioni: bombe, bombe, bombe, sanzioni, sanzioni, sanzioni come in LIbia, Serbia e Ucraina . 



Ma supponiamo pure che gli ucraini (o la NATO o gli americani o Zelenski) riescano a riconquistare tutto, compresa la Crimea. E poi? Poi che faranno? 

 Napoleone, conquistata Mosca, dalla quale l’esercito russo s’era ritirato appiccando gli incendi che la stavano divorando, e lasciandoli al freddo di morte - era convinto che, persa Mosca, lo Zar sarebbe accorso ad arrendersi. Sicuramente lo Zar sapeva di questa balorda illusione e altrettanto certamente se la rideva tra sé e con la corte. “Magari” avrà commentato: “mandategli un emissario dello Zar di tutte le Russie che dica a quel cretino che lui ha appena messo un piede nella nostra immensa Russia. Che venga, che venga, lo stiamo aspettando ma per favore non si prenda troppo tempo. Ora i suoi soldati si stanno scaldando con il fuoco di Mosca ma presto torneranno a provare il nostro tremendo freddo – probabilmente, questo disse o qualcosa di simile, addentando tranquillo la sua coscia di pollo, mentre Napoleone con il suo esercito stremato, era già in fuga, disordinata, incalzato dai soldati russi che non davano tregua., fino al disastro della Beresina.

Il secolo successivo fu Hitler coi suoi nazisti a  farsi la loro passeggiata in Russia. Una al secolo, poveri e derelitti europei.

 Napoleone aveva fatto una brutta fine ma, santo cielo, era stato veloce e solo l’inverno l’aveva battuto. Un problema che non esisteva per Hitler e i suoi generali. Quel povero esercito di napoleonidi aveva dovuto farsi tutta la strada a piedi, tranne quei pochi privilegiati seduti sul cavallo: - Eppure sono andati veloci e figuriamoci noi con i nostri panzer, i nostri camion, le nostre motociclette. Saremo veloci come la luce, sarà una guerra lampo e quando torneremo, qui ci diranno:  "Siete già qui?”

Ma quel  Stalin l’aveva fatta dura e feroce. I russi combattevano ma non si arrendevano, si facevano insaccare, come cretini, ma intanto l’esercito tedesco doveva fermarsi a snidarli e il tempo passava. “Sconcertante e folle” dovevano commentare fra loro i generali  tedeschi “Si intestardiscono e preferiscono sacrificare centinaia di migliaia di uomini, piuttosto che ritirarsi ed evitare l’accerchiamento. Se continua così  non resterà vivo neppure un soldato russo. Coraggio! Avanti! Bene così” ma la terra russa non era paragonabile alla terra francese. Lì  tutto era dominato dall’immensità della madre Russia e dal suo terribile clima. Non si sa cosa passava nella testa di Stalin e dei suoi generali che sicuramente soffrivano a vedere tutti quei soldati russi morti o fatti prigionieri, ma  l’ordine tassativo di Stalin era di non arretrare, di non cedere neppure un palmo di terreno e di morire combattendo. Stalin ragionava in conformità alla terra madre russa, all’enormità dal terreno dal confine a Vladivostok e non cedeva, mentre  intanto il tempo passava, ogni giorno l’inverno si avvicinava e, prima dell’inverno, come è sempre avvenuto da che mondo è mondo, sarebbe arrivato l’autunno con le sue piogge. E le piogge finalmente arrivarono.

Non so che si aspettassero gli eserciti tedeschi ma certo non trovarono comode strade d’asfalto o comunque piastrellate. Non fu così e le strade si trasformarono tutte in enormi insuperabili pantani, che bloccarono l’avanzata. 

I carri , i panzer, le moto, pesanti com’erano, creavano solchi e affondavano, bloccandosi e mettendosi di traverso, sicché li si doveva spingere a mano, spingere un carro con un altro carro, finché anche questo si impiantava. Un disastro che i tedeschi neppure lontanamente immaginavano. Alla fine i mezzi impantanati venivano spinti fuori  strada, mentre ancora tutta la carovana era ferma e, fermandosi. affondava nella melma e non ripartiva. I tedeschi ora cercavano cavalli per farsi aiutare e sicuramente invidiavano l’abbondanza di cavalli dell’esercito di Napoleone 

L’esercito ora avanzava ma avanzava a fatica; la guerra lampo era un ricordo e gli ufficiali cominciavano a riflettere sui loro morti. Più di un milione fra morti e mutilati, un macello infinito e i Russi non parevano finire mai. Morivano, morivano ma ne arrivavano sempre altri. 

Poi arrivarono finalmente il gelo e le strade gelate , su cui i carri tedeschi potevano fare presa e non affondare. L’avanzata riprese e, con l’avanzata, l’ottimismo ma durò poco, il termometro cominciò a scendere, per poi scendere a precipizio. I tedeschi e gli alleati conobbero il freddo russo che scendeva fino a quaranta sotto zero. Un inferno micidiale. I soldati impararono che non potevano urinare all’aperto perché l'urina e il pene ghiacciavano e si staccavano. L’inverno era arrivato, i soldati non avevano neppure le divise invernali, l’illusione della guerra lampo era svanita nel gelo e gelavano anche i pensieri . Mosca ora era vicina a portata di mano, ma quel diavolo di Stalin aveva fatto arrivare i siberiani, soldati imbacuccati e coperti di pelliccia bianca. Nella neve non li vedevi neppure. E l’esercito Russo ora, davanti a Mosca, sfuggì all’accerchiamento e non si fece più insaccare. Stalin si preparava a difendere Mosca con i militari e con i civili che scavavano una trincea dopo l’altra. 

Mosca faceva paura e Stalin aveva fatto spostare le fabbriche in qualche posto al di là di Mosca. I tedeschi sapevano bene che  le città e i villaggi avevano combattuto prima di arrendersi, quando il fronte era ormai lontanissimo. A  Mosca si sarebbe combattuto strada per strada. La città di Stalin non si sarebbe mai arresa e i russi sarebbero spuntati dietro di loro da tutte le parti come ormai dovunque alle loro spalle spuntavano e sparavano i partigiani. Forse Hitler incrociava le dita e aveva ben ragione di farlo.  Leningrado resisteva e il tentativo di conquista di Murmanskea, unico e vitale porto al quale approdavano gli aiuti occidentali, era fallito, manifestando, se mai ce n’era bisogno, l’enorme anomalia della Russia.

 

I tedeschi avevano studiato la cartina volevano a tutti i costi quel porto militarmente più importante di Leningrado e Mosca. Sulla cartina avevano individuato la strada, contorta ma chiara. S’inerpicava sulla montagna che dominava il porto e scendeva dalla cima fino alla città. Anche in questo caso si erano probabilmente detti, non una passeggiata ma quasi e avevano inviato forze ben al di sopra del necessario, perché il porto doveva cadere velocemente nelle loro mani, a tutti i costi. per bloccare gli aiuti e le armi americane. Ma la strada non c’era. La cercarono e trovarono a malapena un sentiero ormai invaso dalla vegetazione. Pensarono che la mappa riportasse come strada quel sentiero ma anche questa interpretazione risultò fasulla. Solo più tardi conclusero che la cartina non era un falso ma che quella strada riportava il percorso dei fili del telegrafo, anch’esso abbandonato. Ora a Murmanskea arrivava la ferrovia ma per giungere alla ferrovia dovevano conquistare Murmanskea.

Un soldato tedesco racconta come e quando in lui crollarono le speranze.

Siamo in piena estate quando a sud i tedeschi cercavano di arrivare al petrolio, inseguendoli in pianure brulle, soffocanti, polverose o in interminabile pianure di grano e di girasoli. Quelle pianure sterminate col suo gelo invernale, il suo asfissiante caldo estivo, le sue distese di steppe, polverose e deserte o coperte di grano o di girasoli- racconta un soldato tedesco - i russi ce l’hanno nel sangue da quando nascono e da innumerevoli secoli prima che la follia omicida della patria romantica si affacciasse alla cultura occidentale.

 Come i tedeschi raggiungevano i fiumi, piccoli o grandi,  trovavano valli ubertose, verdi, coltivate con gente accogliente. Lì non c’erano né polvere né girasoli ma uova in quantità, carne, polli, latte, formaggio, vino, vodka e pane in quantità. E il Paese di bengodi lo erano veramente quelle valli lunghe, larghe e infinitamente verdi.

“E dire”, pensavano i tedeschi, soprattutto i loro capi“, che di qui è già passato l’esercito russo e ha fatto man bassa. Chiedevano dei russi ma gli abitanti rispondevano: “Soldati russi? Mai visti. Neppure uno” dicevano allegri e non si sapeva se raccontavano palle o se veramente l’esercito russo era passato chilometri sotto o chilometri sopra.

E’ probabile che i comandanti dei tedeschi abbiano pensato “L’immensa Russia è piena di sorprese e ricca. Come possiamo pensare di batterli? Adesso siamo lontanissimi da casa, non ce la ricordiamo neppure più e dobbiamo continuamente fermarci per aspettare rifornimenti che non arrivano mai, o arrivano marci. Mentre qui si muore di caldo e tutto si scioglie; quei cretini laggiù sono capaci di farci ora arrivare i cappotti invernali.”

 Forse questi pessimistici pensieri erano ormai insediati in tutte le loro teste: “La grande Russia l’abbiamo appena toccata. Troppo grande per conquistarla”, specialmente ora che hanno imparato a ritirarsi. Per quanto? All’infinito.”

Quella Russia era troppo grande per loro e sarebbe stata la tomba per tutti.

 

Gli ardenti profeti e missionari della democrazia pensano che andrebbe in tutt’altro modo, ma la storia non ci insegna una simile visione e l'America da sola o con la NATO ha perso tutte le guerre dove ha inviato il suo esercito a conquistare. Per questo ha cambiato. Ora, sanzione, bombe e poveri cretini che a terra si fanno ammazzare per l’Occidente.  In ogni caso la speranza che Putin, o chi per lui, venga a Canossa, ad arrendersi e inchinandosi al Comico  accompagnato dai criminali NATO, e da tutti i nostri giornalisti, dica:  “Perdonami, la Russia è tua?” è del tutto illusoria. 

I russi pensano: “Anche se la proiezione di Mercatore esagera, la Russia è immensa, “Tanto immensa da seppellire con onore i suoi venti milioni di morti contro l’aggressione nazieuropea e gli altri milioni di morti che farete con la prossima invasione. Mi correggo: non ‘prossima invasione’ ma ‘prossima disastrosa invasione’: la sterminata Russia ha sepolto già i tedeschi, le SS ucraine, quelle tedesche, i tedeschi, i rumeni, gli Italiani, i Francesi. Venite c’è posto per tutti, non solo per i nostri morti. “E’ grazie ai venti milioni di morti russi se oggi Biden e Zelensky  non ubbidiscono a Hitler. E dire che il vostro Patton, vinti i tedeschi, voleva subito imitare Napoleone e Hitler. Santo dio, un po’ di pazienza, cari americani, cara UE, cara Nato, aspettate almeno un altro centinaio di anni.”