venerdì 29 novembre 2019

4 Sovranismo Capitolo 4 de Il manifesto degli incivili

La superficialità di pensiero delle spadroneggianti élite hanno coniato il termine "sovranismo" accoppiato a termini irridenti e squalificanti come barbarie, populismo ecc. Come hanno potuto, davanti allo sfacelo che dal duemila con la successione dell’abbattimento delle torri gemelle, con la bolla della New economy e infine con la crisi dei sub-prime che hanno portato alla rovina imprese coi loro lavoratori, negozianti, artigiani, non riuscire ad altro che tacciare di populismo e sovranismo i tanti rovinati dalla crisi? Quelle crisi agivano su un tessuto economico fortemente inquinato, ferito, infragilito, profondamente infetto dalla mondializzazione, dalla libera circolazione delle merci fra stati con enormi differenze nei costi della produzione.
Tanti negozi chiudevano; non vendevano l’attività, come era sempre accaduto, ma liquidavano ciò che potevano e chiudevano. L’incasso della vendita dell’attività che aveva sempre costituito la loro liquidazione per la vecchiaia, spariva senza una lira, spesso dopo aver sacrificato gli ultimi risparmi per mantenere in piedi l’attività, che avevano portato avanti per tutta la vita. Chiudevano nella disperazione o, peggio, fallivano lasciando altri debiti, altri insoluti, altre sofferenze per i fornitori. Il destino peggiore capitava a chi aveva da pochi anni, una decina o meno rilevato un’attività redditizia non immaginando la via che avrebbe preso per loro l’economia. Altrettanto succedeva alle piccole e grandi imprese artigiane alle ditte impossibilitate a far fronte ai prodotti che venivano dagli ex paesi comunisti, dei poveri paesi orientali, che stavano invadendo coi loro prodotti a basso prezzo il mercato italiano. Per piccole e grandi unità produttive la via di salvezza era il trasferimento, la “delocalizzazione” termine nuovo che nascondeva nella sua complessità di significati, la perdita del lavoro dei dipendenti delle attività “delocalizzate”
Un destino che si condensava nella mancanza di introiti per gli autonomi e per i dipendenti che perdevano il lavoro. I più anziani, nei casi più fortunati, riuscivano ad accedere a una pensione minima, i più sfortunati a una condizione senza pensione e senza stipendio. Addio alle speranze di far studiare i figli, addio, spesso, alla possibilità di curarsi e di far curare i famigliari.
Questa è per difetto la situazione che hanno portato a una vera macelleria di suicidi di cui le élite si sono guardati bene dal dare il numero totale. Questo è lo stato di cose che ha distrutto il 25% della nostra attività manifatturiera, questo lo spettacolo che si è offerto ai cittadini, ai lavoratori, ai padri di famiglia, ai figli disoccupati, alle famiglie alla sbando, alla discesa sotto la soglia della povertà.
Il tutto mentre un ministro di sinistra non trovava di meglio di definire bamboccioni i giovani che restano i famiglia e parlare di “tasse bellissime”. Non a caso un ministro di sinistra di quella sinistra che, dopo il colpo di stato Leone, si era rifugiata sotto le ali protettrici dell’elite dell’Espresso. Questo mentre un presidente della sinistra affidava il governo a un elitario professorone che lanciava la famigerata riforma della pensioni, nel completo disinteresse di chi veniva a trovarsi senza lavoro e senza pensione.

La liberalizzazione dei commerci ha avuto complessivamente un effetto benefico quale non si era mai visto; il passaggio a un’economia liberalizzata nel mondo ha redento dalla povertà in Cina, in India, in Vietnam e in genere in tutti le società dei paesi asiatici che si sono aperti al commercio mondiale. Quanti? Attendiamo che ce lo dicano ma si parla di numeri al di sopra dei cinquecento milioni.
Questi paesi si sono arricchiti ma l’effetto sulle economie occidentali, sui loro cittadini, sulle loro industrie manifatturiere è stato devastante, mentre gli elitari governi dell’occidente guardavano non solo impotenti ma pronti a permettere il suicidio di alcuni per salvaguardare il loro establishment ‹ e le loro élite, quelle che nel disastro non sono state toccate è hanno continuato ad abbeverarsi ai soldi degli altri cittadini. Elite mantenute dalle nostre tasche che hanno continuato a riscuotere i loro stipendi a spese nostre. Parlo dei giornalisti, dei teatranti, delle regioni a statuto speciale, dei giudici, delle università, della mafia del liceo classico e del greco, di molti statali e docenti, delle corti delle tivù, del parlamento, della presidenza della repubblica, della corte costituzionale.  
E mentre l’Asia cresceva, sull'Africa e sul medio oriente si abbatteva l’infame peste dell’Islam guerriero e l’invasione proveniente dall'Africa povera.

Non era certo difficile, per gli artigiani, per i dipendenti delle fabbriche, dei negozi che chiudevano o delocalizzavano, individuare i colpevoli del disastro che era caduto sulle loro teste. Non era difficile certo per l’Establishment, per le élite che governano, per quelle maledette élite, che facevano finta di non vedere neppure i suicidi, pronti però a bollare chi protestava di ignoranza, qualunquismo, barbarie, populismo, sovranismo. In questo erano campioni come sono campioni ancor oggi a proteggere i loro salotti, i loro giornalisti, i loro saltimbanchi, i loro piffero-suonatori, i loro direcstar, i loro registar, a spendere i soldi per opere “artistiche” che potrebbero reperire gratuitamente nell'immondizia.
Quei cittadini danneggiati, quegli operai, quegli impiegati, quei commercianti, non sono stati difesi.
Abbiamo permesso  che la fabbrica delle caffettiere andasse a costruirle altrove, quando avremmo dovuto creare un marchio d’invenzione italiana che le conservasse come patrimonio culturale. Abbiamo permesso che una disgraziata fondazione guidata da dilettanti mandasse in malore la più antica banca del mondo a Siena, quel monte dei Paschi, gloria italiana rinascimentale che avrebbe dovuta essere trattata come il Colosseo, come bene artistico e culturale. Un deficit culturale che affligge da sempre il nostro establishment e le nostre élite.  

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