domenica 29 marzo 2015

Nietzsche e i precursori del nazismo


Nietzsche e i precursori del nazismo


Mesi fa sul Web è stata a lungo dibattuta la questione sui rapporti fra la filosofia di Nietzsche è l’ideologia nazista a cui hanno partecipato, fra molti altri la signora Palazzotti, il signor Antonio Martone, la professoressa Tiziana Ferragina.
Di solito si parla di questi rapporti in termini di influenza utilizzando così la concettualità verticale secondo il paradigma del “chi agisce su chi e di chi subisce da chi”. Penso che sia un punto di vista incompleto. Quando Borges afferma che Kafka creò i suoi precursori, con questa frase riassume un complesso fenomeno di interazione culturale fra passato e presente, ricordandoci che la freccia è doppia e che la cultura ricrea costantemente un passato che, ricreato, impregna e modifica il presente. Quando Stravinskij reinventò il pianoforte percussivo, qualcuno, ricordando come il vecchio Rossini, in tempi di imperante romanticismo, lo usasse con le stesse modalità, creò il mito di un Rossini avanguardista e precursore di Stravinskij, anche se Stravinskij, non conosceva né fu influenzato dalle piccole composizioni di Rossini. Bisogna stare sempre molto attenti con precursori e rapporti d’influenza.
Come precursori del Nazismo sono stati indicati, saggisti, filosofi, romanzieri, poeti e musicisti come Wagner (e non solo per il suo feroce antisemitismo). Tra i filosofi sia Hegel che Nietzsche sembrano comunemente additati come precursori capaci di influenza culturale su ciò che diventerà il complesso di dottrine filosofico-morali del nazismo.

La filosofia post illuminista

Kant viene presentato come apoteosi di un illuminismo e di un pensiero critico volto a circoscrivere i confini delle possibilità del sapere certo: da una parte la conoscenza fondata, dall’altra le pericolose illusioni del dogmatico e contradditorio pensiero metafisico.
Dopo Kant la ragione illuministica sembra muoversi lungo due vie opposte e divergenti. Da una parte, la RAGIONE, dopo essere stato contrapposta alla fede come strumento di critica e demolizione del principio divino, con Hegel, Marx (e con diverse modalità, con Comte) impregna la Realtà e la Storia e diviene ragione costruttrice, dall’altra prosegue nella sua azione demolitrice. Se da una parte la Ragione costruisce la Storia fino al suo compimento in uno Stato etico che di quella Storia diviene l’esito finale e salvifico, dall’altra come Ragione demolitrice elabora un processo di successiva erosione. La Ragione, che tutto mette in dubbio, tutto aggredisce e demolisce, giunge, infine, a divorare non solo se stessa ma anche quel concetto di Verità di cui mai il pensiero aveva pensato di poter fare a meno. Mach, Poincarè, Dilthey, Nietzsche, Freud, Heidegger, Gadamer sono alcuni fra i pensatori che indirizzano il pensiero verso una progressiva distruzione dei concetti di razionalità e verità.
Persino in matematica, considerata come disciplina la più coriacea, alterna, a tenaci tentativi di fondazione e rifondazione, altrettanto tenaci sforzi di critica e demolizione.
Lo scoglio fu la teoria di Cantor sugli insiemi infiniti: per alcuni, un paradiso, per altri, null’altro che un fantastico e labirintico castello di carta.
La teoria di Cantor è oggi accettata da molti matematici ma non mancano i critici che, come in passato fecero Kroneker, Poincarè, Herman Weill, pongono il problema degli enti e dei ragionamenti ammissibili in matematica e rifiutano l’idea dell’infinito attuale
Parallelo è il processo di secolarizzazione delle teorie politiche e della politica che, se da una parte approda alle democrazie liberali in cui la verità è oggetto di contesa, dall’altra porta alla conversione del Dio monoteista divino nel Dio monoteista terreno. Un dio terribile e totalitario che, come il suo decaduto fratello divino, riunendo in sé l’etica, la verità e la politica, si presenta come l’approdo finale della Storia, lungo le vie del nazionalismo, del nazismo, del comunismo. Ideologie che, con le nuove entità ‘Partiti unici’, coi nuovi idoli ‘Razza’ o ‘Egualitarismo’, sono portatori, come il Dio monoteista del passato, di architetture totali di etica e verità. Il nuovo Dio è quel popolo che unito come un sol uomo, perviene finalmente a realizzare la Volontà Generale invocata da Rousseau.

La ragione demolitrice

La secolarizzazione del divino è stata, quindi, un processo evolutosi lungo due vie divergenti che potremmo chiamare della secolarizzazione demolitrice e della secolarizzazione edificatrice. Lungo una via di progressiva erosione dei concetti di verità, di razionalità, di fondamento e di logica. Tappe importanti furono la nascita delle geometrie non euclidee, la crisi dei fondamenti della matematica, le avanguardie artistiche, la nascita dello storicismo, del relativismo, del pragmatismo, di filosofie come quella di Nietzsche, Freud, Heidegger. La progressiva caduta di concetti connessi alle idee di verità, fondamento, monoteismo, anche se non direttamente inerenti a temi religiosi, causarono un indebolimento di analoghi concetti connessi all’idea del monolito monoteista.
Sminuendo il concetto di verità, si sminuì il valore della tremenda verità del Dio, sconnettendo la verità dalla morale, si demolì la monoliticità del Dio, demolendo i fondamenti e accettando progressivamente l’idea di una vita che galleggiava, si demolì anche il fondamento di quel Dio a cui si doveva, in ogni circostanza, fisica e culturale, far riferimento: un cardine, eterno, universale; tanto solido, da costituire un completo sistema di senso.
Tutto ciò portò alla pluralità delle voci, alla moltiplicazione dei centri di verità e di morale che, allentando la connessione tra vero, etico e divino, attenuano il sentimento di dovere verso il proprio Dio, squalificano il dovere di apostolato ed emancipano la dignità dell’uomo, non in quanto creatura di Dio, ma in quanto abitante in un mondo in cui risiede il senso della sua vita.
Questa è la strada che conduce a quel sentimento laicità, apparentato con quelli veicolati dalla secolarizzazione che permette di ricomprendere nel concetto di laico quello di religioso, rivendicando per il religioso la libertà di agire come laico nello spazio politico.
Nella storia della ragione ragione edificatrice troviamo Hegel e in quella della regione demolitrice troviamo Nietzsche, il primo in compagnia di Comte, di Marx, ma anche di filosofi della matematica e della scienza come Russell, come i primi neopositivisti, come Cantor e Hilbert, il secondo in compagnia di filosofi della scienza come Dilthey, Freud, Heidegger, Mach, Poincare. Pezzi da novanta da entrambe le parti.
Sembrerebbe che fra i due gruppi e in particolare fra Nietzsche e Hegel la distanza sia abissale ed è quindi più che lecito chidersi cosa li accomuni nella “precursione” del nazismo. Li accomuna poco ma certamente il concetto della morte di dio, anche se le due interpretazioni del concetto prendono decisamente vie divergenti

Le vie della secolarizzazione e la struttura del dio.

La secolarizzazione viene usualmente intesa come un depotenziamento del sacro, come una relativizzazione della verità, come una reazione al fanatismo e alla terribilità del dio delle persecuzioni, dell’inquisizione, della caccia alle streghe, delle sanguinose guerre religiose e, contemporaneamente come un approdo a una cultura laica e tollerante ma questo non è il suo unico volto. La morte di Dio non è solo il rifiuto di quel Dio trascendente che domina le nostre coscienze, che ci incute paura, che ci spinge ad armarci per difendere la fede ma, al contrario, è anche stata ed è tuttora, una sostituzione.
Molti uomini non possono vivere senza fede. Quella fede, quella religione, quel Dio sono per costoro sistema d’orientamento, interpretazione del mondo, fondamento e legge morale: un’ancora solida come una roccia a cui aggrapparsi. La verità assoluta, la giustizia assoluta, l’ordine delle leggi, la garanzia della stabilità del mondo, della morale, il senso stesso del vivere.
Per costoro, per chi ha ereditato, vissuto, metabolizzato quell’architettura di certezze, ritrovarsi senza Dio, senza fondamento, senza certezza di verità, significa essere deportati in un mondo alieno, senza senso, giustizia e verità. La loro vita galleggia sul nulla, perde certezza e senso: senza di quel sistema non possono vivere e si ritrovano alla ricerca ansiosa delle certezze perdute e del Dio perduto, pronti alla sua sostituzione.
E qual migliore sostituzione del vecchio e screditato Dio trascendente con un Dio immanente che ripristini sulla terra quella verità, quella architettura e quel senso? Metaforicamente il vecchio dio morto viene rivitalizzato e trascinato in terra con tutta la sua architettura di solide certezze, per assumere il nome di Dio Nazionalismo, dio Nazismo, dio Comunismo.
Il Naphta della Montagna incantata giunge a contrapporre alla visione di un Settembrini, democratico, disincantato e laico, la visione di uno stato armonioso in cui Comunismo e religione cristiana si sono integrati per costruire uno stato etico che realizzi, con la Volontà Generale, il regno di Dio sulla terra. Pur essendo il personaggio di un romanzo, Naphta impersona le aspettative dei tanti che hanno sentito nel passato e sentono nel presente la necessità di anticipare sulla terra l’addivenire della giustizia divina con le sue compensazioni di pene e di premi, con la giustizia, degli umili e l’umiliazione dei superbi che il Libro garantisce solo nell’al di là.
La filosofia di Tieiard de Chardin è ancora più visionaria. Partendo dall’incarnazione redentrice di Gesù, presente in ogni istante della vita dell’uomo, interpreta il cammino della civiltà umana come un eterno progresso di conoscenze e di moralità che avvicina l’uomo a Dio, il cui esito è l’identificazione dell’umanità col suo Dio.
Il termine ‘secolarizzazione’copre, dunque, un vasto ambito di senso. Da una parte si parla di ‘secolarizzazione’ come di un processo di perdita d’importanza, di indebolimento, di marginalizzazione del divino, dall’altra come di una vera e propria umanizzazione del divino, una sostituzione del vecchio Dio con un nuovo Dio; metaforicamente un trasporto del divino dal cielo alla terra, con ideali e ideologie terrene ma altrettanto terribili. Da una parte un depotenziamento, dall’altra una mutazione del divino senza alcun depotenziamento: il Dio viene portato dal cielo alla terra, pur conservando la terribilità, la grandezza e il potere posseduti in cielo.

La doppia legge

La storia narrata dal popolo ebraico nella Bibbia è un lungo succedersi di eventi ma, soprattutto, la storia dei rapporti fra Dio e il suo popolo; una storia di obbedienze e premi, di disobbedienze e castighi, una storia da cui emerge una dottrina in cui, secondo il credente Kierkegaard, si spalanca un abisso fra vita etica e vita religiosa. Come si può accettare come morale il comportamento di dio con Abramo, si chiede Kierkegaard, quando Dio gli ordina di sacrificargli il figlio Isacco? Come può Abramo accettare come morale l’assassinio del figlio, un’azione che, oltretutto, infrange la Legge, quella stessa legge che Dio ha prescritto al suo popolo? Ma Abramo è completamente sottomesso al suo Dio. La parola del suo Dio è legge al di là di ogni parola o legge vigente: anche se gli appare dolorosa, tragica, crudele, anche se è in palese contrasto con la legge morale dettata da Dio. Per questo si appresta ad obbedire e si ferma quando Dio glielo ordina, comprendendo così che Dio ha voluto sottoporlo a una prova terribile e che quello stesso Dio approva l’assoluta obbedienza da lui dimostrata.
Kierkegaard è chiarissimo: “Cosa c’è di morale in un simile comando? Che senso ha una simile prova se non un’affermazione dell’abisso fra fede e morale? Dio sta al di sopra di ogni moralità e di ogni legge, anche di quella che Lui stesso ha prescritto e prescrive ai fedeli? La vera fede sta in una obbedienza e sottomissione assoluta fino all’assurdo? Del resto il Dio della Bibbia non è quello che compie miracoli, infrangendo le leggi del mondo per castigare e premiare?
Due secoli prima Cartesio aveva anticipato Kierkegaard.
Nel suo testo Verità e Politica[1] la Arendt cita di Crozio a proposito della distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, la considerazione che “Due più due fa quattro” è altrettanto vera  per Dio e per gli uomini: neppure Dio può metterla in discussione. Una affermazione che Cartesio rifiuta in nome di una giusto rapporto di potere fra creatore, creato e creature
Accettare che una proposizione matematica sia valida per Dio come lo è per noi, afferma Cartesio, significa accettare che esista un mondo di verità preesistente all’infinita sapienza di Dio, su cui Dio non ha giurisdizione e a cui Dio deve obbedire. Significa porre limiti alla sua sovranità ed equivale ad asserire l’esistenza di un secondo Dio. Tutto ciò, per Cartesio è inaccettabile. Assodato che il mondo e le sue leggi sono coerenti con le leggi matematiche, è ovvio concludere che Dio creò il mondo in conformità a quelle leggi ma è altrettanto ovviò che Dio, l’unico Dio, creò quelle leggi e creò la matematica. Dio non ubbidì al Dio matematica ma creò quella matematica che rimane nella completa disponibilità del suo potere, come rimane la possibilità di creare un’altra matematica e un altro mondo con altre leggi, come rimane nella sua disponibilità, la possibilità di creare le leggi morali e di mutarle. La legge suprema per il creato e le sue creature è la sua volontà.
Questa complessa stratificazione costituisce la complessità del Dio e prevede una legge disposta dal Dio, una giusta e imparziale amministrazione di quella legge che ricomprende la giustizia, e un Dio al di sopra e al di fuori della sua stessa legge. Una architettura che si replicarà nel dio secolarizzato, che, al di sopra della legge e della sua amministrazione, prevede un dio secolarizzato che dirama ordini al di fuori e contro la legge e che costruisce strutture parallele per eseguire quegli ordini.

I totalitarismi nazista e comunista occuparono solo parzialmente lo stato e le sue istituzioni. Venne progettata e realizzata una seconda architettura impersonata dal partito e dai suoi organi collaterali, (come la polizia politica), che si occupavano della gestione della verità, della scienza, della cultura, della dissidenza mediante processi, repressioni e sterminio del Nemico, interpretato come personificazione del Male. Il dio Totalitario come il Dio di Cartesio e di Kierkegaard, agì al di sopra della legge, creandola e variandola a piacimento.
L’organizzazione statale, del resto, non poteva essere toccata che marginalmente. La sua burocrazia era formata da impiegati e dipendenti dallo stato, che traevano la loro etica dall’ubbidienza a procedure stabilite dalla legge. Tanto l’ottuso impiegato, che l’alto burocrate erano una macchina che procedeva con le sue leggi, i suoi codici, le sue disposizioni che regolavano punto a punto le singole azioni. Una macchina le cui pratiche procedevano in conformità a disposizioni, provenienti da leggi che giuste o ingiuste, erano, almeno in teoria, le stesse nei vari uffici, rispettate quasi sacralmente in misura tale che qualsiasi sistematica alterazioni o eccezioni avrebbe portato allo sfascio l’organizzazione. Di qui la necessità di non inceppare la macchina, di lasciare inalterata la sua strutturale e acefala regolarità mentre il nuovo Dio procedeva a governare separatamente.
Il Dio partito era la verità, era la potenza, era la giustizia, una giustizia, addirittura al di sopra delle leggi scientifiche. In Russia, messo all’indice Freud, si decretò che ogni malattia psicologica era generata dell’organizzazione di vita e di lavoro capitalista, si stabilì che l’evoluzione era lamarkiana e non darviniana e, solo dopo lungo esame, vennero accettate le teorie di Einstein in quanto compatibili col materialismo dialettico. Ancor peggio nella Germania di Hitler.
Il paradosso di Kierkegaard divenne la normalità etica del nazista e del buon comunista che, al di sopra di tutto obbedivano ai rispettivi partiti, come testimoniano le sistematiche menzogne e delazioni, dove il vicino denunciava il vicino, il figlio denunciava il padre e il padre il figlio.

Esigenza di un'architettura 

Nessuno nega il carattere ideologico-religioso di nazismo e comunismo. Ciò che legava gli aderenti al gruppo, al partito, al capo non era una partecipazione critica ma fideistica, dove il singolo diveniva assai più simile ad un organo del gruppo che a un individuo. Gli aderenti insomma condividevano (e era loro imposto di condividere) credi, opinioni, amicizie, inimicizie.
A uno sguardo frettoloso sono entità come lo Spirito Hegeliano a potersi assumere compiti edificatori per divenire, come Spirito Assoluto e Razionalità, il nuovo Dio che edifica la Storia portandola al suo compimento.
In Hegel, in Marx, in Comte si compie il destino della ragione edificatrice secondo modalità già germinate nell’illuminismo di Rousseau. Rousseau inventò e sostenne due concetti decisivi: quello della Volontà Generale e quello della Civiltà come corruttrice della bontà primitiva dell’uomo. La prima fu alla base delle idee nazionaliste, naziste, comuniste e in genere di tutti i totalitarismi nel promuovere non la democrazia ma una società armoniosa in cui le singole volontà si dovevano unificare in un’unica armoniosa Volontà Generale. La seconda fu adottata in Cambogia dal partito di Pol Pot, che, in conformità all’idea di un uomo corrotto dalla civiltà, dall’istruzione, dalla cultura, sottopose i cittadini ‘liberati’ alla sua cura rigeneratrice con la ferma determinazione di costruire non una nuova società comunista di tipo sovietico, ma di ritrovare una verginità, le cui tracce, redentrici potevano essersi conservate solo nell’incolta, povera e arretrata civiltà contadina.
Con ottusa, ideologica, criminale determinazione il partito di Pol Pot suddivise i cittadini cambogiani secondo un duplice criterio: in base all’età (i più giovani erano i meno corrotti) e in base alla cultura (gli incolti, non alfabetizzati abitanti delle campagne costituivano l’èlite della nuova società) Dopo una prima strage in cui la parte colta della popolazione fu trucidata (spesso bastava portare gli occhiali) gli abitanti delle città furono deportati in campagna a lavorare la terra. Ma Pol Pot non credeva in una redenzione dei ‘corrotti’ e  i ‘cittadini’ furono sottoposti a ritmi di lavoro più pesanti, a razioni di cibo più povere, a continue punizioni. Come si sa e come era facile prevedere, la situazione precipitò velocemente verso un generalizzato massacro e presto a capo dei campi di lavoro furono insediati giovani contadini, addirittura ragazzi, che esercitarono con ferocia il loro furore ideologico con sistematici omicidi a bastonate.
Eppure noi non incolpiamo Rousseau di protoPolpottismo.

Hegel e la stratificazione del Dio

Ho accennato a Hegel e al suo dio immanente in evoluzione razionale verso l’Assoluto, come se a lui si potesse imputare quella degenerazione della secolarizzazione ispiratrice dei totalitarismi. Ma ho parlato di ‘sguardo frettoloso’. Tanto frettoloso da essere falsificante; perché se è giusto, a proposito di Hegel, parlare di Stato Etico non va certamente cercato in lui quel Dio, quell’apertura verso la mostruosità di cui parla la Arendt quando afferma:

“Per molti di noi, ci sono voluti antri vent’anni per fare i conti con ciò che era accaduto… […] All’epoca, quell’orrore, nella sua nuda mostruosità - A me e a molti altri – sembrò andare al di là di ogni categoria morale, infrangendo ogni barriera giuridica. Era qualcosa che gli uomini non potevano punire, in maniera adeguata, né perdonare […] Le malvagità senza precedenti del totalitarismo hanno letteralmente polverizzato le categorie del nostro pensiero politico e i nostri criteri di giudizio morale. [2]

Il problema non è semplicemente la necessità di un Dio, senza il quale ci si può sentire orfani, privi di guida, d’orientamento e di quel senso importante che è il Senso della nostra vita nel mondo. Non è solo il Dio che viene a mancare, ma tutta un’architettura che non è certo compensabile dall’ottimistico, razionale, sistema di Hegel dove non esiste l’Avversario, dove non esiste il Diavolo, dove non esiste il Male.
Ciò che viene a mancare è un sistema che comprenda Dio, la parola di dio, gli interpreti, i sacerdoti e soprattutto il Male, il Diavolo, l’infido nemico con tutta le sue perfide e subdole arti. Un Male personificato dal Nazismo nella razza ebraica da sterminare, e nel comunismo nel criminale capitalismo imperialista. Vengono a mancare le stratificazioni del bene, del male, la doppia morale (l’Abramo di Kierkegaard), la fede come ponte fra le stratificazioni morali.
In Hegel non c’è nulla di tutto ciò. Non c’è il Nemico da odiare e distruggere, non c’è il nemico-inteso come Male e Demonio ma, al contrario, la sua filosofia è compenetrata da un ottimismo razionale in virtù del quale nulla della realtà sfugge alla razionalità e viceversa. La negatività esiste ma non è il Male: o è l’antitesi che si oppone alla tesi, o la tesi che si oppone all’antitesi; tesi e antitesi sono poi due momenti della dialettica dello Spirito fra le quali avviene la conciliazione della sintesi: siamo lontanissimi dal Dio ideologico e totalitario. Non è in Hegel che va cercato quel dio, quell’apertura verso la ‘mostruosità’ che fa dire alla Arendt che le malvagità senza precedenti del totalitarismo avevano polverizzato le categorie del pensiero politico e i criteri per i giudizi morali.

Nietzsche

Ben più che a Hegel il nazismo poté ispirarsi a Nietzsche. Nella riduzione di ogni precetto morale a ideologia e nel concetto di ‘superuomo’ capace di emanciparsi da ogni ideologia (anche se Nietzsche non usa questo termine), i nazisti potevano rivendicare il diritto-dovere di essere “superuomini”, di quell’andare al di là di ogni categoria morale, infrangendo ogni barriera giuridica di cui parla la Arendt.
Ma la filosofia di Nietzsche non ha nulla a che fare con le architetture  del Dio celeste secolarizzate in terra. La sua è una filosofia soprattutto demolitrice e, al di là della morte del dio religioso, si espande contro tutto quel sistema politico-morale normalizzatore e pacificatore che si esprime secondo le linee di una salvifica e armoniosa coesione sociale contro le fatiche della democrazia. In quel vasto e articolato smascheramento dei grandi miti metafisici, morali e politici, delle soffocanti e barocche costruzioni della società moralmente e civilmente egemone, mi sento solidale con Nietzsche.
 Ingiusto sarebbe addebitare a Nietzsche un ruolo di ideologico di supporto a quelle che saranno le ideologie fasciste e nazista ma altrettanto illogico negare che a quel pensiero, a quella semantica, a quel superamento di ogni morale, gli ideologi nazisti poterono facilmente appoggiarsi.

La società civile
Tutti abbiamo imparato quanto si più conveniente e quanto si semplifichi, la nostra vita sociale se fin da piccoli, obbedienti, ci conformiamo alla “Bibbia” comportamentale e intellettuale del nostro ambiente famigliare, scolastico, lavorativo o sociale. Una omologazione tanto radicata e diffusa da indurre molti a credere in una predisposizione genetica.
A questa ramificata “coesione sociale”, dalle caratteristiche illiberali e antidemocratiche, non tutti sono disposti a cedere.  Non esistono solo omologati ma anche individui che, come Nietzsche, si ribellano. Una ribellione, forse, in Nietzsche talvolta “sopra le righe”, come suggerisce Antonio, ma anche motrice di sana energia .
Ogni tempo ha la sua società civile egemone in etica, cultura, politica e gusto artistico. Anche il nostro tempo tempo ce l’ha e come! Egemone, potente, capace di dettare regole nella morale, nell’arte, nella politica e di sanzionare boicottare, squalificare moralmente e intellettualmente chi a quella società civile, ai suoi “maitre a penser”, non si adegua, chi ai loro editti morali, civili, estetici si ribella. Come tutte le società civili anche quella di oggi si appella alla parola magica “principi”, e si dimostra infaticabile nell’assegnare a questi principi validità universale ed eterna.
Ma cos’è questa società autoelettasi “civile”? Se la sono mai posta seriamente questa domanda coloro che se ne sentono parte, che la citano e la inalberano come un vessillo contro l’innominabile società incivile? Si sono mai chiesti se non sia altro che una società elitaria e moralmente egemone, quella stessa che sotto varie forme in ogni età e situazione sociale cerca di emergere e di egemonizzare moralmente e culturalmente la società? Se non sia, ad esempio, la degna versione modernizzata di quella società che spadroneggiava nell’Inghilterra vittoriana, post vittoriana e che è riuscita a distendere le sue lunghe propaggini protettive fin al secondo dopoguerra? Che non sia, sotto nomi diversi, quella stessa che fu di volta in volta paladina dell’alta funzione civilizzatrice e moralizzatrice della civiltà occidentale! Quella stessa che celebrò l’imperialismo, quella stessa che portò, anche con la violenza, la parola di Dio ai pagani e ai selvaggi, quella stessa che si sottomise ad adorare il DIO-NAZIONALISMO, quella stessa che condannò a umiliante galera Oscar Wilde, quella stessa che condannò l’alta immoralità gay del matematico Turing, (di cui finalmente oggi si comincia a parlare) Quella stessa che lo processò e lo condannò alla castrazione chimica, inducendolo al suicidio!
Umiliamoci noi incivili di fronte a sì grandi civili ed etiche teste e ricordiamoci sempre che quel maledetto Turing era, sì, un grandissimo matematico, aveva, sì, salvato l’Inghilterra e il mondo, guidando l’equipe di matematici che aveva decifrato i codici nazisti, che aveva, sì, elaborato quel ciclo operativo conosciuto in tutte le civiltà scientifiche come Macchina di Turing, ma che era anche un maschio degenerato, un maschio contro dio e contro natura. Un maschio che si accompagnava sentimentalmente e sessualmente con un altro maschio e non, come prescrivono morale cristiana, morale naturale e morale civile, con una femmina. E allora riconosciamola la grandezza della società civile!
Certo i miei nipoti, se si ritrovassero a vivere in una dittatura, pensando alla mia attuale opposizione alla società civile, potrebbero interpretarle, del tutto erroneamente,  come un’opposizione alla democrazia e questo potrebbe succedere anche alla generosa signora Palazzotti, che contro la democrazia, da lei interpretata come dittatura della maggioranza, auspica una pluralità di gruppi democratici, sia in senso orizzontale che verticale, entro una cornice leggera di leggi generali.







[1] H. Arendt, Verità e Politica, Bollati Boringhieri, Torino, 1995
[2] H. ArendtResponsabilità e giudizio  (a cura di J.Kohn), Torino, Einaudi, 2003, pp.19 e eg.