venerdì 13 dicembre 2019

ECO



Eco
Morto Eco si è scatenato un coro infinito di elogi. Il grande filosofo, il grande semiologo, il grande narratore, il coraggioso modernizzatore della cultura italiana.
Pensiamo che una voce fuori dal coro non stonerà.
Eco, grande filosofo? Il suo glorioso Trattato di semiotica generale è sconcertante e noioso. Forse una miniera di erudizione, per chi è lontano da quella disciplina ma un quasi zero di pensiero. Il suo MSR Modello semantico riformulato, sostanzialmente propone di passare, nella formulazione di una semantica da associare al sintassi generativa  di Chomsky, rispetto  al modello proposto da Katz, e Fodor dall'orizzonte del dizionario, al quello dell’enciclopedia.  Un proposta priva di ogni operatività e puramente decorativa ma 420 pagine digeribili solo con massicce dosi di bicarbonato.
Innovativa L’opera aperta che può essere letto quasi come un manifesto di coraggio avanguardista. Ma si resta senza fiato quanto poco si travasi da quel libretto al suo tradizional-polpettone Il Nome della rosa. Si stenta a credere che uno stesso autore abbia scritto opere così contrastanti. Schoemberg e Kandinsky espressero la loro arte in coerenza con le loro idee ma non Eco. Altri aderirono concettualmente a una o più avanguardie per successivamente ripensare il loro operare artistico tornando a una classicità filtrata attraverso le loro precedenti esperienze. Carrà aderì al futurismo, aderì alla pittura metafisica, dipinse quadri futuristi e metafisici, per poi tornare a una nuova classicità. Non, però, una classicità banale ma una classicità poderosamente filtrata dalle precedenti esperienze. Anche Sanguineti, attore come Eco della rivoluzione culturale del ’68, trovò sconcertante il contrasto e non aveva torto:
è difficile pensare che l’autore del Nome del Rosa sia lo stesso intellettuale che aderì a quella rivoluzione culturale, che paragonava Carlo Cassola a Liala. Apprezzare Schoemberg e la sua rivoluzione atonale e dodecafonica non implica in ogni caso paragonare a una Lialata musicale la Madame Butterfly di Puccini. E poi che significa espellere Liala dalla cultura, dall’arte come una schifezza? Il carattere altezzoso e snob di Eco, quello stesso che scriveva Fenomenologia di Mike Buongiorno non si smentiva. Quel paragone a Liala qualifica il movimento e aiuta a comprendere la natura elitaria e snob del pensiero di Eco. Quello stesso Eco che poneva la sua firma anche in odio al commissario Calabresi. Per non parlare delle decine di firme sotto inutili, cervellotici, faziosi manifesti coi quali lui e altri intellettuali tappezzarono i muri simbolici della cultura italiana.

Eco non è stato certo un pensatore teorico come Kant, come Heidegger, come Sartre o come Croce. Non era portato alla filosofia teorica. La sua intelligenza si aggirava molto più in basso. Si definiva studioso dei segni dove, per altro, non ha lasciato grandi tracce se non quell’enfasi eccessiva che lo caratterizzò sempre.
Debole come pensatore, Eco deve la sua fama ai suoi romanzi, soprattutto, al Nome della rosa, col quale ha inventato l’esotismo medioevale. All’inizio del secolo scorso i romanzieri dell’esotico si spingevano con la loro fantasia ricostruendo in romanzi di splendenti turcherie in Oriente, Eco non viaggia nello spazio ma nel tempo e al posto dei maghi, dei palazzi della novelle di mille e una notte ci presenta le biblioteche fantastiche dei monasteri all’interno di un romanzo investigativo. Un fascino subito raccolto dal mondo del  Cinema e proseguito con i romanzi di Dan Brown col suo Codice da Vinci e coi suoi mistery-esotici, non del medioevo ma dei vangeli, meglio se apocrifi. Tutti romanzi quelli di Eco e di Dan Brown di grande successo, tutti ripresi dal cinema. Il bel Don Brown è salito ai piani alti anche se non aiutato dalla cultura della società civile,  anche se non multitaskin come Eco, anche senza la potenza di fuoco dei piani snob. E’ strano che al Nostro non sia arrivato il premio Nobel, nonostante la sua fama e il suo pensiero radical chic.

Dei romanzi di Eco si legge spesso che sono intelligenti.
Che vuol dire intelligente? Il Rosso e il nero, Guerra e pace sono romanzi intelligenti?Avete mai letto dell’attributo “Intelligente” a un romanzo? Forse l’aggettivo si riferisce allo sfondo o al contenuto culturale. Difficile dirlo ma nessuno parla della Divina Commedia come di un’opera intelligente. I Promessi Sposi con il suo carico di storia è un romanzo intelligente? Nessuno si sognerebbe di qualificare come opere intelligenti, i romanzi di Stendhal, Tolstoj, Manzoni.
 Forse si dice intelligente perché non si può parlare di arte o di poesia. Siamo al livello del livello del Tamburo di latta, del Maestro e Margherita? Sicuramente no. Tanto meno a quelli di Joyce, di Proust, di Celine. E neppure di Malraux, di Sartre di Camus, di Boll, Anche limitandosi a casa nostra non è Calvino, non è Moravia, non è Pirandello non è Svevo. Neppure paragonabile a Romanzi come Il partigiano Jonny o a Cristo si è fermato a Eboli, alle opere di Primo Levi.
Visto che non si può parlare di arte o di gran romanzo, allora si parla, comicamente, di romanzo intelligente.


Mi viene spontaneo avvicinare Umberto Eco a J. P. Sartre e a Bertrand Russell.
Eco non fu insignito del premio Nobel, Sartre sì, ma lo rifiutò salvo poi, in via riservata, pentirsi e muoversi per accettarlo, Russell fu insignito e accettò con piacere recandosi a Stoccolma e riuscendo vigorosamente ad arrivarci dopo le note disavventure.
Sartre scrisse opere, opuscoli popolari, saggi filosofici, novelle e romanzi, opere teatrali. Tra le sue opere narrative La Nausea e, in parte, Il Muro mantengono quasi intatto il loro appeal e i loro lettori, i romanzi successivi sono entrati subito nel dimenticatoio, altrettanto è avvenuto per le opere filosofiche L’essere e il nulla è un mattone spesso incomprensibile e, contrariamente a ciò che sostengono i manuali, con il suo essere in sé e l’essere per se è pensiero originale e non “nulla di nuovo” rispetto a Heidegger. Si guardi all’essere in sé, bruto, amorfo, come descritto ne La Nausea  e lo si confronti con l’essere linguaggio poetico di Heidegger, che, del resto, prese subito le distanze da Sartre e dal suo esistenzialismo. 
Anche Sarte si occupò di tutto. Riformulo perfino il marxismo e la psicanalisi.
Altrettanto prolifico e multiutility fu Beltrand Russell attivo non solo in logica e in filosofia dove dialogò con Moore, con Bradley, con Meinong, con il positivismo logico, con il pragmatismo. Dialogò di tutto: di logica di educazione, di scuola, di politica, di religione, di morale. I suoi saggi, tra i quali Perché non sono cristiano divennero quasi dei Bestseller, promossi anche dalla sua accesa attività politica che lo portò in prigione dove scrisse Introduzione alla filosofia matematica. Scrisse anche un libro di racconti, Satana nei sobborghi, libri divulgativi come l’abc della relatività e un’Autobiografia illuminante sul percorso del suo pensiero, anche là, dove annota che, dopo aver scritto un saggio poderoso come i Principia Matematica si era potuto permettere di scrivere su ogni argomento anche con leggerezza. Giustamente era certo che le sue stupidaggini non sarebbero caduto sotto nessun fuoco incrociato. La profondità del suo pensiero era stata dimostrata in quel testo.
Tutti e tre questi autori non furono dei geni nelle loro specializzazioni, Sartre e Russell coltivarono in alto e vissero tra i camosci, il Nostro Eco s’accontentò di un pollaio. La sua filosofia non è né elevata, né originale, né profonda come quella dei colleghi ma un po’ di pensiero, mescolato a erudizione c’è, e questo, in Italia, è già molto.
Indubbiamente ha svecchiato la cultura italiana ma, da buon  radical chic, non ha esagerato.
Non è arrivata notizia di una sua protesta quando tre professori abolirono il Bagaglino e l'elitaria Tarantola, proveniente da quel club aristocratico che è la banca d’Italia, abolì l’isola dei famosi. Da giovanissimi le maestre ci dicevano studiate mica volete diventare degli Zulu. Poi ci venne giustamente insegnato che anche gli Zulu hanno una cultura, che anche le più sperdute tribù della foresta amazzonica hanno una cultura con l’unica grande eccezione di coloro a cui piacciono le tivù di Berlusconi. Eco faceva parte di questa banda di intellettuali che non capirono l’evoluzione dei tempi. Il suo ibrido di cultura colta e popolare si è fermato ai fumetti, ma non, immaginiamo, ai fumetti di Nembo Kid.
Il suo intervento fu provvidenziale per quell’elite che parlava di Tomas Mann, di Sartre, di Joyce  ma di nascosto leggevano fumetti, romanzi rosa, romanzi gialli, considerate letture indecenti e da occultare quando si frequentavano gli ovattati salotti dei piani alti e nobili della cultura. Un   sospiroanalogo a quello che accolse la liberazione da parte di un intellettuale come Arbasino delle canzonette di Sanremo. Ben più significativo e severo il richiamo agli intellettuali comunisti e snob da parte di Togliatti.
Così il Nostro Eco si aggira fra l’alto e il basso, ma il limite era già ben presente nella fenomenologia di Miche Buongiorno e, scrivendo L’Opera aperta poi II nome della rosa fu come se Scoemberg, dopo aver predicato la dodecafonia, avesse composto Madama Butterfly.
Ma forse la vera natura di Eco nel suo brandeggiare fra alto e basso si manifestò quando, da vero elitario snob,  definì imbecilli i commentatori dei social, proprio mentre l’Università di Torino gli conferiva l'ennesima laurea honoris causa in ‘Comunicazione e Culture dei Media’.



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