Se un altro personaggio contende con l’editore Einaudi, con
gli odiosi Crespi e Ottone la palma di fondatore del partito,
élite-radical-chic- società civile questo è senz'altro l’odiosa e squallida
Camilla Cederna.
Quello
che scriviamo si trova in qualsiasi libro di storia contemporanea o in
qualsiasi enciclopedia alla voce “Leone”. Ci limitiamo a un richiamo e ad aggiungere
un po’ di prezzemolo qua e là.
Dunque, il 15 giugno del '78 Leone si dimise. Abbandonato
anche dal suo partito, il cui segretario Zaccagnini, (un uomo onesto schiacciato
da un enorme complesso d’inferiorità morale e da un'irrimediabile sudditanza
psicologica e morale verso il P.C.I. di Berlinguer) gli impedì di difendersi
come Presidente della Repubblica, oggetto, tanto lui che i suoi famigliari, di
una campagna di denigrazione, accuse, insulti senza precedenti, non poté che
dimettersi. Lo fece per potersi difendere. Lo fece per difendere l’istituzione “Presidenza
della repubblica”, lo fece per dare una lezione di moralità ai suoi accusatori.
Quali le accuse? Quali gli accusatori?
Le accuse erano molte ma la più grave riguardava la vendita
all’esercito italiano da parte dell’americana Lockheed degli aerei per
trasporto truppe Hercules C130. Leone aveva la grave colpa di essere amico dei
fratelli Lefebvre, rappresentanti in Italia della ditta Lockheed e accusati di
aver distribuito mazzette per portare a buon fine la vendita. I percettori
delle Mazzette risultarono tra gli altri i ministri Tanassi e Gui, il primo
socialdemocratico, il secondo democristiano e un uomo politico indicato come
“antilope coppler”, letteralmente “ciabattino d’antilopi” che si trasformò
velocemente e abusivamente in “antilope goppler”, “sbranatore d’antilopi”,
ossia in leone, ossia in Giovanni Leone, presidente della repubblica italiana e
amico dei fratelli Lefebvre.
La campagna stampa fu orrenda. Vi parteciparono, tra gli
altri, Nino Pecorelli, direttore del giornale OP e i radicali Bonino e
Pannella, ma la vera protagonista, l’eroina, l’anima nera, l’accusatrice
impietosa e infame fu la giornalista Camilla Cederna.
Perché tanta ostilità? Lasciamo per ora in sospeso la
questione e limitiamo a rilevare che:
1) nessun del partito democristiano osò essergli pubblicamente solidale,
nessuno osò dichiarare che nessuna di quelle accuse stava in piedi,
2) come oggi riconosciuto da
tutti, anche da accaniti accusatori, come i radicali Pannella e Bonino, fu una
delle pagine più meschine, vigliacche, infami della storia democratica della
prima repubblica, che registrò anche una meschina campagna di fotomontaggi per
gettare fango sulla moglie Vittoria.
L’ESPRESSO, che divenne per questa e altre vicende capofila di un
vero partito politico d'élite) montò
una micidiale campagna incentrata fra l’altro sull'amicizia con i LEFEVRE senza
mettere in evidenza che non fu un’amicizia fra LEONE IN QUANTO PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA e uomini d’affari come si riuscì a far credere ma un’amicizia FRA
COLLEGHI D’UNIVERSITÀ. Leone e Lefebvre erano colleghi d’università e
addirittura, a quanto sembra, coautori di un testo universitario.
La micidiale campagna scandalistica, denigratoria del
settimanale culminò con la pubblicazione dei primi capitoli del libro della
Cederna.
Il
libro della Cederna, Giovanni
Leone. La carriera di un presidente si rivelò decisivo. La veemenza dello
scritto, la ferocia delle accuse al presidente e ai suoi famigliari, la fama
della giornalista, l’impressione, abilmente insinuata, che i suoi stessi
colleghi, tanto della D.C. che del Parlamento fossero consapevoli
dell’indegnità del presidente, la morbosità della vicenda, fecero sì che il
libro, vero anticipatore della lega nel suo disprezzo per la cultura popolare
meridionale) vendesse più di seicentomila copie. Ma chi era Camilla Cederna?
Dal '58 all'' 81 è a L'espresso come inviata e come titolare della rubrica di costume
"Il lato debole". E’ un
periodo in cui la Nostra,
relativamente lontana dalla politica, è brillante commentatrice-fustigatrice di
costumi non elitari, feroce coi parvenu, con quegli impresari che contribuirono
al miracolo economico italiano. Col generale risveglio del ’68, s’incrementa la
passione per la politica che esploderà con la strage di Piazza Fontana. La Cederna pubblica
un'inchiesta sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli,
fermato per accertamenti e morto precipitando da una finestra di un ufficio
della Questura milanese ed è nel ’71 ispiratrice della lettera aperta pubblicata
dall’Espresso contro
il commissario Calabresi sul caso Pinelli.
Pochi mesi dopo, il commissario Luigi Calabresi viene ucciso di fronte alla sua
abitazione e molti vedono nelle sue dure quanto infondate insinuazioni della
giornalista il fiammifero da cui era partito l’incendio. Un’accusa che il
prefetto Libero Mazza non esita a rivolgerle
durante un colloquio-conferenza avvenuto nello stesso ospedale
dove giace la salma del commissario Calabresi.
Scrivono sull'articolo-celebrazione pubblicato su Corriere della
sera alla sua morte che, inviata dall'Espresso a una conferenza stampa del questore sulla morte di Pinelli e
sull'arresto di Valpreda, la
Cederna fiutò “imbarazzo e grossolane bugie. Vuole vederci
chiaro, guarda dietro alle apparenze, si indigna (è l'indignazione civica la
sua bussola politica, non l'ideologia) e scrive. Gli articoli, i capitoli del
libro - inchiesta Pinelli, una finestra
sulla strage, non sono per nulla accomodanti sul commissario Calabresi che
verrà più tardi, letteralmente linciato da Lotta Continua e successivamente
verrà ucciso. Camilla si ritrova pesantemente coinvolta, per quella incivile
frase del questore ("Mandante morale dell'omicidio Calabresi"). La
chiamano "carnivendola".
L’accusa, ribadita da Vittorio Sgarbi in una trasmissione televisiva nel 1991, indusse gli eredi a intentare contro di lui un
procedimento di risarcimento danni che si concluse in Corte Suprema (2005) con
l’assoluzione di Sgarbi a cui fu riconosciuto a Sgarbi il diritto di critica.
Dopo il capolavoro carnivendolo di disinformazione e di
odio su Calabresi venne un secondo capolavoro con la vicenda Leone. Un
capolavoro di idiozia, di disinformazione e di bugie, si disse, basato sul
nulla o meglio sulle bugie politiche del giornalista Mino Pecorelli titolare dall'agenzia "OP" ritenuta vicina ai servizi
segreti deviati. Quegli stessi servizi deviati, forse, autori di quelle false
ricostruzioni fotografiche con le quali si cercò di infangare la moglie. Dopo
questa disastrosa campagna di Stampa venne, sempre in collaborazione con e sull'Espresso,
l’orchestrazione della campagna scandalistica contro Leone e i suoi famigliari
culminata nel libro Giovanni Leone.
La carriera di un presidente che
con le sue oltre 600.000 copie fu determinante per la sua caduta. Essendo stato
impedito al presidente di difendersi tramite l’avvocatura dello stato con
procedimento penale contro l’autrice, furono i suoi famigliari a farlo con
querela.
La Cederna
perse le cause, fu condannata per
diffamazione, fu inflitta a lei e al suo giornale L'espresso una pesante multa, fu decretata la
distruzione di tutte le copie del libro. La giornalista e il settimanale l’Espresso non furono solo condannati dalla
magistratura ma persero anche politicamente con l’opinione pubblica. Leone sarà
riabilitato integralmente. Nulla di ciò di cui era accusato dalla Cederna era
vero. Per questa bruttissima pagina (che fu scritta soprattutto dalla Cederna e
dall’Espresso) i radicali Bonino e Pannella chiesero ufficialmente scusa. Scuse tardive come tardivo
fu il riconoscimento del presidente della repubblica Napolitano che
pubblicamente manifestò il suo dispiacere per la grave ingiustizia che ebbe a
subire il Presidente Giovanni Leone e la sua famiglia.
Nessuna riflessione fu invece
avviata sull'enormità di ciò che era accaduto. Nessuno ebbe il coraggio non
solo di dire ma anche di pensare che con la deposizione di Leone era stato
portato a termine il primo colpo di stato
del dopoguerra. Nessun parlamentare o partito propose la sua rielezione
come presidente della repubblica.
Ciò che mancò fu quel pubblico
dibattito, quella guerra democratica, quella interazione capace di creare nuovi
soggetti e nuovi significati di cui nutrire la democrazia.
Scrive
ancora il Corriere della sera nell'elogio funebre:
“"Radical
chic" l'hanno definita i suoi nemici e certamente lo era: di sinistra e
insieme di casa tra la bella gente. Ma anche se a suo tempo lo si faceva
passare per una grave macchia, oggi, ad acque passate, il peccato sembra del tutto
veniale. E comunque lei stessa - almeno in tete a' tete - tranquillamente e
civettuolamente era disposta ad attribuirselo.”
Carino
quel “civettuolo” a proposito di una spregevole giornalista autrice di tante
nefandezze. Incomprensibile che non fosse in galera dopo un colpo di stato e
dopo aver distrutto un presidente della repubblica. Con che diritto in una
democrazia non era in galera?
Per
l’incredibile potere di sputtanare, di demolire impunemente una persona, un
personaggio politico, un altro giornalista, un commissario di polizia,
riservato a quell’infame elite dei giornalisti che si autodefiniscono una
colonna della democrazia, ma che sono in realtà una colonna chiusa, arroccata
nel loro castello di privilegi, finanziata dallo stato e dai contribuenti in
maniera indecente e protetta da una democrazia che a questo punto fatica ad
essere considerata una democrazia.
Se non
è democrazia quella di Putin che perseguita i giornalisti che lo criticano non
lo è neppure quella italiana che permette impunemente ai giornalisti di fare il
bello e cattivo tempo.
Tutti
noi che oggi ci affanniamo su questo Manifesto eravamo a quei tempi dalla parte
dell’elite dell’Espresso: appoggio
vergognosamente cieco ed elitario a un'élite snob e radical chic, libera di
tutto fare, di tutto disfare per insediarsi al potere. Il radical chic
dilagava, la gente con l’uscita del nuovo giornale La
Repubblica, lo ostentava orgogliosamente come attestato
di democrazia. Un confraternita di successo nata e cresciuta sull'onda delle
denuncia di un colpo di stato (Solo) mai accertato e di un colpo di stato
portato vittoriosamente a termine.
La
“Società civile” era nata, anche se non si era ancora autoproclamata.
Chi ci
risvegliò dal nostro sonno dogmatico circa la cultura di serie A e di serie B,
la cultura alta e bassa, elitaria e popolare fu l’interpretazione che un nostro
amico assicuratore proprio in occasione dell’evento Leone. Non proprio un amico
ma un conoscente occasionale, di origini napoletane con cui trascorremmo alcune
serate di accese discussioni.
L’assicuratore
interpretava l’affare Leone come una congiura. Una congiura del Nord contro il
Sud. L’ennesima congiura del Nord contro il Sud e la sua cultura. Un’accusa
sostenuta con vigore ed estesa a tutto il Nord, a tutti i suoi cittadini a noi,
i suoi amici, che assistevamo senza muoverci senza protestare con energia
contro quello che considerava un colpo di stato. “Il Nord ha riunificato
l’Italia, il, Nord ha fatto la resistenza e noi che abbiamo fatto al sud?
Fornito all’esercito alleato l’alleanza con la mafia.”Accuse pesanti che non
furono sul momento neppure capite tanto ci apparivano stravaganti, anche se
sicuramente si insinuò il dubbio che tutta quell’accusa fosse veramente una
congiura, come sosteneva l’assicuratore, non ordita dal nord contro il sud ma
dalle forze laiche contro un presidente democristiano. “Stanno detronizzando un
presidente perché faceva le corna. Leggetelo il libro di quella maiala e di
tutte le accuse non troverete altro. Quella donna odia la cultura popolare
napoletana, odia il sud.”
In
effetti l’odio tutto radical chic per la cultura popolare del sud traspira dal
libro della Cederna; oltre le accuse feroci e non documentate, rimangono
effettivamente solo quelle corna scherzose.
Al
principio degli anni Ottanta, il risarcimento alla famiglia venne valutato in
seicento milioni; in seguito altri danni morali vennero riconosciuti anche a
due avvocati.
Ci
rivolgiamo a voi. Siete davvero convinti che i giornalisti siano i pilastri
della democrazia. Quanti cittadini rovinati dai giornalisti spesso in coppia
coi PM, altro pilastro della democrazia, dovettero attendere per anni il pigro
svolgimento del processo che infine li assolse?
Ma la Nostra Cederna, snob e radical
chic ne fece anche altre.
Era
successo che, in un libro, Camilla Cederna aveva attribuito al collega Afeltra
un articolo scritto, molti anni prima, su un giornale fascista. L'articolo
firmato "Gaetano Afeltra" esisteva, era stato pubblicato sul giornale
della federazione lombarda del Partito nazionale fascista e trattava di
alimentazione. Ma quel "Gaetano Afeltra" era un omonimo: un capitano
dell'esercito addetto alla sussistenza. Afeltra fece querela e si arrivò al
processo. Ma, dopo un paio di udienze, la querela fu rimessa. Camilla Cederna
era già stata condannata per la vicenda Leone, e Afeltra non volle infierire.
Oppure tutto finì a tarallucci e vino e, sottobanco, la nostra elitaria,
arrivista chic e radical snob, pagò.
Ma
anche se il processo non giunse a termine il reato informativo esisteva e non
era quindi logico e giusto che anche per questo delitto dovesse pagare? Non
pagò: sono i pilastri della democrazia o le puttane della democrazia?
Le
conseguenze politiche e sociali di quel colpo di stato furono enormi. In Italia
al governo e all'opposizione c’erano partiti di massa, di popolo che allevavano
i loro cuccioli nelle associazioni, negli oratori, nelle società operaie,
aperti a tutti, aperti alle culture. I due partiti funzionavano da ascensori
sociali, avevano connessioni strette con le grandi associazioni sindacali, ed
imprenditoriali, ma senza mai farsene dominare. Uno, la Democrazia Cristiana
che si definiva ed era un grande partito popolare ed interclassista, rifiutava
la contrapposizione di classe, La rifiutava perché quella era la loro operativa
interpretazione, amico nemico, dell’articolazione sociale, l’altro ugualmente
popolare era in grave anche se non aperta e conclamata crisi intellettuale, per
la sua associazione all'ideologia della democrazia reale del comunismo e dei
regimi che in suo nome con i suoi obiettivi dominava dalla fine della guerra le
democrazie socialiste dell’Est.
Ma
erano due partiti popolari e non elitari, che cercavano di capirsi, si
studiavano, si rispettavano e durante il lungo periodo di contrapposizione
anche dura furono portate a termine grandi riforme popolari e antielite come
l’abolizione della media del latino, dell’esame di ammissione con la media
unificata per tutti, come il libero accesso a tutti gli studenti di i
tipi di secondaria, ragionieri, periti, geometri a tutte le facoltà
universitarie. Due grandi riforme antielitarie ( non furono le uniche) in
un campo, quello scolastico, di grande significato, popolare. Dopo queste il
passo ovvio e successivo nella stessa direzione popolare ed egualitaria doveva
essere il vario di una scuola secondaria unica con l’abolizione del greco e di
quel liceo classico, vero allevamento di polli di élite che avevano la
possibilità in quei cinque anni di preparare le loro emersione, la loro
elitaria alleanza, con il greco come visibili, udibile simbolo di fratellanza
e alleanza. Ma l’attesa fu vana. La secondaria superiore unificata e ridotta a
quattro anni, anche questa riduzione, simbolo di visione e cultura popolare non
venne mai.
Il
grande popolare partito comunista in forte difficoltà, che aveva già irriso e
giustamente rifiutato la guida intellettuale del partito d’azione prima e del
partito degli intellettuali del Manifesto, ora, dopo il fallimento anche del
grandioso tentativo di alleanza D.C. e P:C.I. passato alla storia col nome di
Compromesso Storico, aveva bisogno di uno chaperon, di una forza
indiscutibilmente e democratica e occidentale, che l’accompagnasse nel lungo
cammino che doveva far dimenticare il loro passato comunista di adesione alla
democrazia reale per fare il suo ingresso possibilmente con la stessa forza
nella democrazia occidentale, e la forza necessaria era già pronta in quel
partito non partito più che mai elitario e intellettuale di cui godeva la
simpatia e di cui aveva visto la forza nella vicenda del colpo di stato a
Leone, con gli impiegati che se andavano con il nuovo quotidiano la Repubblica
orgogliosi di essere partecipi di una forza progressista intellettuale elitaria
che aveva salvato l’Italia da un colpo di stato forse inesistente e scalzato un
ignorante napoletano che faceva le corna e forse credeva nel sangue di San
Gennaro.
Ma
questo è un capitolo storico tutto da riscrivere.