giovedì 7 marzo 2024

11Analitici e continentali, sapere umanistico e scientifico.


 



In un suo ’articolo del 1932 (Uberwindung der Metaphysik durk logische Analyse der Sprache) Carnap polemizza contro la metafisica e contro quei termini che. non avendo alcun riferimento empirico o riconducibile, assumono significato metafisico. Nell’articolo il bersaglio polemico è soprattutto l’uso del termine ‘nulla’ in Heidegger di cui Carnap cita un passo tratto dal saggio [i] C'os’è la metafisica? del 1929: «indagato dev’essere l’ente soltanto e – null’altro; l’ente solamente e inoltre – nulla; l’ente unicamente oltre a ciò -  nulla. Come sta la cosa con questo nulla? … esiste il nulla solo perché c’è il Non, ossia la Negazione? O forse la cosa sta inversamente? Esiste la negazione e il Non esiste solo perché c’è il nulla?»[ii]  .

La conclusione di Carnap, dopo attenta disamina di espressioni contenenti il termine ‘nulla’, è che alcune proposizioni possono essere tradotte in equivalenti in cui il termine ‘nulla’ non compare mentre altre sono irrimediabilmente prive di senso o dotate di quel senso metafisico che le rende insensate o addirittura contraddittorie. A questo punto Carnap ricorda come la circostanza non sia affatto ignorata da Heidegger il cui commento, riportato da Carnap, è il seguente « “Domanda e risposta riguardanti il Nulla sono allo stesso modo, assurde […] La regola solitamente addotta, il principio di contraddizione esclusa, la logica in generale, sopprime questa domandaTanto peggio per la logica! Noi dobbiamo rovesciare la sua egemonia: se infirma il potere dell’intelletto nel campo delle questioni circa il Nulla e l’Essere, allora si decide con ciò anche il destino dell’egemonia della ‘logica’ all’interno della filosofia. La stessa idea della ‘logica’ si dissolve nel vortice di un interrogativo più originario” per poi concludere che il non senso metafisico sia un surrogato dell’arte.»[iii]

Lo stretto rapporti tra arte e filosofia è, secondo Carnap, confermata dal fatto che «proprio il metafisico dal più forte temperamento artistico che forse ci sia mai nato, cioè Nietzsche, ha commesso meno di tutti l’errore di questa commistione. […] Tuttavia nell’opera in cui egli esprime con la massima efficacia ciò che altri dicono per mezzo della metafisica o dell’etica, ossia in “Così parlò Zarathustra”, non sceglie l’equivoca forma teoretica, ma si decide apertamente per la forma dell’arte, la poesia.».[iv]

Nel P.S. Carnap annota che anche Hilbert nella conferenza Die Grundlegung der elementaren Zahlenlehre del 1930 così si espresse: «In una recente conferenza filosofica trovo questa proposizione; “Il nulla è la pura e semplice negazione della totalità dell’ente.” Questa proposizione è istruttiva per il fatto che, a dispetto della sua brevità, esemplifica tutte le principali violazioni che si possono commettere nei confronti di principi stabiliti dalla mia teoria assiomatica». 

Carnap parla di parole metafisiche senza significato, io preferisco parlare di termini ’Vaghi’. termini sconcertanti e soprattutto in sospetto di metafisica. Un sospetto grave almeno da quando Kant, inaugurando la Filosofia Critica, tentò di mettere al bando la metafisica e di tracciare un confine di senso epistemologico che cominciò ad assumere, prima con Frege, Tardoskyn e Meinong, poi con Russell, Wittgenstein e il neopositivismo, valenze logico-linguistiche sempre più forti. 

Il problema dell’identificazione del senso diventa nel secolo scorso un problema vivo in riferimento alle parole, ai concetti e alle teorie. Tanto più vivo quanto più si cerca di cercare di specificare il senso di quei termini ‘vaghi’ per i quali non si riesce a dare definizione esplicita ma ci si deve accontentare di un discorso di contesto.

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La questione delle definizioni dei termini “vaghi” sembra anche distinguere gli “Analitici” dai “Continentali”.  Secondo i primi le definizioni deve essere esplicite mentre per i continentali è ovvia l’accettazione di definizioni contestuali. Il Continentale in genere usa termini come ‘Essere’ e ‘Nulla’ senza porsi eccessive domande di senso o definizione, procedendo sicuro che sarà la discussione a dare un senso, non tanto alla parola, quanto al discorso complessivo. Al contrario l’Analitico cercherà sempre una definizione esplicita o almeno parzialmente esplicitabile. Tale definizione deve aggregare (secondo regole di una grammatica condivisa) termini di cui sia noto il senso. Siamo in sostanza alle prese con la logica del dizionario dove l’interdefinizione è obbligatoriamente circolare e dove, per uscire dalla circolarità, si deve approdare a un sistema di termini indefiniti primitivi o a contesti extralinguistici.

Non avviene dunque a caso che i Continentali approdino spesso a filosofie avverse a ogni tipo di fondamento e che gli Analitici si affidino all’assiomatica, a termini primitivi e, nel caso del neopositivismo, a regole di formazione e trasformazione di “protocolli” empirici, Non avviene dunque a caso che i continentali approdino spesso a filosofie avverse a ogni tipo di fondamento e che gli Analitici si affidino all’assiomatica, a termini primitivi e, nel caso del neopositivismo, a regole di formazione e trasformazione di e su protocolli empirici, generando spesso  infernali meccanismi di proliferazione  il cui meccanismo è il seguente: Si costruisce una teoria sul mondo e ci si chiede se è vera; per rispondere a questa domanda bisogna, però, sapere cosa si intende per "verità" e quindi avere una teoria a questo riguardo. In tal modo avremo non più una sola teoria, ma due ed entrambe dovranno, essere giustificate da altre teorie e queste, a loro volta da altre. In fondo la teoria di Tarski produce questo meccanismo; costruisce una semantica per il concetto di "verità" e ottiene come risultato una gerarchia senza fine di linguaggi, ciascuno con il suo concetto di verità. Ognuna di questa verità verrà definita, sempre, nel linguaggio di ordine superiore. Questo è il meccanismo gerarchico che genera mostri come le antinomie, le cause incausate, i motori immobili.

A questo punto, però, il dilemma non sta nell’accettare condanne di inquinamento metafisico o, in alternativa, il modo di procedere “continentale”, ma, constatando come quest’ultimo mostri un’organizzazione interna a feedback con caratteri di circolarità, nell’inaugurare uno studio della logica circolare, dove la cibernetica, che, per la sua struttura, non genera antinomie o cause incausate, può molto aiutare.

 Siamo comunque di fronte a concezioni profondamente antitetiche che, a mio parere, sono connesse all'opposizione cultura umanista cultura scientifica.  

in un paese come il nostro dove pressoché tutte le facoltà di filosofia sono impostate sulla cultura umanistica, la questione è ancora più seria.  Non così né in Germania, ( Heidegger e Carnap) e neppure in Francia e in Inghilterra. E' una nostra anomalia culturale?  

Ezio Saia


 

[ii] Tratto da Carnap Il superamento della metafisica mediante l’analisi del linguaggio. Saggio inserito ne Il Neoempirismo U.T.E.T, 1969, p. 504

[iii] Id. p. 519

[iv] Id. p. 531

lunedì 4 marzo 2024

12 Imperi dei diritti - Illuminismo imperiale

 



Si parla esplicitamente, di solito, di imperi religiosi e imperi totalitari, ma, se questi hanno monopolizzato questa stratificazione, essa è più o meno presente, magari temporaneamente e marginalmente in tutte le forme di potere politico; anche nelle democrazie specialmente oggi, in cui assistiamo ad assestamenti imperiali tipo UE che vanno di pari passo con la decadenza della democrazia del voto e con la costruzione di realtà politiche fastose e assimilatrici che si presentano come democrazia dei diritti, (diritti naturalmente universali.)

La parola diritti compare con ossessione paranoica e sono sempre diritti che si vogliono Universali, incontestabili, indici di civiltà, eterni, esistenti da sempre, anche se negati: l’impero dei diritti non è meno imperiale degli altri imperi

Mentre i grandi illuministi si dedicavano, con l’Enciclopedia, a conoscere e divulgare le conoscenze degli operai, degli artigiani, degli agricoltori, rivolgendo l’indagine non verso l’universale assimilatore, ma, come già secoli prima con Ugo da San Vittore, verso le sapienze dei muratori, dei fonditori, dei cuochi, altri illuministi guardavano all’universalità dei diritti e dei doveri.

Una spinta fanatica verso una forte e falsa idealità diretta verso la predicazione di principi, diritti e doveri universali, indipendenti dalle cultura, dalle storia e dalle credenze concrete in cui ciascun uomo, con la sua famiglia, con la sua comunità, con i suoi avi, era cresciuto, come se il mondo fosse una tabula rasa e gli uomini esseri astratti e non fatti carne, con un passato, gioie, dolori, credenze, affetti, divinità.

Fu la nuova ribelle corrente del pensiero romantico ad avvertire costoro: “Guardate che esistono la storia, le tradizioni, le educazioni, le religioni. Siamo uomini che vivono nel loro tempo, con la loro carne e le loro convinzioni, non esseri fatti di creta plasmabile come volete voi.

Non abbisognano tante citazioni per capire la situazione; basta quell’Imperativo categorico di Kant che nella sua Critica della ragion pratica prescrive: Agisci in modo che la massima che guida la tua azione possa valere come principio di legislazione universale.

Ma su Kant per ora rinviamo il discorso.

Oggi siamo, con l’impero UE, nella stessa situazione Nulla di strano che emerga nelle posizioni di comando la più squallida mediocrità, nulla di strano che, fin dalla seconda metà del secolo scorso, arte, poesia, inventività siano pressoché scomparse.

Che diversità dal miracolo e dalla sfolgorante attività artistica e intellettuale delle città greche e rinascimentali.

 

10 Ucraini e russi

 


I giornalisti dell'élite sono sempre lì a scrivere o raccontare in televisione che la Russia è in difficoltà, e che la Russia si sta ritirando: oggi un chilometro, ieri due, ieri hanno issato la bandiera sul campanile? Quale? quello che era caduto? Sì, ma l’hanno tirato su in quattro e quattr’otto con l’eroismo di Zelensky. Santo Zelensky….  l’altro ieri si sono ripresi un intero villaggio. Mica metà! Intero, tutte le sette  case. Zelensky di qui,  Zelensky di là. Vincerà la guerra? Come no! La vincerà e  caccerà Putin.

Come non si può non ricordare che già nei primi giorni, dopo il  primo sistema di sanzioni, c’era chi infallibilmente prevedeva il fallimento della Russia in una settimana! poi dopo due settimane, poi entro un mese. Poi altre sanzioni, altre sanzioni, altre sanzioni e via di questo passo, a cui seguivano le solite litanie, entro una settimana, due, tre: con queste non può reggere, Putin è malato, i russi si ribellano e lo detronizzano, i russi fanno la fame, i supermercati sono vuoti, il burro costa come l’oro, non durerà un altro mese. Certo la Russia fallì ma aveva i soldi e l'Occidente non li ha voluti. Una comica degna di Totò, che rivoltandosi nella tomba rideva e diceva: “Ancora mi copiano”

Tutti questi esperti che puntualmente sbagliavano e sbagliavano e ri-sbagliavano, erano saggi, studiosi, colti o Sibille fasulle o più semplicemente ignoranti e cretini? O ciechi, che non vedevano le croci uncinate tatuate sui corpi ucraini ma li vedevano in Italia perfino nei formicai? 

Stanche di dire “fallirà in una settimana, min due in tre in un mesi in due mesi, s’accordarono  sulla definitiva sentenza. “ Lo faranno nel lungo periodo.” 

E intanto fiorivano gli intellettuali in tivù. Era divenuta virale una battuta di non so quale giornalista americano. “Gli americani combatteranno i russi fino all’ultimo ucraino.” bella frase e realistica  ma l'intellettuale di turno, con la voce del padrone, ribatteva idiotamente “Non sono gli americani ma i russi che stanno sterminando gll’ucraini.” 

A costoro vorrei chiedere: “quando i nostri generali ordinavano ai nostri poveri fanti, durante la prima guerra mondiale, l’attacco e quelli uscivano dalle trincee al grido: SAVOIA, SAVOiA, correndo a farsi ammazzare e senza fermarsi perchè da dietro altri fanti italiani avevano l’ordine di sparare nelle loro schiene, se si fermavano. Chi uccideva? Cadorna? Gli austriaci?  Chi uccide oggi là con armi in campo ben più micidiali? Zelensky, Biden, Putin?

Ce lo dice un’altra circostanza storica. L'America con la NATO o senza Nato ha perso tutte le guerre, a cominciare da quella della Corea. Cuba, la fuga da Cuba, il Vietnam la fuga dal VIetnam nonostante la macelleria sistematica, bombe, le bombe, le bombe e napalm un disastro terminato dopo centinaia di migliaia di morti, invalidi, mutilati con una vergognosa fuga della “La tigre di carta” - così la chiamava Mao - con la coda fra le gambe, abbandonando all’ira vietcong i vietnamiti che avevano collaborato.

Dopo il Vietnam, l’infinito disastro di vent'anni in Afghanistan e concluso con una fuga ancor più vergognosa, poi la Siria, l’Iraq e in America latina le dittature imposte in CIle e in Argentina e i Contras in Nicaragua.   Disastri dappertutto, la grande potenza umiliata nel mondo e in Sudamerica dove tutte le dittature imposte sono crollate. Di qui l’esigenza di cambiare strategia: “Visto che il nostro esercito non vince, facciamo combattere gli altri e noi via con le bombe e le sanzioni: bombe, bombe, bombe, sanzioni, sanzioni, sanzioni come in LIbia, Serbia e Ucraina . 



Ma supponiamo pure che gli ucraini (o la NATO o gli americani o Zelenski) riescano a riconquistare tutto, compresa la Crimea. E poi? Poi che faranno? 

 Napoleone, conquistata Mosca, dalla quale l’esercito russo s’era ritirato appiccando gli incendi che la stavano divorando, e lasciandoli al freddo di morte - era convinto che, persa Mosca, lo Zar sarebbe accorso ad arrendersi. Sicuramente lo Zar sapeva di questa balorda illusione e altrettanto certamente se la rideva tra sé e con la corte. “Magari” avrà commentato: “mandategli un emissario dello Zar di tutte le Russie che dica a quel cretino che lui ha appena messo un piede nella nostra immensa Russia. Che venga, che venga, lo stiamo aspettando ma per favore non si prenda troppo tempo. Ora i suoi soldati si stanno scaldando con il fuoco di Mosca ma presto torneranno a provare il nostro tremendo freddo – probabilmente, questo disse o qualcosa di simile, addentando tranquillo la sua coscia di pollo, mentre Napoleone con il suo esercito stremato, era già in fuga, disordinata, incalzato dai soldati russi che non davano tregua., fino al disastro della Beresina.

Il secolo successivo fu Hitler coi suoi nazisti a  farsi la loro passeggiata in Russia. Una al secolo, poveri e derelitti europei.

 Napoleone aveva fatto una brutta fine ma, santo cielo, era stato veloce e solo l’inverno l’aveva battuto. Un problema che non esisteva per Hitler e i suoi generali. Quel povero esercito di napoleonidi aveva dovuto farsi tutta la strada a piedi, tranne quei pochi privilegiati seduti sul cavallo: - Eppure sono andati veloci e figuriamoci noi con i nostri panzer, i nostri camion, le nostre motociclette. Saremo veloci come la luce, sarà una guerra lampo e quando torneremo, qui ci diranno:  "Siete già qui?”

Ma quel  Stalin l’aveva fatta dura e feroce. I russi combattevano ma non si arrendevano, si facevano insaccare, come cretini, ma intanto l’esercito tedesco doveva fermarsi a snidarli e il tempo passava. “Sconcertante e folle” dovevano commentare fra loro i generali  tedeschi “Si intestardiscono e preferiscono sacrificare centinaia di migliaia di uomini, piuttosto che ritirarsi ed evitare l’accerchiamento. Se continua così  non resterà vivo neppure un soldato russo. Coraggio! Avanti! Bene così” ma la terra russa non era paragonabile alla terra francese. Lì  tutto era dominato dall’immensità della madre Russia e dal suo terribile clima. Non si sa cosa passava nella testa di Stalin e dei suoi generali che sicuramente soffrivano a vedere tutti quei soldati russi morti o fatti prigionieri, ma  l’ordine tassativo di Stalin era di non arretrare, di non cedere neppure un palmo di terreno e di morire combattendo. Stalin ragionava in conformità alla terra madre russa, all’enormità dal terreno dal confine a Vladivostok e non cedeva, mentre  intanto il tempo passava, ogni giorno l’inverno si avvicinava e, prima dell’inverno, come è sempre avvenuto da che mondo è mondo, sarebbe arrivato l’autunno con le sue piogge. E le piogge finalmente arrivarono.

Non so che si aspettassero gli eserciti tedeschi ma certo non trovarono comode strade d’asfalto o comunque piastrellate. Non fu così e le strade si trasformarono tutte in enormi insuperabili pantani, che bloccarono l’avanzata. 

I carri , i panzer, le moto, pesanti com’erano, creavano solchi e affondavano, bloccandosi e mettendosi di traverso, sicché li si doveva spingere a mano, spingere un carro con un altro carro, finché anche questo si impiantava. Un disastro che i tedeschi neppure lontanamente immaginavano. Alla fine i mezzi impantanati venivano spinti fuori  strada, mentre ancora tutta la carovana era ferma e, fermandosi. affondava nella melma e non ripartiva. I tedeschi ora cercavano cavalli per farsi aiutare e sicuramente invidiavano l’abbondanza di cavalli dell’esercito di Napoleone 

L’esercito ora avanzava ma avanzava a fatica; la guerra lampo era un ricordo e gli ufficiali cominciavano a riflettere sui loro morti. Più di un milione fra morti e mutilati, un macello infinito e i Russi non parevano finire mai. Morivano, morivano ma ne arrivavano sempre altri. 

Poi arrivarono finalmente il gelo e le strade gelate , su cui i carri tedeschi potevano fare presa e non affondare. L’avanzata riprese e, con l’avanzata, l’ottimismo ma durò poco, il termometro cominciò a scendere, per poi scendere a precipizio. I tedeschi e gli alleati conobbero il freddo russo che scendeva fino a quaranta sotto zero. Un inferno micidiale. I soldati impararono che non potevano urinare all’aperto perché l'urina e il pene ghiacciavano e si staccavano. L’inverno era arrivato, i soldati non avevano neppure le divise invernali, l’illusione della guerra lampo era svanita nel gelo e gelavano anche i pensieri . Mosca ora era vicina a portata di mano, ma quel diavolo di Stalin aveva fatto arrivare i siberiani, soldati imbacuccati e coperti di pelliccia bianca. Nella neve non li vedevi neppure. E l’esercito Russo ora, davanti a Mosca, sfuggì all’accerchiamento e non si fece più insaccare. Stalin si preparava a difendere Mosca con i militari e con i civili che scavavano una trincea dopo l’altra. 

Mosca faceva paura e Stalin aveva fatto spostare le fabbriche in qualche posto al di là di Mosca. I tedeschi sapevano bene che  le città e i villaggi avevano combattuto prima di arrendersi, quando il fronte era ormai lontanissimo. A  Mosca si sarebbe combattuto strada per strada. La città di Stalin non si sarebbe mai arresa e i russi sarebbero spuntati dietro di loro da tutte le parti come ormai dovunque alle loro spalle spuntavano e sparavano i partigiani. Forse Hitler incrociava le dita e aveva ben ragione di farlo.  Leningrado resisteva e il tentativo di conquista di Murmanskea, unico e vitale porto al quale approdavano gli aiuti occidentali, era fallito, manifestando, se mai ce n’era bisogno, l’enorme anomalia della Russia.

 

I tedeschi avevano studiato la cartina volevano a tutti i costi quel porto militarmente più importante di Leningrado e Mosca. Sulla cartina avevano individuato la strada, contorta ma chiara. S’inerpicava sulla montagna che dominava il porto e scendeva dalla cima fino alla città. Anche in questo caso si erano probabilmente detti, non una passeggiata ma quasi e avevano inviato forze ben al di sopra del necessario, perché il porto doveva cadere velocemente nelle loro mani, a tutti i costi. per bloccare gli aiuti e le armi americane. Ma la strada non c’era. La cercarono e trovarono a malapena un sentiero ormai invaso dalla vegetazione. Pensarono che la mappa riportasse come strada quel sentiero ma anche questa interpretazione risultò fasulla. Solo più tardi conclusero che la cartina non era un falso ma che quella strada riportava il percorso dei fili del telegrafo, anch’esso abbandonato. Ora a Murmanskea arrivava la ferrovia ma per giungere alla ferrovia dovevano conquistare Murmanskea.

Un soldato tedesco racconta come e quando in lui crollarono le speranze.

Siamo in piena estate quando a sud i tedeschi cercavano di arrivare al petrolio, inseguendoli in pianure brulle, soffocanti, polverose o in interminabile pianure di grano e di girasoli. Quelle pianure sterminate col suo gelo invernale, il suo asfissiante caldo estivo, le sue distese di steppe, polverose e deserte o coperte di grano o di girasoli- racconta un soldato tedesco - i russi ce l’hanno nel sangue da quando nascono e da innumerevoli secoli prima che la follia omicida della patria romantica si affacciasse alla cultura occidentale.

 Come i tedeschi raggiungevano i fiumi, piccoli o grandi,  trovavano valli ubertose, verdi, coltivate con gente accogliente. Lì non c’erano né polvere né girasoli ma uova in quantità, carne, polli, latte, formaggio, vino, vodka e pane in quantità. E il Paese di bengodi lo erano veramente quelle valli lunghe, larghe e infinitamente verdi.

“E dire”, pensavano i tedeschi, soprattutto i loro capi“, che di qui è già passato l’esercito russo e ha fatto man bassa. Chiedevano dei russi ma gli abitanti rispondevano: “Soldati russi? Mai visti. Neppure uno” dicevano allegri e non si sapeva se raccontavano palle o se veramente l’esercito russo era passato chilometri sotto o chilometri sopra.

E’ probabile che i comandanti dei tedeschi abbiano pensato “L’immensa Russia è piena di sorprese e ricca. Come possiamo pensare di batterli? Adesso siamo lontanissimi da casa, non ce la ricordiamo neppure più e dobbiamo continuamente fermarci per aspettare rifornimenti che non arrivano mai, o arrivano marci. Mentre qui si muore di caldo e tutto si scioglie; quei cretini laggiù sono capaci di farci ora arrivare i cappotti invernali.”

 Forse questi pessimistici pensieri erano ormai insediati in tutte le loro teste: “La grande Russia l’abbiamo appena toccata. Troppo grande per conquistarla”, specialmente ora che hanno imparato a ritirarsi. Per quanto? All’infinito.”

Quella Russia era troppo grande per loro e sarebbe stata la tomba per tutti.

 

Gli ardenti profeti e missionari della democrazia pensano che andrebbe in tutt’altro modo, ma la storia non ci insegna una simile visione e l'America da sola o con la NATO ha perso tutte le guerre dove ha inviato il suo esercito a conquistare. Per questo ha cambiato. Ora, sanzione, bombe e poveri cretini che a terra si fanno ammazzare per l’Occidente.  In ogni caso la speranza che Putin, o chi per lui, venga a Canossa, ad arrendersi e inchinandosi al Comico  accompagnato dai criminali NATO, e da tutti i nostri giornalisti, dica:  “Perdonami, la Russia è tua?” è del tutto illusoria. 

I russi pensano: “Anche se la proiezione di Mercatore esagera, la Russia è immensa, “Tanto immensa da seppellire con onore i suoi venti milioni di morti contro l’aggressione nazieuropea e gli altri milioni di morti che farete con la prossima invasione. Mi correggo: non ‘prossima invasione’ ma ‘prossima disastrosa invasione’: la sterminata Russia ha sepolto già i tedeschi, le SS ucraine, quelle tedesche, i tedeschi, i rumeni, gli Italiani, i Francesi. Venite c’è posto per tutti, non solo per i nostri morti. “E’ grazie ai venti milioni di morti russi se oggi Biden e Zelensky  non ubbidiscono a Hitler. E dire che il vostro Patton, vinti i tedeschi, voleva subito imitare Napoleone e Hitler. Santo dio, un po’ di pazienza, cari americani, cara UE, cara Nato, aspettate almeno un altro centinaio di anni.”

 

lunedì 19 settembre 2022

Auguri a Italexit. - I fatti


 Non parlo delle disquisizioni fra fatti e interpretazioni non pervenute nella cloaca d'ignoranza dei giornalisti parlo con ritrosia dei fatti e delle frasi tipo Gruber "Che la Russia abbia aggredito è un fatto" ma indubbiamente le discussioni fra fatti, verità e interpretazioni hanno impregnato la cultura occidentale ma non quella dei nostri giornalisti marchiati dall'ossessione : "Che la Russia abbia aggredito l'Ucraina è un fatto"

Se io, Ucraina, sulla mia macchina attraverso un incrocio e vengo investito dal camion Russia, questo è un fatto, chiaro, inequivocabile ma, prima di distribuire le colpe, non è meglio vedere com'era il semaforo? Se il semaforo per la macchina Ucraina era rosso, come la mettiamo? Era Rosso? Che dite? Per me era rosso o perlomeno giallo. Era giallo dal duemila dodici quando Putin aveva detto che un’occidentalizzazione della Ucraina, avrebbe posto fine alla pace, ma nessuno volle credergli. 

La Russia? Chi se frega, ormai è solo una povera potenza regionale. Figuriamoci! Protesterà ma non farà nulla. Se ne starà acquattata e nulla più. Osiamo pure tranquilli, trangugerà ma non farà nulla. E invece in Russia non c'erano più Gorbaciov o l'ubriacone Eltsin ma Putin e Putin ha reagito.  


Italexit auguri - Il Profeta Giulietto Chiesa

 

Ascoltate cosa diceva Giulietto Chiesa già nel 1914
https://www.youtube.com/watch?v=BYtbr5tTu1Y


lunedì 21 giugno 2021

Un libro da non perdere: ELIZA una storia macedone di Umberto Li Gioi

Bel libro, Superba, avvincente narrazione. Già il fatto che non sia uno dei tanti polizieschi con commissario che magicamente individua il reo, o peggio un romanzo rosa, o peggio un  dei tanti romanzi dove il protagonista si guarda l’ombelico e i visceri per compiere l’immancabile ricerca su se stesso, è prodigioso.

Ma prodigiosa è la narrazione che. procedendo con ritmi calmi, ragionati e uno stile chiarissimo, racconta eventi tragici, eventi festosi e sentimenti  di volta in volta avvolgenti, umani, sentiti, narrando nello stesso tempo una storia d’Italia, di Grecia, di Albania. Una storia di guerra e di pace.

Troppo lungo.? Nulla più del necessario anzi vorremmo saperne di più, ad esempio, dei fratelli della moglie, partigiani con Tito. Troppo lungo? Ci saremmo persi le mirabili descrizioni dei posti, visti nella loro realtà e mai estetizzati, dei volti, delle espressioni,  delle frequentazioni, in quel lembo di terra macedone, di quei locali pubblici, dove si mangia si beve, si discute nel chiasso e nell'allegria, come succedeva nelle nostre "osterie": luoghi di pulsante di umana socialità. 

Ci saremmo persi il racconto della lenta penetrazione degli ingrati maomettani albanesi. che restituiscono odio alla generosa accoglienza, fino ad occupare il paese con una soverchiante  migrazione e costruendovi pure una dominante moschea.

Senza questa ricchezza non avremmo potuto seguire il padre strappato alla famiglia per mandarlo in una folle guerra, la madre, i compagni soldati, l'arrivo dei soldati tedeschi, le paure, le coraggiose fughe,  il commovente matrimonio, il lungo, attento, affettuoso commovente racconto di Ljubo e, soprattutto non  avremmo potuto goderci la figura eccezionale, indimenticabile della moglie, Eliza,  Una donna vera, i cui forti sentimenti, la cui decisa personalità dominano il racconto. 

Ma non posso certo dire tutto. Acquistate questo libro mirabile e se amate la lettura non sarete delusi.   




lunedì 31 maggio 2021

Foibe e Walkabout Literary Agency.

Non parlate delle foibe e dei loro orrori nei vostri romanzi. Non parlate male dell'editore radical chic Einaudi, dell'ignoranza di pensiero  dei nostri cattedratici professori di filosofia. Le agenzie letterarie anche se apprezzano il vostro romanzo anche se lo lodano , troverebbero solo difetti, inventerebbero solo scuse per scartarvi.

Potrei parlare di tutte le quattro agenzie letterarie che ho contattato, ma per brevità e gravità, mi soffermerò su una: sulle menti fini e colte dell’agenzia Walkabout Literary Agency.

Ma quando ci facciamo la nostra casa editrice? Sono pronto a impegnarmi anche finanziariamente.

Argomento Foibe

 Scrive il bipede letterato (non specifico se maschio o femmina) dall’alto della sua scienza:

Il romanzo si situa tra la cultura americana (che è più dettagliata e consente al lettore di calarsi nell’atmosfera) e quella italiana, che invece rimane più superficiale. La brama di raccontare il cuore dell’America, inoltre, appare troppo esagerata e in alcuni passaggi stereotipata.

A questo tentativo di spostare l’attenzione sull’Italia, rispondono i discorsi intrattenuti sulla cultura italiana. Ne è un esempio il tema delle Foibe, che già fatica a essere motivo di dibattito nella nostra società, ancor di più risulta “fuori luogo” tra personaggi americani, per di più giovani e senza una solida formazione culturale.

Fuori luogo? Purtroppo la cultura italiana e gli italiani allora non parlavano affatto delle Foibe, perché le Foibe non esistevano, non erano esistite, non comparivano né nei libri scolastici né nei dizionari enciclopedici. Per questo motivo l’Italia, gli Italiani non potevano parlare delle Foibe. La Cultura non ne parlava ma si dava da fare per tacere, occultare, deviare, come tenta di fare lei con una vera e autentica censura preventiva. 

Quanti furono gli italiani massacrati nelle Foibe? Chi lo sa. L’Italia civile degli storici marxisti piuttosto di parlarne andavano a raccogliere le margherite, i bucaneve, oppure si dedicavano alla fecondazione artificiale dei coleotteri in Valsugana. E naturale che si sia constatato che delle foibe ai nostri studenti non veniva insegnato nulla e perfino la parola “Foibe”, non comparisse come sta facendo lei con il suo tentativo di censura preventiva.

Ha capito, signora letterata, l’argomento Foibe non compariva! Compariva invece, ad esempio, sul Vocabolario della lingua parlata in Italia, a cura del noto Carlo Salinari, militante del PCI che scriveva 

Dolina con sottosuolo cavernoso. Indica le fosse del Carso nelle quali nella guerra ’40,45, furono gettati i corpi delle “vittime della rappresaglia nazista,” 
Ha capito letterata? “Furono gettati i corpi delle vittime della rappresaglia nazista” Ha capito lemure, che criminale bugia? I nazisti al posto dei comunisti Titini. Non basta! Il Garzanti De Agostiniriedito da “Repubblica” nel 20004, (ha capito “2004”) parla angelicamente di “fenomeno carsico”. Nel 2000 il Devoto Oli parla di:
:“Fossa comune di lotta civile e assassinii politici”

 

mentre Nel dizionario di Paravia del 2000, Tullio De Mauro parla con indecenza di:

 

“Fossa comune per occultare cadaveri vittime di eventi bellici!”

Inutili anche i tentativi di gettare solo sugli slavi le responsabilità. Il viaggio degli esuli, trattati in Italia come lebbrosi, si trasformò in un viaggio della disperazione, insultati dalla ben presente forza partigiana. Inoppugnabile testimonianza che chi li ha perseguitati in questi 70 e più anni furono i partigiani italiani. Nella loro fuga senza fine, tra l’ostilità e il disprezzo in Italia, non c’erano slavi non c’erano Titini ma solo partigiani rossi. 

Massacro slavo etnico e non politico? Ecco quello che ci ricorda uno di quegli esuli, Mario Cappellini di Milano, in una lettera alla Stampa:

“Caro Aldo, il giorno del ricordo delle Foibe, mi dà lo spunto per una riflessione. Quei massacri sono sempre e solo attribuiti ai partigiani comunisti di Tito e nessuno, o quasi, cita mai la collaborazione data ai Titini dai partigiani comunisti italiani. Sono nipote di esuli istriani scappati nel ’45 e ricordo bene i loro racconti. La loro paura maggiore era quella di incontrare i partigiani italiani che erano più crudeli dei titini.

Possibile che dopo più di settant’anni si cerchi ancora di nascondere quello che, ahimè, fa parte della storia?”

Risponde in poche righe il signor Aldo:

“Caro Maurizio, mi associo al suo ricordo e alla condanna per quella pagina nera della storia nazionale.!

Stop? Tutto qui? Lui si associa! Le parole d’ordine della società civile sono diventate “Mi associo” quando non se ne può fare a meno, oppure “auspico, auspichiamo” tutto per mettere una pietra sopra e correre via.

Ha capito radical chic!?

C’è poi alla base dell’assurda critica modello radical chic anche un misconoscimento totale: il romanzo non vuole raccontare la cultura italiana del tempo ma la storia di una famiglia esule, fuggita dall’Italia in America, i cui genitori sono stati assassinati e gettati nelle foibe. Almeno questo è il romanzo che ho scritto. Lei ne ha letto un altro? Papà Giulota in comunicazione con l’Italia, tramite un’associazione esuli, è ben informato della situazione e ne soffre. Al figlio vero e a quello adottivo che si stanno trasferendo in Italia per lavoro, affida la missione di parlare delle Foibe in un paese dove le foibe ancora non esistono.

Nel ’43, faccio notare. i Titini occuparono paesi e processarono la popolazione sospetta di collaborazione con i fascisti. Alcuni furono condannati altri, assolti, tornarono liberi, ma all’approssimarsi delle forze tedesche i nostri baldi Titini non esitarono e buttarono nelle foibe anche quelli che avevano assolto. Ha capito Aquila?! Formazione culturale solida? Solida come gli estensori dei libri di testo e dei dizionari? 

E veniamo all’altra accusa concernente la situazione editoriale in Italia.

Scrive la radical chic:

E così anche il discorso sulle case editrici, sugli editori italiani che si fanno portavoce sulla cultura di destra e di sinistra. Nonostante i dialoghi siano messi in bocca a personaggi italiani, appaiono poco realistici in un romanzo intriso di cultura americana, in cui si sta descrivendo la maturazione e la crescita di “ragazzacci” americani.

I dialoghi non sono “messi in bocca”?. Lei racconta palle. Che libro ha letto? Non certo il mio dove viene raccontato un dialogo fra un funzionario moderato del partito comunista e un impiegato dello stato che detesta l’elite. I due “ragazzacci” americani assistono e tacciono. Riporto i brani incriminati e una biografia letteraria che penso comune a molti italiani, che allora si muovevano tra le pubblicazioni degli editori italiani, tra cui il vostro idolatrato editore Einaudi che alla loro cultura non contribuì affatto. 

E vengo alla editoria e alle sue critiche, riportando i brani incriminati, Interviene funzionario comunista:

- Le librerie sono piene di merda. - stava continuando Rossini - Gli editori vogliono solo i bestseller degli States, le infami storie di avvocati, le favole rosa. Tutta robaccia scritta da illetterati ignoranti, da cani e porci. Per fortuna ci salva Einaudi…

- Lei insiste con i libri Einaudi - gli oppose Petri - e in un certo senso, come torinese, dovrei esserne orgoglioso ma dire che l’editore Einaudi rappresenti la cultura italiana è assolutamente falso. Einaudi rappresenta la cultura di un’élite con la puzza sotto il naso; quella stessa élite salottiera di sinistra che ha cacciato Montanelli dal Corriere della sera.

- Forse ha qualche ragione ma mi chiedo se esista un’altra cultura in Italia. - replicò Rossini.

- Io mi faccio invece un’altra domanda.- riprese animosamente Petri - Che aiuto ho avuto dai libri Einaudi? La mia risposta è semplice: nessuna. Cosa leggeva chi, come me, amava leggere e non aveva i soldi per comprare i salati libri Einaudi? Ebbene la risposta è semplice. Nella mia piccola libreria ho conservato i libri che potevo permettermi e cosa ci trovo? Libri, come I libri del Pavone, editi da Mondadori, libri bmm, libri Bur. Lei forse non li ha mai sentiti neppure nominare ma io sui libri del Pavone ho letto Kormendi, Steinbeck, S. Lewis.

- Nel Pavone c’erano Nobel come Steinbeck con La valle dell’Eden, Hemingway con I Quarantanove Racconti e Per chi suona la campanaEhremburg con Il disgeloCadwell con La via del Tabacco. Era la collana proletaria di Mondadori dedicata ai moderni e contemporanei Una simile collana proletaria, a basso costo, non esisteva da Einaudi.

Era partito in quarta Petri nella sua filippica e non tentava neppure di nascondere, in quella foga sanguigna, la sua profonda ostilità per quel mondo, un’ostilità che però - ormai certi segnali ero in grado di coglierli - non erano diretti contro Rossini ma contro la moglie. Lo coglievo dalle occhiate in tralice anche dalla posizione che, se col viso era rivolto a Rossini, col corpo era piegata scomodamente verso la moglie, suo vero obiettivo: un discorso a nuora perché suocera intenda. 

La moglie non pareva cogliere quei segnali: tranquillamente non guardava tutti con compatimento ma quasi, come se assistesse a una superficiale, immotivata, ostinata serie d’infantili ripicche.

Intanto Petri proseguiva.

- Il Pavone era parente stretto della più aristocratica e blasonata “Medusa” e quei bei libri, dico belli, non solo per il contenuto ma per la rilegatura, perché cuciti e non incollati, per la carta e l’inchiostro, non potevo certo permettermeli.

C’era un’altra collana di Mondadori altrettanto proletaria e altrettanto ricca ed era la bmm. Nella bmm trovavi di tutto. Romanzi, racconti, biografie, poesia, teatro, saggistica. Era una colossale enciclopedia.

C’erano i classici ma anche i moderni e i contemporanei. Mann Stendhal, Pirandello, IbsenShaw, la Deledda, Carlo Levi, Fogazzaro, Verne, D’annunzio; quelli che non trovavo lì, li trovavo nella bur di Rizzoli. Lì trovavi tutto il mondo classico, tutto il settecento, l’ottocento e parte del novecento. Ora, però, stiamo annoiando il nostro amico americano, lui al bar dell’università faceva di sicuro discussioni più interessanti.

Protestai che per me andava bene, che mi stavo ambientando in una cultura vecchia di millenni. Non era una discussione scipita, noiosa ma interessante e con implicazioni politiche evidenti.

 

A questo punto il romanzo vira di nuovo verso l’evento foibe. Perché questo è importante per i due americani che lavorano in Italia?

- Di fatto - dissi - non mi sto annoiando, anche se io stesso non mi stupirei se accadesse. Che mai può interessare a un americano come me una disputa sugli editori italiani? E invece m’interessa perché è, in effetti, una disputa politica che tocca un punto dolente della vita della mia famiglia esule in America perché in fuga dalle foibe dove furono buttati, dai comunisti di Tito, i genitori di Papà Giulota.

L’avevo detto e anche Rossini ammise che il comportamento della sinistra sulle foibe era inesplicabile.

- Inesplicabile è il suo tentativo di seppellire tutto. Chi in questo sa qualcosa sulle foibe tranne il fatto che là sotto ci sono metri cubi di morti ammazzati?

Rossini si disse pronto ad ammettere tutto ma Petri gli replicò che questo tipo impotente di ammissione poteva anche essere considerato un meschino mezzo per eludere l’argomento - Che dovrebbe mai fare, secondo te, uno come Rossini? Mettersi a gridare all’angolo della strada: “Gente, siamo colpevoli di aver tentato di seppellire una nostra colpa?” - interloquì, con leggero sorriso di scherno la moglie, non ostile al marito in sé ma a una certa maniera di parlare adatta ai bar di periferia.

- No - replicò Petri - ma non vedo come la sinistra comunista non debba cominciare a discuterne sul serio. Tutti gli storici che sono di quella parrocchia - e come sembra lo sono quasi tutti - che hanno fatto? Quelli pur di non parlare delle foibe, pur di non parlare di responsabilità, parlano della fecondazione artificiale dei coleotteri. - sghignazzò in maniera volgare.

Nonostante il vigore di Petri, di cui in cuor mio lo ringraziavo, come certo in quel momento stava facendo Quinto, che intervenne con un’osservazione: a Rossini che formulava l’ipotesi di un rapporto tra strage e fascismo degli istriani italiani, lui non rispose, come avrei fatto io che l’essere italiani o fascisti non giustificava una simile strage, a guerra finita, ma semplicemente disse:

- Questo vi posso garantire: che nella famiglia di mio padre non si sentivano fascisti. Non solo non si consideravano fascisti ma neppure Italiani. Si sentivano Veneziani e commercianti. Veneziani e commercianti. - ripeté - Avevano un forno per il pane e lo vendevano a Slavi, Italiani, Veneziani, fascisti e non fascisti, ma si sentivano Veneziani. I loro antenati avevano difeso per secoli quelle terre, combattendo e fortificando le coste. Mai più si aspettavano di essere ammazzati e cacciati dalle terre per le quali i loro antenati erano morti.

- L’Italia era ed è tuttora dominata dagli intellettuali comunisti che negano le foibe, anche se, a denti stretti, devono ammettere l’esistenza di quelle mattanze avvenute, in gran parte, a guerra finita. Loro sostengono che i morti buttati laggiù erano solo fascisti e soldati fascisti, ma questo è assolutamente falso, laggiù c’è di tutto. E lo dico con sicurezza perché mio nonno e mia nonna non erano fascisti. A dire il vero non si sentivano neppure italiani ma veneziani. La loro famiglia abitava in quelle terre dal settecento quando le galee veneziane salvavano l’Europa dai Turchi. I loro antenati avevano eretto bastioni e fortezze che hanno difeso non solo Venezia ma tutta l’Europa dai Turchi. A questo servirono le gigantesche fortificazioni nei porti e nelle città dell’Istria e della Dalmazia. - Dopo questa esibizione, Quinto prese respiro ma riprese subito - I miei antenati avevano un forno per il pane. Mio nonno lavorava tutti i giorni dalle tre del mattino fino al pomeriggio inoltrato, come fa ancora mio zio, che ha una panetteria qui in città. Poi, dopo una passeggiata, si ritirava a dormire. Questo tutti i giorni, domeniche, Pasqua e Natale compresi. Nulla di eccezionale poiché da che mondo è mondo, tutti i panettieri fanno questa vita. La domenica pomeriggio andava a giocare alle bocce. I miei nonni sono stati infoibati entrambi; sapete come facevano quei macellai? Ne legavano fra di loro una decina col fil di ferro e poi spingevano il primo che si trascinava tutti gli altri. Cadevano nel buco per decine di metri e, se non morivano nella caduta, urlavano tutta la notte. – raccontò Quinto con un fervore che non ammetteva dubbi.


Concordo con quanto scritto sopra sull'Editore Einaudi. 

[...] libri di Einaudi non rappresentavano affatto la cultura italiana ma la parte di sinistra e di estrema sinistra. Non a caso, nacque Adelphi, con l’intenzione di offrire al lettore una parte culturale che Einaudi non voleva coprire.

 Gli anni sessanta, per noi che diventavamo adulti, furono una manna anche per l’orgia di dispense culturali a basso prezzo nelle edicole. Parlo delle dispense dei Capolavori nei Secoli, de I maestri del Colore, editi dai Fratelli Fabbri, di quelle geografiche de Il Milione da cui appresi giovanissimo l’esistenza di una storia della musica, io che, ignaro anche della terza rete rai, non avevo mai sentito altro che le nenie dei papaveri, delle papere, dei balli del mattone, delle mamme amatissime, degli alberi infiniti in una stanza, e che pensavo che la musica fosse tutta lì. Dal Milione appresi che esisteva per ogni paese una storia della musica che si unificava, che erano esistiti Monteverdi, Palestrina, Mozart, Paisiello, ecc. Più tardi, negli anni, uscirono nelle edicole i fascicoli di Storia della musica.

Molti pezzi classici come le sinfonie di Beethoven, la sesta di Ciaikovskij, la Sinfonia del nuovo mondo, ecc. o opere come Otello, ecc. erano in vendita alla Standa per la modica e popolare cifra di mille lire a disco. 

Rizzoli e pubblicava i capolavori nella Bur: tutti i capolavori più o meno grandi del passato in edizione economicissima e povera. Accanto alla bur pubblicava anche collane di libri eleganti, cuciti, rilegati. Analogamente Mondadori pubblicava accanto a collane di libri economici (bmm, Pavone), che abbracciavano romanzi moderni, classici, pittura, architettura saggistica, filosofia, l’aristocratica e cara Medusa di scrittori moderni e contemporanei.

L’offerta di cultura a costi popolari era ampia e non proveniva da Einaudi. L’Italia posava mattoni per le abitazioni popolari e meno popolari ma anche mattoni culturali per le tasche proletarie. L’unico problema era l’abbondanza e la necessità, per quei giovani non finanziati dalla ricca e snobistica elite, che non avevano già in casa una biblioteca famigliare perché venivano dalla “Bassa”, che non studiavano l’elitario greco del classico, l’impossibilità di comprare tutto e di dover fare scelte ogni settimana. Ma furono comunque tempi culturalmente folli. I due grandi partiti effettivamente popolari andavano a braccetto con l’abbondante offerta di cultura a prezzi popolari. 

Accanto ai grandi editori interclassisti in grado di accontentare tutti i gusti e tutte le tasche, c’era l’Editore Einaudi, uomo ed editore di sinistra, impegnato nel costruire una supremazia culturale con edizioni ricche, belle e care; non certo per le tasche proletarie. I suoi libri erano tutti cuciti, eleganti, veri arredi per librerie di gente snob, ignorante e non ignorante. Era ovviamente l’editore osannato dalla società civile, dall’elite nobile e radical chic, che disprezzava i grandi editori e ancor più li disprezzò fino all’odio allorché a rilevare una Mondadori in fallimento per le perdite T.V., arrivò l’arcinemico Berlusconi che poi salvò dal fallimento anche Einaudi. Non un merito per la società civile ma un’altra offesa da lavare a tutti i costi.   

L’Einaudi rappresentava la negatività della democrazia italiana, l’immagine della repubblica platonica dell’Espresso e dell’egemonia culturale radical chic.

Non era difficile prevedere che questa aristocratica elite avrebbe ridotto l’Italia e l’Europa al disastro, all’umiliazione delle classi medie, alla rabbia sociale, alla povertà di tutti e alla ricchezza di pochi. Il pensiero unico di sinistra trionfava, il nuovo elitarismo di sinistra trionfava, alimentato da una moltitudine di giornalisti, attori, registi, che vivevano la loro brillante vita a spese dei contribuenti.

Per oggi mi fermo qui ma seguiranno, per la grande  Walkabout Literary Agency altre puntate per svelare altra ignoranza, altra intolleranza, altre incredibili critiche



lunedì 24 maggio 2021

Bombardamenti di Clinton sulle Serbia

 


Bombardamenti di Clinton sulle Serbia

Effetti collaterali.


Effetti collaterali sui ragazzi serbi sotto i bombardamenti della Nato dell'America di Clinton e dell'Italia di Dalema. Un bel omaggio fattomi dalle autrici; un libro in cui sono i ragazzi a parlare e che dovrebbe essere in commercio tanto nelle librerie serbe che italiane. L'Editore non avrebbe neppure la spesa della traduzione già presente nel libro. Per questo anche per questo le ringrazio del dono prezioso. 




" Ancora mi chiedo perché quegli sconosciuti giocavano con noi premendo sulle loro consolle i bottoni della morte come un video gioco. avevano anche loro figli? Perchè si comportavano con noi come se fossimo stati virtuali e non veri bambini?" 


"Dicevano che avrebbero mandato anche l'esercito, per occupare il nostro paese via terra. noi bambini ci trovavamo nel cortile della chiesa e fantasticavamo su come avremmo potuto contribuire alla difesa del nostro paese."


"Dopo un po' la gente cominciò a radunarsi in piazza, scendevamo sulle strade a protestare contro il nemico. indossavano  magliette, cappellini, e spille con la scritta "target", perché tutti eravamo bersagli "invisibili" di aerei altrettanto "invisibili" da cui venivano lanciate bombe ben visibili."

Certo  le descrizione di paura di dolore, dei rifugi toccano maggiormente la nostra anima, ma quelle citate testimoniano un ben vivo senso di giustizia, di orgoglio e la consapevolezza di essere perseguitati da dei "carnefici". Non a caso i bambini parlano di crudeltà del potente verso il debole,  dei forti, ricchi, potenti paesi della nato contro la piccola, povera Serbia. Parole dense, impressionanti, mai ingenue; non solo quelle che ho citato ma tutte. Un avviso, un'accusa al cuore di chi quelle paure, quelle disperazioni le provocò ordinando con indifferenza  le bombe su un popolo verso il quale tutto l'occidente aveva solo debiti.

Ancora un grazie ad entrambe le autrici, con la speranza che il piccolo libro che si legge tutto d'un fiato in una sola notte, diventi disponibile nelle librerie.





venerdì 27 novembre 2020

Dopo il mio lungo. Covid, Impero UE, Sovranismi

Non un tentativo di indirizzarvi verso Italexit, ma solo una sede virtuale dove ragionare, argomentare discutere sulla UE.


 Pensate ai grandi imperi del passato, a  quello cinese, a quello egizio, a quello persiano, al nostro impero medioevale, all'impero della chiesa. Tutti quei secoli imperiali in ogni punto della terra, in ogni periodo hanno prodotto meno conoscenza meno arte, meno
progresso che poche decine d'anni nelle città greche come Atene e nella città rinascimentali italiane come Firenze, Milano, Venezia, dove la civiltà veniva creata (Atene) o ricreata (Firenze, Venezia) ed esportata, come ad esempio a Roma, dove si creavano, sì, grandi capolavori ma chi li creava erano Raffaello, Michelangelo, ecc.

Le grandi democrazie come gli Stati Uniti la Svizzera la Gran Bretagna  resistono al tempo, ai secoli solo se conservano un ordinamento confederale, presupposto per la non omogenizzazione del pensiero, delle culture, delle tradizioni, delle abitudini che, creando  uniformità, spesso forzata, schiacciano diversità ma la diversità, la libertà delle diversità, sono le matrici della creatività culturale, del progresso civile e conoscitivo, delle grandi opere d'arte, il terreno fertile perché, come in Atene, a Venezia, a Firenze, a Milano a Mantova, nascano le opere d'arte, fioriscano il pensiero libero, la letteratura, la filosofia, la matematica, la scienza. Dante credeva nell'impero ma scrisse nel volgare fiorentino. Le città rinascimentali cercavano di liberarsi dai due totalitarismi del papato e dell'impero ma questi riuscivano a dare le loro zampate: Galileo fu costretto all'abiura e Giordano Bruno fu bruciato vivo al campo dei Fiori. 

Non illudetevi che la democrazia possa resistere alla volontà unificatrice, imperialista della UE. Neppure il senato romano, la particolare democrazia romana, la sua libertà di pensiero riuscirono a resistere al pensiero dell'unità, al pensiero della sovranità dei cittadini, al rifiuto della pace e dell'armonia. I pochi Bruto in circolazione riusciranno a impedire la che la democrazia UE si trasformi in un impero? Con gli stessi insegnamenti alle elementari, alle medie inferiori e superiori, alla università, alle stesse convenzioni sociali, alle stesse leggi universali che valgano per le culture, le religioni, le non religioni, le società più diverse. 

La democrazia è inimicizia, (Nel senso dell' '"amico, nemico di Carl Schmitt), diversità, non armonia e pace. Non lo è neppure nel tempo del Covid. 

Si sente continuamente invocare l'abolizione delle regioni in Italia. l'abbandono delle nazioni in Europa, ma chi contrasterà l'impero, chi proteggerà la democrazia dopo che i furfanti del PD hanno accettato Conte e i DPCM, esautorando il parlamento, dopo che gli ignoranti estensori della costituzione non sono neppure riusciti a capire che i crimini e la politica di repressione del crimine sono cose diverse ed hanno assegnato al potere giudiziario tutta la politica di repressione del crimine,   dopo che viene finanziata dallo stato la stampa cartacea, (immane spreco di  denaro e alberi) si dedica a insultarci, dopo che le televisioni sono tutte in mano dell'Elite?

Oggi c'è il covid, domani ci sarà l'emergenza fame e povertà o il covad o il covud e allora perché non dire che siamo sempre in emergenza e togliere di mezzo questa ingombrante democrazia e fare come la Cina che ha saputo combattere il Covid così bene? 

Perchè non affidarci all'Europa che ha fatto miracoli decidendo che le banane non lunghe tot, le mele non tonde tot, non sono banane e mele, cosa decideranno dei nostri pensieri per chiamarli pensieri?

Ci salva pensiero unico per il quale le banane piccole non sono banane, le mele e le pere piccole non sono pere, le diversità diventano volontà generale, le diversità delle memorie diventano MEMORIA CONDIVISA, ossia memoria unica?

Memoria condivisa sulle Foibe, sulla guerra civile? No, grazie noi ci teniamo la nostra e smettetela di cercare di imporci la vostra.

Il pensiero radical chic parla di noi come sovranisti ma nella sua ignoranza, con tutti i suoi espertoni e sociologoni, non si sono neppure degnati di uscire dall'insulto culturale per cercare di capire quello che chiamano "IL BARBARO UNIVERSO SOVRANISTA", per cercare di esplorarne le ricche articolazioni, le ricche diversità.

Se confederazione deve essere perché le repressioni furibonde contro la Catalogna, contro i paesi baschi. Perchè non si dà l'indipendenza all'Alto Adige, alla Corsica e in genere a tutte le regioni che la vogliono? Dobbiamo arrivare un bel giorno a guerre dilanianti come quelle dei Balcani? L'UE tace ma non esiste l'autodeterminazione dei popoli sancita dall'ONU?

Rinvio la continuazione ad altri post.

Ezio Saia