domenica 25 ottobre 2020

25 Giornalisti infami Camilla Cederna Il presidente Leone. Colpo di stato date da Wikipedia



Se un altro personaggio contende con l’editore Einaudi, con gli odiosi Crespi e Ottone la palma di fondatore del partito, élite-radical-chic- società civile questo è senz'altro l’odiosa e squallida Camilla Cederna.
Quello che scriviamo si trova in qualsiasi libro di storia contemporanea o in qualsiasi enciclopedia alla voce “Leone”. Ci limitiamo a un richiamo e ad aggiungere un po’ di prezzemolo qua e là.
Dunque, il 15 giugno del '78 Leone si dimise. Abbandonato anche dal suo partito, il cui segretario Zaccagnini, (un uomo onesto schiacciato da un enorme complesso d’inferiorità morale e da un'irrimediabile sudditanza psicologica e morale verso il P.C.I. di Berlinguer) gli impedì di difendersi come Presidente della Repubblica, oggetto, tanto lui che i suoi famigliari, di una campagna di denigrazione, accuse, insulti senza precedenti, non poté che dimettersi. Lo fece per potersi difendere. Lo fece per difendere l’istituzione “Presidenza della repubblica”, lo fece per dare una lezione di moralità ai suoi accusatori.
Quali le accuse? Quali gli accusatori?
Le accuse erano molte ma la più grave riguardava la vendita all’esercito italiano da parte dell’americana Lockheed degli aerei per trasporto truppe Hercules C130. Leone aveva la grave colpa di essere amico dei fratelli Lefebvre, rappresentanti in Italia della ditta Lockheed e accusati di aver distribuito mazzette per portare a buon fine la vendita. I percettori delle Mazzette risultarono tra gli altri i ministri Tanassi e Gui, il primo socialdemocratico, il secondo democristiano e un uomo politico indicato come “antilope coppler”, letteralmente “ciabattino d’antilopi” che si trasformò velocemente e abusivamente in “antilope goppler”, “sbranatore d’antilopi”, ossia in leone, ossia in Giovanni Leone, presidente della repubblica italiana e amico dei fratelli Lefebvre.
La campagna stampa fu orrenda. Vi parteciparono, tra gli altri, Nino Pecorelli, direttore del giornale OP e i radicali Bonino e Pannella, ma la vera protagonista, l’eroina, l’anima nera, l’accusatrice impietosa e infame fu la giornalista Camilla Cederna.
Perché tanta ostilità? Lasciamo per ora in sospeso la questione e limitiamo a rilevare che:
1) nessun del partito democristiano osò essergli pubblicamente solidale, nessuno osò dichiarare che nessuna di quelle accuse stava in piedi,
2) come oggi riconosciuto da tutti, anche da accaniti accusatori, come i radicali Pannella e Bonino, fu una delle pagine più meschine, vigliacche, infami della storia democratica della prima repubblica, che registrò anche una meschina campagna di fotomontaggi per gettare fango sulla moglie Vittoria.
L’ESPRESSO, che divenne per questa e altre vicende capofila di un vero partito politico d'élite) montò una micidiale campagna incentrata fra l’altro sull'amicizia con i LEFEVRE senza mettere in evidenza che non fu un’amicizia fra LEONE IN QUANTO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA e uomini d’affari come si riuscì a far credere ma un’amicizia FRA COLLEGHI D’UNIVERSITÀ. Leone e Lefebvre erano colleghi d’università e addirittura, a quanto sembra, coautori di un testo universitario.
La micidiale campagna scandalistica, denigratoria del settimanale culminò con la pubblicazione dei primi capitoli del libro della Cederna.
Il libro della Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente si rivelò decisivo. La veemenza dello scritto, la ferocia delle accuse al presidente e ai suoi famigliari, la fama della giornalista, l’impressione, abilmente insinuata, che i suoi stessi colleghi, tanto della D.C. che del Parlamento fossero consapevoli dell’indegnità del presidente, la morbosità della vicenda, fecero sì che il libro, vero anticipatore della lega nel suo disprezzo per la cultura popolare meridionale) vendesse più di seicentomila copie. Ma chi era Camilla Cederna?

Dal '58 all'' 81 è a L'espresso come inviata e come titolare della rubrica di costume "Il lato debole". E’ un periodo in cui la Nostra, relativamente lontana dalla politica, è brillante commentatrice-fustigatrice di costumi non elitari, feroce coi parvenu, con quegli impresari che contribuirono al miracolo economico italiano. Col generale risveglio del ’68, s’incrementa la passione per la politica che esploderà con la strage di Piazza Fontana. La Cederna pubblica un'inchiesta sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, fermato per accertamenti e morto precipitando da una finestra di un ufficio della Questura milanese ed è nel ’71 ispiratrice della lettera aperta pubblicata dall’Espresso contro il commissario Calabresi sul caso Pinelli. Pochi mesi dopo, il commissario Luigi Calabresi viene ucciso di fronte alla sua abitazione e molti vedono nelle sue dure quanto infondate insinuazioni della giornalista il fiammifero da cui era partito l’incendio. Un’accusa che il prefetto Libero Mazza non esita a rivolgerle durante un colloquio-conferenza avvenuto nello stesso ospedale dove giace la salma del commissario Calabresi.
Scrivono sull'articolo-celebrazione pubblicato su Corriere della sera alla sua morte che, inviata dall'Espresso a una conferenza  stampa del questore sulla morte di Pinelli e sull'arresto di Valpreda, la Cederna fiutò “imbarazzo e grossolane bugie. Vuole vederci chiaro, guarda dietro alle apparenze, si indigna (è l'indignazione civica la sua bussola politica, non l'ideologia) e scrive. Gli articoli, i capitoli del libro - inchiesta Pinelli, una finestra sulla strage, non sono per nulla accomodanti sul commissario Calabresi che verrà più tardi, letteralmente linciato da Lotta Continua e successivamente verrà ucciso. Camilla si ritrova pesantemente coinvolta, per quella incivile frase del questore ("Mandante morale dell'omicidio Calabresi"). La chiamano "carnivendola".
L’accusa, ribadita da Vittorio Sgarbi in una trasmissione televisiva nel 1991, indusse gli eredi a intentare contro di lui un procedimento di risarcimento danni che si concluse in Corte Suprema (2005) con l’assoluzione di Sgarbi a cui fu riconosciuto a Sgarbi il diritto di critica.
Dopo il capolavoro carnivendolo di disinformazione e di odio su Calabresi venne un secondo capolavoro con la vicenda Leone. Un capolavoro di idiozia, di disinformazione e di bugie, si disse, basato sul nulla o meglio sulle bugie politiche del giornalista Mino Pecorelli titolare dall'agenzia "OP" ritenuta vicina ai servizi segreti deviati. Quegli stessi servizi deviati, forse, autori di quelle false ricostruzioni fotografiche con le quali si cercò di infangare la moglie. Dopo questa disastrosa campagna di Stampa venne, sempre in collaborazione con e sull'Espresso, l’orchestrazione della campagna scandalistica contro Leone e i suoi famigliari culminata nel libro Giovanni Leone. La carriera di un presidente che con le sue oltre 600.000 copie fu determinante per la sua caduta. Essendo stato impedito al presidente di difendersi tramite l’avvocatura dello stato con procedimento penale contro l’autrice, furono i suoi famigliari a farlo con querela.
La Cederna perse le cause, fu condannata per diffamazione, fu inflitta a lei e al suo giornale L'espresso una pesante multa, fu decretata la distruzione di tutte le copie del libro. La giornalista e il settimanale lEspresso non furono solo condannati dalla magistratura ma persero anche politicamente con l’opinione pubblica. Leone sarà riabilitato integralmente. Nulla di ciò di cui era accusato dalla Cederna era vero. Per questa bruttissima pagina (che fu scritta soprattutto dalla Cederna e dall’Espresso) i radicali  Bonino e Pannella chiesero ufficialmente scusa. Scuse tardive come tardivo fu il riconoscimento del presidente della repubblica Napolitano che pubblicamente manifestò il suo dispiacere per la grave ingiustizia che ebbe a subire il Presidente Giovanni Leone e la sua famiglia.
Nessuna riflessione fu invece avviata sull'enormità di ciò che era accaduto. Nessuno ebbe il coraggio non solo di dire ma anche di pensare che con la deposizione di Leone era stato portato a termine il primo colpo di stato del dopoguerra. Nessun parlamentare o partito propose la sua rielezione come presidente della repubblica.
Ciò che mancò fu quel pubblico dibattito, quella guerra democratica, quella interazione capace di creare nuovi soggetti e nuovi significati di cui nutrire la democrazia.
Scrive ancora il Corriere della sera nell'elogio funebre:
“"Radical chic" l'hanno definita i suoi nemici e certamente lo era: di sinistra e insieme di casa tra la bella gente. Ma anche se a suo tempo lo si faceva passare per una grave macchia, oggi, ad acque passate, il peccato sembra del tutto veniale. E comunque lei stessa - almeno in tete a' tete - tranquillamente e civettuolamente era disposta ad attribuirselo.”
Carino quel “civettuolo” a proposito di una spregevole giornalista autrice di tante nefandezze. Incomprensibile che non fosse in galera dopo un colpo di stato e dopo aver distrutto un presidente della repubblica. Con che diritto in una democrazia non era in galera?
Per l’incredibile potere di sputtanare, di demolire impunemente una persona, un personaggio politico, un altro giornalista, un commissario di polizia, riservato a quell’infame elite dei giornalisti che si autodefiniscono una colonna della democrazia, ma che sono in realtà una colonna chiusa, arroccata nel loro castello di privilegi, finanziata dallo stato e dai contribuenti in maniera indecente e protetta da una democrazia che a questo punto fatica ad essere considerata una democrazia.
Se non è democrazia quella di Putin che perseguita i giornalisti che lo criticano non lo è neppure quella italiana che permette impunemente ai giornalisti di fare il bello e cattivo tempo.

Tutti noi che oggi ci affanniamo su questo Manifesto eravamo a quei tempi dalla parte dell’elite dell’Espresso: appoggio vergognosamente cieco ed elitario a un'élite snob e radical chic, libera di tutto fare, di tutto disfare per insediarsi al potere. Il radical chic dilagava, la gente con l’uscita del nuovo giornale La Repubblica, lo ostentava orgogliosamente come attestato di democrazia. Un confraternita di successo nata e cresciuta sull'onda delle denuncia di un colpo di stato (Solo) mai accertato e di un colpo di stato portato vittoriosamente a termine.
La “Società civile” era nata, anche se non si era ancora autoproclamata.
Chi ci risvegliò dal nostro sonno dogmatico circa la cultura di serie A e di serie B, la cultura alta e bassa, elitaria e popolare fu l’interpretazione che un nostro amico assicuratore proprio in occasione dell’evento Leone. Non proprio un amico ma un conoscente occasionale, di origini napoletane con cui trascorremmo alcune serate di accese discussioni.
L’assicuratore interpretava l’affare Leone come una congiura. Una congiura del Nord contro il Sud. L’ennesima congiura del Nord contro il Sud e la sua cultura. Un’accusa sostenuta con vigore ed estesa a tutto il Nord, a tutti i suoi cittadini a noi, i suoi amici, che assistevamo senza muoverci senza protestare con energia contro quello che considerava un colpo di stato. “Il Nord ha riunificato l’Italia, il, Nord ha fatto la resistenza e noi che abbiamo fatto al sud? Fornito all’esercito alleato l’alleanza con la mafia.”Accuse pesanti che non furono sul momento neppure capite tanto ci apparivano stravaganti, anche se sicuramente si insinuò il dubbio che tutta quell’accusa fosse veramente una congiura, come sosteneva l’assicuratore, non ordita dal nord contro il sud ma dalle forze laiche contro un presidente democristiano. “Stanno detronizzando un presidente perché faceva le corna. Leggetelo il libro di quella maiala e di tutte le accuse non troverete altro. Quella donna odia la cultura popolare napoletana, odia il sud.”
In effetti l’odio tutto radical chic per la cultura popolare del sud traspira dal libro della Cederna; oltre le accuse feroci e non documentate, rimangono effettivamente solo quelle corna scherzose.
Al principio degli anni Ottanta, il risarcimento alla famiglia venne valutato in seicento milioni; in seguito altri danni morali vennero riconosciuti anche a due avvocati.

Ci rivolgiamo a voi. Siete davvero convinti che i giornalisti siano i pilastri della democrazia. Quanti cittadini rovinati dai giornalisti spesso in coppia coi PM, altro pilastro della democrazia, dovettero attendere per anni il pigro svolgimento del processo che infine li assolse?
Ma la Nostra Cederna, snob e radical chic ne fece anche altre.
Era successo che, in un libro, Camilla Cederna aveva attribuito al collega Afeltra un articolo scritto, molti anni prima, su un giornale fascista. L'articolo firmato "Gaetano Afeltra" esisteva, era stato pubblicato sul giornale della federazione lombarda del Partito nazionale fascista e trattava di alimentazione. Ma quel "Gaetano Afeltra" era un omonimo: un capitano dell'esercito addetto alla sussistenza. Afeltra fece querela e si arrivò al processo. Ma, dopo un paio di udienze, la querela fu rimessa. Camilla Cederna era già stata condannata per la vicenda Leone, e Afeltra non volle infierire. Oppure tutto finì a tarallucci e vino e, sottobanco, la nostra elitaria, arrivista chic e radical snob, pagò.
Ma anche se il processo non giunse a termine il reato informativo esisteva e non era quindi logico e giusto che anche per questo delitto dovesse pagare? Non pagò: sono i pilastri della democrazia o le puttane della democrazia?

Le conseguenze politiche e sociali di quel colpo di stato furono enormi. In Italia al governo e all'opposizione c’erano partiti di massa, di popolo che allevavano i loro cuccioli nelle associazioni, negli oratori, nelle società operaie, aperti a tutti, aperti alle culture. I due partiti funzionavano da ascensori sociali, avevano connessioni strette con le grandi associazioni sindacali, ed imprenditoriali, ma senza mai farsene dominare. Uno, la Democrazia Cristiana che si definiva ed era un grande partito popolare ed interclassista, rifiutava la contrapposizione di classe, La rifiutava perché quella era la loro operativa interpretazione, amico nemico, dell’articolazione sociale, l’altro ugualmente popolare era in grave anche se non aperta e conclamata crisi intellettuale, per la sua associazione all'ideologia della democrazia reale del comunismo e dei regimi che in suo nome con i suoi obiettivi dominava dalla fine della guerra le democrazie socialiste dell’Est.
Ma erano due partiti popolari e non elitari, che cercavano di capirsi, si studiavano, si rispettavano e durante il lungo periodo di contrapposizione anche dura furono portate a termine grandi riforme popolari e antielite come l’abolizione della media del latino, dell’esame di ammissione con la media unificata per tutti, come il libero accesso a tutti gli studenti di i tipi di secondaria, ragionieri, periti, geometri a tutte le facoltà universitarie. Due grandi riforme antielitarie ( non furono le uniche) in un campo, quello scolastico, di grande significato, popolare. Dopo queste il passo ovvio e successivo nella stessa direzione popolare ed egualitaria doveva essere il vario di una scuola secondaria unica con l’abolizione del greco e di quel liceo classico, vero allevamento di polli di élite che avevano la possibilità in quei cinque anni di preparare le loro emersione, la loro elitaria alleanza, con il greco come visibili, udibile simbolo di fratellanza e alleanza. Ma l’attesa fu vana. La secondaria superiore unificata e ridotta a quattro anni, anche questa riduzione, simbolo di visione e cultura popolare non venne mai.
Il grande popolare partito comunista in forte difficoltà, che aveva già irriso e giustamente rifiutato la guida intellettuale del partito d’azione prima e del partito degli intellettuali del Manifesto, ora, dopo il fallimento anche del grandioso tentativo di alleanza D.C. e P:C.I. passato alla storia col nome di Compromesso Storico, aveva bisogno di uno chaperon, di una forza indiscutibilmente e democratica e occidentale, che l’accompagnasse nel lungo cammino che doveva far dimenticare il loro passato comunista di adesione alla democrazia reale per fare il suo ingresso possibilmente con la stessa forza nella democrazia occidentale, e la forza necessaria era già pronta in quel partito non partito più che mai elitario e intellettuale di cui godeva la simpatia e di cui aveva visto la forza nella vicenda del colpo di stato a Leone, con gli impiegati che se andavano con il nuovo quotidiano la Repubblica orgogliosi di essere partecipi di una forza progressista intellettuale elitaria che aveva salvato l’Italia da un colpo di stato forse inesistente e scalzato un ignorante napoletano che faceva le corna e forse credeva nel sangue di San Gennaro.  
Ma questo è un capitolo storico tutto da riscrivere.


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