venerdì 14 febbraio 2020

14 L’arte figurativa e non figurativa capitolo 14 de Il Manifesto degli incivili


Recentemente un ministro ha esposto le sue perplessità su quella che lui chiama arte moderna, ottenendo delle reazioni degli artisti, dagli esperti che andavano dall'irrisione, allo sdegno, alla perplessità.

Tra queste reazioni cito quella che si limitava a osservare che tutte le avanguardie avevano sempre suscitato inizialmente reazioni negative, disprezzo, incomprensione, condanna per poi correggere il tiro. Ce da chiedersi che significato scientifico abbia una simile osservazione. Il fatto che per tre, quattro, dieci, per trenta avanguardie, per i relativi artisti le cose siano andate come descritto, è significativo che per la trentunesima avanguardia, per il ventunesimo pittore le cose continueranno ad andare così, che per tutte le avanguardie in essere o future la trafila sarà la stessa? Ovviamente no. Qualsiasi modesto studioso di probabilità, di induzione, di statistica confermerebbe questa affermazione. L’induzione richiede ben altri numeri per dare luogo ad una probabilità. Quanti artisti lanciarono un loro movimento che morì nel nulla?

Altre circostanze, altre banali osservazioni possono essere esposte. Queste osservazioni riguardano l’ambiente e le convenienze. Il mercato è impostato sulle opere a cui si riferiva il ministro in maniera dubbiosa e che immediatamente sono state difese contestando i suoi dubbi. Molte gallerie commerciali private, molti collezionisti privati, molte gallerie pubbliche sono piene di quelle opere, difendono quelle opere, operano con quelle opere, vendono quelle opere. Traendo il loro benessere da quelle opere, se il sistema complessivo entrasse in crisi, per loro sarebbe il disastro; se le quotazioni cadessero sarebbe il disastro. Collezionisti, acquirenti, direttori di musei si ritroverebbero con nulla in mano.
Arte e non arte esiste un criterio? No, questa stessa discussione ne è l’evidente testimonianza, di volta in volta sono una società, un circolo, un principe, un mercato a decidere.

Esempi di accadimenti significativi a Venezia e Torino.
A Venezia un inserviente, dopo l’uscita dei visitatori, raccolse a terra un mucchietto di sassi e pezzi di legno buttandoli nella spazzatura, credendola appunto spazzatura ammonticchiata, quando, invece, quel mucchio era un’ “opera d’arte”, una composizione poetica appoggiata a terra. A Torino i visitatori si sono fermati per una mattinata ad ammirare un secchio di acciaio zincato con dentro un moccio immerso in acqua sporca che credevano “un’opera d’arte” quando, invece il complesso non era altro che un moccio immerso in un secchiello dimenticato da un addetto alle pulizie del pavimento. 
Sono significativi questi fatti? Sono significativi per indurci a dare un giudizio negativo dell’opera estetica contemporanea? Sì, sono significativi, ma non lo sono in riferimento al giudizio: se una donna delle pulizie avesse trovato a terra un Picasso agli inizi del secolo, avrebbe probabilmente agito come l’impresa di pulizia veneziana e avremmo perso un Picasso.
In parziale contraddizione, in prepotente dubbio di quanto appena annotato dobbiamo annotare un altro fenomeno: quello delle opere subito osannate poi giudicate di nessun valore. Se si esamina il susseguirsi delle opere esposte nei vari anni ad esempio alla biennale veneziana, nelle gallerie, nelle scelte delle persone esteticamente esperte (Sic), il fenomeno si rivela subito gigantesco. E’ più rilevante il fatto del decadere o quello del confermare?
Di fronte ai roboanti giudizi, alle critiche incomprensibilmente ampollose, all'uso di sperticati elogi (naturalmente nessuna galleria espone per vendere opere commentate da altrettanto ampollosi, e semanticamente incomprensibili critiche negative né tantomeno un museo) di fronte a quella semantica tanto complessa da rasentare la comicità, viene veramente l’idea della truffa o peggio ci induce a pensare ai racconti comici di Borges e Bioy Casares Crónicas de Bustos Domecq (1967. Trad. It. Cronache di Bustos Domecq, Torino, Einaudi, 1975) o alla favola del re nudo, del bambino che esclama ridendo “Il re è nudo”.

La favola del re nudo non è solo una favola ma espone la significativa realtà dell’opinione condivisa che diventa legge a cui il nostro conformismo, secondo alcuni genetico, secondo altri sviluppato dalle nostre esperienze, si adegua per convenienza, quieto vivere, incapacità di “pensare” ed incapacità di esprimere coraggiosamente il frutto del nostro “pensare”. Eppure il re era nudo. Nudo sia per la folla numerosa che applaudiva la magnificenza delle sue vesti, sia per il bambino impertinente e ingenuo che ne ride ed urla “Il re è nudo.” 
La favola invita a riflettere e a supporre che sotto ci sia anche qualcos'altro: addirittura quel fenomeno ricorrente che siamo soliti identificare con il termine di “bolla speculativa”.
Un fenomeno non solo ricorrente ma fin troppo ricorrente. Inutile fare molti esempi e ricordare bolle più o meno recenti di cui ancora stiamo ancora subendo le conseguenze. Vorrei solo ricordare una bolla dalle caratteristiche spiccatamente estetiche: quella dei tulipani olandesi. Una bolla che raggiunse apici difficili da accettare razionalmente, se si pensa che il seme di un tulipano nero giunse a superare come valore quella di un dignitoso edificio di abitazione borghese. Poi la bolla scoppiò e come tutte le bolle ebbe conseguenze tragiche su coloro che in quell'infinito e condiviso incrementarsi dei prezzi avevano creduto, che da quei germi irridenti e malefici si era fatto contagiare, che a quella febbre demenziale diffusa aveva creduto fino alla propria rovina. Come non ricordare il crollo del ’29 del secolo scorso che mandò in rovina una nazione come gli Stati Uniti?

La pittura, anzi, il mondo della pittura ha le caratteristiche di una bolla speculativa? Una bolla che coinvolgerebbe i valori estetici? Evidentemente sì, un quadro, una scultura, una disposizione di pezzi, un’animazione vale denaro perché viene giudicata esteticamente; più alto è il giudizio estetico condiviso, più alto sarà il valore. Quando manca un criterio oggettivo è impossibile decidere al sì e al no, come se ci trovassimo di fronte ad un’operazione aritmetica. Ma possiamo porre la domanda in altro modo. Era più difficile elaborare criteri oggi o in passato?
In passato, ad esempio, i quadri con soggetto l’annunciazione sono stati innumerevoli, fra questi, una netta minoranza è considerata oggi e lo fu ieri artistica, quando il presupposto per essere giudicati esteticamente richiedeva una capacità artigianale di raffigurare sul quadro ciò che era visibile con gli occhi e uno scarabocchio non veniva neppure proposto. Anche qui sono possibili considerazioni contrastanti. La prima ci dice che non era l’abilità tecnica a decidere circa il valore artistico di un quadro, la seconda che senza una qualche capacità tecnica e manualistica, senza una scuola, l’opera non poteva essere neppure sottoposta a giudizio. Se la capacità tecnica non costituiva il criterio di giudizio estetico era comunque il presupposto perché un’opera fosse degna di attenzione e di giudizio, costituiva un linguaggio condiviso che non richiedeva rare qualità artigianali.
Il complesso del mercato dell’arte, dei giudizi, della costituzione di un insieme più o meno coordinato di giudizi estetici costituisce oggi una bolla estetica ed economica? Molti pensano di sì ma, nonostante ciò, quel complesso continua a marciare spavaldo, senza che questo costituisca però una prova di veridicità e di esteticità del prodotto. Anche ai tempi della bolla dei tulipani c’era chi rideva di questa comica malattia e giudicava chi ne era affetto come un cretino, uno sconsiderato, un pazzo eppure la bolla continuò ad espandersi fino a scoppiare. Anche nel ’29 c’era chi giudicava pazzesco, demenziale ciò che stava accadendo, che gridava al pericolo, che non credeva ai propri occhi nel vedere azioni, che non valevano nulla, incrementare, ininterrottamente, il loro valore ogni giorno, e questo anche se dietro a quelle azioni c’era anche qualcosa di oggettivo: la società, l’industria, intestatrice di quelle azioni e criteri parzialmente oggettivi per valutarne il valore, ricorrendo a dati come l’utile, il tasso di sviluppo, ecc. Eppure anche quella bolla continuò ad espandersi al di là di ogni possibile giustificazione. Anche allora ci fu chi prudentemente ritirò i propri soldi e vide i cretini, i pazzi, gli illusi, i dementi buttarsi dai grattacieli.

La nostra comprensione arriva fino a Mondrian e ai ghirigori del pittore americano Pollock. Vedo Pollock all’interno dei confini dell’arte, mentre vedo in Mondrian solo un ossessionato e ossessionante pittore da tecnigrafo.
Lo diciamo ma consci del valore relativo di una simile affermazione. Un ascoltatore di musica con lo stesso diritto/ sentimento, potrebbe dire “Arrivo fino ai confini della dodecafonia, ma non più in là” Eppure quanti di noi hanno provato l’esperienza si sentire, a furia di ascoltare, le opere tonali come lagne e belati? In quei momenti le opere dodecafoniche di Schoenberg ci sono apparse come una ventata di austera purezza. I loro ricami orchestrali, i loro timbri secchi, morigerati, le loro supposte disarmonie producono spesso un effetto più forte, più musicale di certe colossali orchestrazioni romantiche. Berg, Schoenberg ci hanno dato esempi illuminanti. Se Mosè e Aronne ci appare integralmente dodecafonico, il Wozzeck ci mostra come l’uso degli strumenti tonali, atonali, dodecafonici sia possibile e capace di produrre capolavori.

In ogni caso anche qui, nel disastro ormai cinquantennale della confusa arte alta, ufficiale e civile, l’arte popolare, la incivile, incolta, barbarica arte popolare ci sta salvando.
I pittori murali, i giovani che dipingono i muri delle case, delle fabbriche abbandonate, coloro che dipingevano con le bombolette le carrozze dei treni ci indicano una via. Una via lunga con molte biforcazioni che è partita da lontano, dall'arte popolare, dai fumetti, ecc. da quegli stessi fumetti, dove la pendenza di un tratto caratterizzava lo stato d’animo, che l’elevata società civile del tempo, stretta parente di quella di oggi, (quella che ci invita a prostrarsi di fronte a una sedia rimediata in soffitta per adorarla come opera d’arte) ieri ci educava a giudicare come l’ennesima stupidaggine pericolosa elaborata di quegli incivili, incolti e barbari americani; quella stessa che ci invitava a ridere dell’epica del West americano, a disprezzare Via col vento.
Eppure i fumetti a cominciare da Topolino, da Paperino, da Tiramolla, da Pecos Bill, da Blondie e Dagoberto, da Dick Trasy fino ai Penault (noccioline, cose da poco,) con la loro grafica semplice e veloce hanno tracciato un percorso, rappresentativo e narrativo; hanno disegnato una cultura, prodotto racconti, strisce, romanzi e si sono metamorfosizzati oltre che nel pluripremiato Mouse anche in quelle belle favole, in quei bei cartoon prodotti da quel reazionario e fascistone di Walt Disney.
Anche qui, come per la musica, l’arte figurativa ufficiale dell’alta società civile, finita in vicolo cieco, in una strada che sfocia anche nell’immondezzaio, è pronta a ricominciare da capo senza rinunciare alle conquiste semplificatrici, alle deformazioni, alle invenzioni delle Avanguardie, e non ha più necessità di un bambino irridente che ci apra gli occhi e ci dica che il re è nudo.
Ancora qualche parola sugli esperti, esteti e professoroni autenticatori. Ancora qualche parola sugli esperti, esteti e professoroni autenticatori. Anni fa la direttrice di un museo in base a notizie, ricordi, informazioni letture invitò le autorità a dragare il fiume alla ricerca di sculture che il grande pittore scultore Modigliani aveva, secondo le sue informazioni buttato dalla finestra direttamente nel canale che scorreva davanti al suo studio.
Fu recuperata la prima, la seconda e la terza (il 10 agosto 1984) e subito si gridò al miracolo. I più importanti storici dell’arte – tra questi asini anche l’asino più noto Giulio Carlo Argan – si dissero pronti a certificare l’autenticità  di simili reperti( teste umane scolpite, abbozzate su pietra, come opera del grande Modigliani. Notare la presenza fra essi di Giulio Carlo Argan già fascista della corte del ministro dell’arte fascista e dopo la caduta del fascista subito convertito e accolto nella corte comunista, che giunse a farlo eleggere sindaco di Roma. (C’è da chiedersi quante consulenze d’attribuzione abbia effettuato questo cambia bandiera e asino di corte Giulio Carlo Argan)
Per fortuna fuori dal coro Carlo Pepi capo degli Archivi Legali Modigliani, il critico Federico Zeri e Jeanne Modigliani non si unirono al coro e seccamente come l’ingenuo bambino gridarono il re è nudo. Zeri fece di più e invito gli autori dei falsi a farsi avanti il che puntualmente avvenne. Fra loro tra ragazzi che tranquillamente ammisero di essere autori di uno scherzo, in cui erano cascati tanti asini professoroni e ancor più asini esperti. 

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