venerdì 3 gennaio 2020

9 Ma perché questo sfacelo? Polifonia monodia, Trovadori, Trovieri, Monteverdi capitolo 9 de Il Manifesto degli incivili


Ricordate i complessi, ricordate i Beatles, quella banda di “sporchi” e cappelloni?
Da giovane vedevo a Sanremo i cantanti sorretti da una orchestra costosissima, quasi come un’orchestra classica. Poi arrivarono i giovani beat (incivilmente sporchi e cappelloni) che s’inventarono i complessi. Quattro, cinque artisti che suonavano strumenti elettronici, che provavano nelle loro cantine, e che, grazie all'amplificazione elettronica, potevano farsi udire da un mare di persone.
Fu una grande innovazione perché riuscirono, senza costi stratosferici, a esprimere la loro musica.
Oggi quei complessi pionieristici sono in grado di fare ascoltare la loro musica da migliaia di persone senza gli enormi costi, i costi stellari, dei sistemi tradizionali. Non solo non chiedono soldi alle mammelle di stato ma ne danno e hanno contribuito enormemente al progresso tecnologico della strumentazione musicale elettronica e della diffusione di piccoli e grandi volumi.
La musica istituzionalizzata, la cosiddetta classica, la finanziatissima musica classica e operistica, non ha imparato questa lezione e ha, invece imboccato un linguaggio difficile, elitario, compreso solo da cerchie ristrette. Un linguaggio sempre più privato che si avvia al mutismo? Wittgenstein ci racconta che se parli un linguaggio privato, nessuno ti capisce. Le prime avanguardie non producevano solo nuovi stili, nuovi linguaggi, nuove immagini ma si affannavano. con articoli, polemiche, manifesti, a illustrare questi loro nuovi linguaggi proprio per farsi capire, per trasformare il loro nuovo linguaggio da linguaggio privato compreso dai soli adepti in un linguaggio pubblico comprensibile ai più.
Qualcosa di simile era già successo nel passaggio dall’alto medioevo al rinascimento e una lezione ci può venire da quegli eventi di transizione. La polifonia era diventata ormai così incredibilmente complessa e sofisticata da richiedere non solo molta dottrina ma un’intensa consuetudine d’ascolto per poter cogliere le singole melodie, il loro intrecciarsi , il loro scontrarsi. Tanto complessa da essere diventata incomprensibile alla pressoché totalità dei fedeli.
Quella era la musica cantata e ascoltata nelle chiese più “in”, ma non certo quella del popolo. Trovadori e trovieri corrispondenti agli odierni cantautori componevano e cantavano non polifonie in latino ma monodie nella lingua compresa dal popolo. Il protestantesimo comprese quella lezione e non solo quella. La vecchia polifonia si estinse e la musica popolare generò quella grande stagione di musica che comprende Mozart, Wagner, Verdi.
Dopo circa altri quattro secoli, le avanguardie hanno sconvolto il nuovo ordine tonale. L’atonalità, la dodecafonia e ancora e ancora. Oggi è difficile negare che, come accadde allora, la musica “seria” sia musica per iniziati. Morte dell’arte? Neanche per sogno! I nuovi Mozart forse non nasceranno dalla musica colta, ormai muta, ma dalla musica popolare, dal Jazz, dal Gospel, dal Rock o da contaminazioni fra la musica popolare e la musica atonale e dodecafonica. Sì, anche la dodecafonica: possiamo dire ciò che vogliamo ma è difficile dire che il Wotzeck di Alban Berg e Mosè e Aronne di Schoenberg non siano grandi capolavori.
La sensibilità popolare rinnoverà non solo la musica ma tutta l’arte dal disastro a cui la stanno portando le élite. Elite che da una parte finanziano (coi nostri soldi) in tutti i modi i teatri d’opera coi loro registar, i loro directstar, che conducono e “regiano” opere di cartellone secondo una contabilità che dovrebbe almeno far sorgere la domanda “Ma perché quell’enorme numero di cittadini che non assiste a nessuna opera lirica, che non frequenta teatri, dovrebbe pagare per l'élite che le frequenta?”
Altre considerazioni possono aiutarci a rispondere a queste domande.

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