Una storia di eresie
Una filigrana
di eresie percorre la storia canonica della matematica.
Contemporaneo di Galilei, Bonaventura Cavalieri
inventò un metodo di calcolo, in cui una linea era una somma infinita di punti,
un’area una somma infinita di segmenti e un volume una somma infinita di piani.
La sua opera, nota come geometria
degli indivisibili, fu giudicata come un tentativo di raccogliere l’acqua con
un setaccio. Dice Borges, vero nume tutelare di tutte le eresie.
La vasta biblioteca è
inutile. A rigore, basterebbe un sol volume, di formato comune, stampato in
corpo nove o in corpo dieci, e composto d’un numero infinito di fogli
infinitamente sottili. (Cavalieri, al principio del secolo XVII, affermò che
ogni corpo solido è la sovrapposizione d’un numero infinito di piani).
Cavalieri incredibilmente ottenne grandi risultati.
Oltre che confermare risultati già noti, calcolò lunghezze, aree e volumi mai
prima calcolati. Nonostante questi successi non riuscì a convincere i contemporanei:
quegli strani indivisibili puzzavano troppo di zolfo. Inutilmente si difese
sostenendo i suoi indivisibili erano solo scorciatoie.
Gli indivisibili, queste fantomatiche entità che
erano e non erano, ma dei quali si doveva comunque parlare, furono presto
abbandonati. Con la nuova geometria algebrizzata di Fermat e di Cartesio, gli indivisibili scomparvero, ma nacquero
gli infinitesimi loro stretti
parenti. La geometria era cambiata, ma anche nella nuova si tornò a parlare di
quantità infinitamente piccole e di aree calcolate come somme di infiniti
segmenti. Il sospetto che aveva afflitto gli indivisibili si trasferì sui non
meno eretici infinitesimi; un sospetto che durò almeno due secoli fino a che
Causchy e Weierstrass non inventarono una procedura che otteneva gli stessi
risultati, ma non parlava di infinitesimi. L’analisi poté essere trascritta e
redenta dal rigore che il nuovo metodo permetteva.
Nonostante ciò, molti manuali d’ingegneria
continuarono spesso a lavorare con i troppo comodi infinitesimi fino a che,
nella seconda metà di questo secolo, quegli stessi infinitesimi, che secondo
Leibniz costituivano la grana fine dell’universo accessibile solo
all’intelligenza infinita di Dio, si presero la rivincita, divenendo legittimi
e non eretici cittadini nei mondi dell’analisi non standard inventata ( o scoperta o costruita, o fondata) da
Robinson.
E che dire delle geometrie non euclidee?
Questo tormentone proveniva da un dubbio tanto
antico quanto irrisolto circa la validità dell’assioma[i]
delle parallele formulato da Euclide. L’assioma, che recita che se P
è un punto e a una retta, per P passa una sola parallela ad a, apparve subito sospetto. E neppure
tanto evidente doveva essere apparso a Euclide che lo aveva introdotto, non con
gli altri assiomi, ma dopo aver dimostrato una trentina di teoremi. Questa
strana collocazione fu subito interpretata come se lo stesso Euclide volesse
far capire di averlo introdotto solo nel quando non poteva più farne a meno.
L’idea che il mondo non fosse euclideo, era così
eretica che non venne neppure presa in considerazione. La dimostrazione
dell’assioma divenne, così, l’ossessione
della storia della matematica. Nei secoli si accumularono oltre mille ufficiali
e inutili tentativi di soluzione e non furono pochi i matematici che dedicarono
alla soluzione del problema la loro vita. Wolfang Boylai, padre di quel
Giovanni che diede una svolta definitiva all’enigma, fu fra questi.
Una mezza svolta l’aveva già impressa il matematico
Gerolamo Saccheri di Pavia. Questi negò l’assioma delle parallele e sviluppò un
nuovo sistema. Saccheri sperava di imbattersi in un “assurdo” che dimostrasse
che Euclide aveva ragione e lo volle così tanto che finì per trovarlo anche
dove non c’era.
Ciò che Saccheri aveva iniziato era una geometria
non euclidea. Dopo di lui, altri, tra cui Lambert, fecero intravedere brandelli
di questo nuovo universo. Gauss lo costruì effettivamente, ma non volle
renderlo pubblico e infine Boylai nel 1825 e Lobacevskiy nel 1826, esposero una
nuova geometria che partiva dall’assunzione dell’esistenza di due parallele a
una data retta.[ii]
Boylai comunicò le sue scoperte al padre
commentando: “Aggiungo solo questo: Ho
creato un universo completamente nuovo dal nulla.”
I “nuovi” ed eretici mondi furono accettati dagli
accademici con inconsueta calma (o rassegnazione). Ciò accadde perché il
problema era ormai maturo e anche perchè Gauss li approvò con entusiasmo.
L’autorità e il genio di Gauss[iii]
erano così grandi da poter imporre ai dotti custodi dell’ortodossia (pur fra
amare masticazioni) anche una simile rivoluzione.
Le implicazioni matematiche, filosofiche, fisiche
dell’eresia non euclidea furono e rimangono enormi: Ma soprattutto nuova furono
l’apertura mentale e lo spirito di libertà che una simile rivoluzione riuscì a
suscitare. Com’era effettivamente il mondo? Euclideo o non euclideo? Come si
doveva interpretare questa pluralità di geometrie? Come si doveva concepire lo
spazio? Le geometrie non euclidea non aprirono solo una porta nei muri
dell’ortodossia, ma li sfondarono.
Mentre la geometria veniva così rivoluzionata,
l’analisi stava procurando non pochi grattacapi ai suoi adepti. L’elaborazione
della neonata teoria delle classi proposta da Cantor procurava più sospetti che
certezze. Un’inquietudine che sfociò in una vera guerra che aveva per oggetto
la stessa natura degli enti e dei ragionamenti matematici. Quali ragionamenti
potevano essere ritenuti sicuri? Quali entità potevano essere accettate? Non fu
solo una guerra tra normalizzatori e rivoluzionari. Fu una guerra fra filosofie
rivali e fra mentalità irriducibili.
Alla base della costruzione di Cantor sta il
concetto di corrispondenza biunivoca.
Due insiemi sono in corrispondenza biunivoca ( e quindi equinumerosi, equipotenti, ecc. )quando è possibile far
corrispondere a ogni elemento di un insieme uno e un solo elemento dell’altro e
viceversa. Con questa definizione è facile capire che l’insieme dei numeri pari
è equipotente a quello dei numeri dispari. Non è necessario saper contare per
verificare una corrispondenza biunivoca. Se su tavola abbiamo messo un coltello
accanto a ogni piatto, siamo sicuri che a ogni piatto corrisponde un coltello e
a ogni coltello un piatto e che l’insieme dei piatti è equinumeroso a quello
dei coltelli.
Assegnare una cardinalità ad un insieme finito non
da nessun problema. Le difficoltà nascono con gli insiemi infiniti.
Attenzione!
Qui si parla di insieme con infiniti
elementi, non di infinito potenziale o infinito in fieri, non di quell’infinito che citiamo quando intendiamo
significare che il processo è senza fine, ma dell’infinito attuale: di un
insieme che contiene infiniti oggetti.
Cantor giunge alla definizione di insieme infinito
proprio tramite il concetto di cardinalità. Prendiamo un insieme finito, ad
esempio quello degli umani, e un suo sottoinsieme, quello delle donne. Potremo
farli corrispondere in tutte le maniere che vogliamo, ma non otterremo mai una
corrispondenza biunivoca, poiché l’insieme delle donne è solo una parte
(sottoinsieme) dell’insieme che comprende uomini e donne. Quando, invece, si
lavora con insiemi infiniti accade qualcosa di molto strano in cui si era già
imbattuto Galileo.
Se consideriamo un insieme infinito, quello degli
interi ed un suo sottoinsieme quello dei numeri pari, si può facilmente
verificare come possano essere messi in corrispondenza biunivoca, accoppiando:
1 con 2, 2 con 4, 3 con 6 e così via, come indicato in figura.
Questo
risultato è sconcertante; ci dice che i due gruppi, un insieme e un suo
sottoinsieme, sono equinumerosi. Galileo si ritirò di fronte a questa
assurdità, Cantor, al contrario, la trasformò nella definizione dell’infinito
attuale; un insieme è infinito, ci
dice, infatti, Cantor se ciascuno dei suoi membri può essere posto
in corrispondenza biunivoca con ciascun elemento di un suo sottoinsieme. Il
che non significa altro che per gli insiemi infiniti il tutto è uguale a una sua parte.
Con questo risultato, il dado era tratto, l’infinito
attuale, lo sfuggente e misterioso infinito giudicato di volta in volta
impensabile, opera di fantasia, mostruosità, era stato ingabbiato in una
definizione. Una definizione che insinua molti dubbi: quali proprietà, quali
enti, quali ragionamenti possono essere impunemente usati in questo nuovo,
immenso e sconosciuto dominio?
Qual è il rapporto fra l'infinità dei numeri
naturali e quella dei numeri razionali? L’intuizione ci porterebbe a credere
che i secondi siano infinitamente più numerosi dei primi; esiste, infatti, un
solo numero 2 mentre sono infinite le frazioni con numeratore 2 ( 1/2, 2/2,
3/2) e infinite quelle con numeratore 2. Se i numeri naturali possono essere
rappresentati da una infinita fila di alberi, l'insieme dei razionali sembra
una foresta incantata che non ammette sentieri. I numeri naturali sono ordinati
nella serie:
1 ,2 , 3, .....
in cui ogni numero ha un unico e ben definito
antecedente e un unico e ben definito successore; ma che dire dei
frazionari? Nessuna frazione ammette un
immediato successore né un immediato antecedente. 1/3 non è l'immediato
antecedente di 1/2 né lo 3/5 e neppure 6/10. Per qualsiasi frazione inferiore
ad 1/2, se ne potrà sempre trovare infinite superiori alla frazione pensata e
inferiori a 1/2 Sembra proprio che l'insieme dei numeri frazionari non ammetta
né ordine né bussola e che in quella babelica foresta tra due alberi qualsiasi
esistano sempre altre infinite piantagioni.
La stupefacente impresa di Cantor sta nell’aver
pensato e dimostrato che l’infinità dei naturali è uguale a quella dei
razionali perchè a ogni numero naturale è possibile far corrispondere
biunivocamente un razionale. Ciò che prima di Cantor pareva un infinito labirinto, dopo Cantor appare come
un quadrante infinitamente esteso nelle sue dimensioni, ma in cui un rigoroso
sentiero, infinitamente lungo riesce ad incontrare ogni frazione.
Ecco come Cantor percorre questo labirinto:
La linea a Zig Zag incontra tutti i numeri e la
foresta incantata diventa un sentiero in cui gli alberi, si succedono l’un
l’altro secondo una successione:
1 , 1/2 , 2 ,
3 , 2/2 , 1/3 .......
i cui membri possono essere posti in corrispondenza
biunivoca col sentiero dei numeri
interi:
1 2
3 4 5
6......
Il successivo infinito da affrontare é il continuo: l'infinito di tutti i numeri
razionali e irrazionali, quello dei punti sulla retta, quello dei paradossi di
Zenone, un vero abisso.
La potenza (numero cardinale) di questo insieme è
pari o superiore a quella dei razionali? Ancora una volta l'ingegner Cantor
edifica una delle sue ordinate costruzioni, allineando verticalmente una
infinità di numeri ciascuno con infinite cifre decimali.
0,26543....
0,43567....
0,56243....
0,............
Questo elenco, che è infinito, contiene tutti i
numeri? Se li contiene il continuo avrà la stessa potenza dei razionali se non
li contiene sarà un infinito più potente (di cardinalità superiore) ai
precedenti.
Cantor risolve l’enigma indicando il metodo per
costruire un numero sicuramente non compreso nella lista. Questo numero avrà la
sua prima cifra diversa dalla prima del primo numero, la seconda diversa dalla
seconda del secondo, la terza diversa dalla terza del terzo e così via
all'infinito.
Il numero 0,545... , uno degli infiniti numeri
costruibili con questo sistema, non è sicuramente compreso nell’elenco.
Questi nuovi numeri ci dimostrano che nella babele
degli infiniti già classificati, il continuo è il più potente. Con questo
risultato ci si è però appena addentrati nel cuore di quel problema, che sta
nel mettere ordine nei tipi di infiniti. Quanti sono? Sono ordinabili? Se lo
sono quali posizioni occupano l’infinito numerabile dei naturali e quello non
numerabile del continuo?
Senza addentrarci nei procedimenti di Cantor per
dare risposta a queste domande, rileviamo solo che una risposta la dà
dimostrando che dato un qualsiasi insieme I l’insieme potenza risultante dalla
riunione di tutti i suoi sottoinsiemi ha una cardinalità superiore a I.
Nell'infinita gerarchia degli insiemi infiniti che Cantor costruisce e indica
con ALEPH 0, ALEPH 1, ALEPH 2 ..e così via, se l'insieme dei naturali
corrisponde ad ALEPH 0, l 'insieme
del continuo a quale ALEPH corrisponde?
Cantor si affanna, ma non trova una risposta a
questo enigma che si trascinerà irrisolto per circa un secolo e che, quando
troverà una risposta, ne troverà due che, in certo senso, sono in
contraddizione: dato un sistema coerente di assiomi per l’aritmetica (sistema
di Zermelo), dapprima Goedel ha dimostrato che l’ipotesi del continuo (quella che pone la cardinalità del continuo
pari a ALEPH 1) è coerente con quel sistema, mentre successivamente Cohen
ha dimostrato che anche la negazione
dell’ipotesi del continuo è coerente con quel sistema.
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