L’olismo di Quine rappresenta forse la più
moderna riproposta di una concezione unitaria del sapere come organizzazione;
una concezione che però presenta anche i sintomi della sua negazione.
Quine ci rappresenta il complesso delle
teorie sul mondo con un'immagine metaforica, che è contemporaneamente una
teoria globale circa il sapere e una nuova proposta circa la forma e la
struttura dell'albero del sapere.
La sua
teoria è di tipo olistico e in diretta concorrenza contro le teorie
verificazioniste derivanti in qualche modo dal primo neopositivismo. Quine nega
che un singolo enunciato o una singola teoria possano essere verificate e con
ciò sostiene l'esistenza di una totale interconnessione del sapere.
Per Quine le nostre conoscenze, connesse in
un sistema di teorie, costituiscono metaforicamente un campo che solo ai suoi
bordi può essere verificato. Scienze come la logica e la matematica occupano le
zone più interne del campo mentre le scienze naturali occupano le zone più
periferiche; proprio quelle periferie, dove in qualche modo il campo tocca il
mondo e può essere collaudato su questo.
Secondo la teoria di Quine, quei confronti ai
bordi del campo possono confermare o non confermare le teorie del campo e quando
non le confermano provocano un mutamento del nostro sapere e, quindi, della
conformazione del campo. Questi assestamenti interessano in genere le teorie
più periferiche e meno sicure, ma, qualora ciò non fosse possibile,
l'assestamento dovrà avvenire su teorie più interne e più sicure.
La "sicurezza" di teorie più forti
come la logica e la matematica dà loro una posizione quasi intoccabile. Noi
siamo sicuramente molto riluttanti ad accettare modifiche alle teorie più certe
anche perché le loro leggi fungono da presupposto per tutte le altre e una
modifica di questi presupposti avrebbe conseguenze e metterebbe in gioco la
validità di tutte le teorie del campo. Dovendo scegliere fra il modificare una
regola logica e una legge naturale, è più semplice modificare la seconda perché
la modifica della prima sconvolgerebbe tutto il campo e richiederebbe non solo
una sua completa revisione.
Quine ha indubbiamente ragione quando
sostiene la quasi intoccabilità di teorie forti come la logica e la matematica;
noi siamo, infatti, sicuramente molto riluttanti ad accettare modifiche alle
teorie più certe le cui leggi fungono da presupposto per il sapere in generale.
Una modifica di questi principi logici, che solo all'inizio del XX secolo
parevano montagne di solidità, viene riconosciuta dagli esiti di quelle stesse
filosofie nate come costruzione teoriche per trasformare quelle solidità
in eternità e universalità. Le logiche paraconsistenti, quelle
alternative, lo stesso principio di "tolleranza" di Carnap non sono
che le varie e multiformi affermazioni di questa nuova mentalità svincolata da
quelle mitiche sicurezze. Lo stesso Bohr non si fece certo condizionare da
timori di lesa maestà quando costruì il suo (incoerente da questo punto di
vista) modello di atomo. Il principio di indeterminazione, l’accettazione di
una luce che è insieme onda e corpuscolo, gettano lunghe ombre proprio su
questi principi che in precedenza avevano funzionato così bene da creare il
mito della loro universale ed eterna validità.
Pur nei suoi meriti la teoria di Quine ha
però una profonda debolezza. Veri punti delicati sono l’ambito troppo limitato,
la gerarchia delle discipline e quella verifica ai bordi sulla quale si basa
tutta la struttura del campo.
L'ambito limitato si riferisce a ciò che
Quine intende per sapere e conoscenza. Un sapere che non si estende oltre quel
sapere da lui considerato scientifico. A questo limite, che esclude ogni valore
conoscitivo alla metafisica, alla poesia, all'arte in generale, è collegata
anche la scelta della logica e della matematica come discipline più sicure e
più consolidate che occuperebbero, secondo Quine, le zone più interne del campo
dove le eventuali modifiche si irrigidiscono. E' chiaro che Quine, pur adottando
una visione pragmatista della conoscenza, si dimentica di quei paradigmi e
preteorie che sono alla base del nostro ragionare preteorico e che costituiscono
quelle configurazioni da cui si possono sviluppare tutte le discipline, anche
quelle certe come la matematica e la logica.
Non meno critiche appaiono le verifiche ai
bordi del campo: E’ chiaro che questo confronto deve avvenire con ben definite
procedure e che, in queste, verranno coinvolti principi logici e scientifici; è
pure chiaro che entreranno in gioco l'induzione, le leggi fondamentali della
logica, leggi scientifiche generali e una varietà di strumenti di misura, a
loro volta funzionanti secondo leggi fisiche la cui esplicitazione ha luogo
all’interno di teorie assestate più o meno profondamente nel campo. Insomma
esiste tutta una serie di 1) teorie e 2) di strutture preteoriche che entrano
in gioco affinché quel "confronto" ai bordi del campo possa avvenire;
in definitiva, i controlli funzionano proprio in conformità a quei principi che
dovrebbero controllare. L’albero del sapere di Quine non soffre delle
difficoltà dei tradizionali alberi del sapere, ma basa la sua efficacia su un
circolo vizioso.
Ben più grave appare la sua incapacità di
vedere l’esistenza di preteorie, di saperi, di comportamenti la cui origine,
formazione, integrazione si perde nella storia del nostro vivere; non un albero
unitario del sapere ma un coacervo di teorie-credenze che comprende certamente
principi, indirizzi e teorie che "occupano" i posti più interni del
campo del sapere. Sono le preteorie, le abitudini, i linguaggi che, ad esempio,
presentano alle teorie nobili e istituzionalizzate un mondo già colonizzato,
già assimilato, già digitalizzato dai nostri lontani progenitori in cui è
addivenuta e continua ad addivenire la convergenza tra un mondo articolato in
oggetti e un linguaggio articolato in nomi e proposizioni.
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