lunedì 20 luglio 2020
Due Dopoguerra
venerdì 17 luglio 2020
Presento FILOSOFIA DEI PARADIGMI
- Concettualità verticale,
- Concettualità circolare,
- Concettualità destinale,
La prima analizza le razionalizzazioni unidimensionali, quelle che da sempre, prima degli studi di cibernetica, informavano gli studi, i saggi filosofici e il procedere lineare di scienze e ragionamenti. Una modalità di aprirsi al mondo, quella verticale, che permane benché mostri da sempre limiti invalicabili come le assurde contraddizioni che obbligano a interrompere le catene di cause con auto-contraddittorie cause che causano se stesse, motori immobili che muovono, creatori increati. Tali sono anche le antinomie, veri serpenti che si auto divorano, rivelatesi così dirompenti in logica.
Il saggio analizza come, in opposizione alla “bestiale” teoria dei tipi, dei Principia, Wittgenstein cerchi di uscire dai pasticci di questa concettualità con la teoria raffigurativa del linguaggio. Una teoria, secondo il saggio, fallimentare già nelle semplici proposizioni predicative.
Nonostante questi problemi, il paradigma verticale ha avuto successo per motivi tecnici e linguistici, ma mostra ad una attenta analisi le sue caratteristiche violente di assimilazione del nostro mondo, che, nel saggio, viene analizzato non come vergine ma come esito di stratificazioni di teorie assimilanti. In questo contesto vengono analizzati i concetti di gerarchia, di selezione delle teorie, dei fondamenti, del vivere teorico.
La seconda parte riguarda le strutture ad anello chiuso, e in generale la cibernetica, mettendo in evidenza quanto questa possa aiutarci nel costruire un nuovo paradigma di pensiero e di vita. Vengono analizzati i singoli componenti dell’anello, i mutamenti di linguaggio nell'anello, la presenza vitale della cibernetica nella nostra vita, nella nostra sopravvivenza, nella nostra stabilità, le possibili modalità di reazione ai mutamenti. Un'analisi condotta attraverso I concetti di analogico e di digitale, di stabilità e d'instabilità, di reazione positiva e negativa, giungendo fino alle antinomie e alle teorie degli auto valori.
L’ultima parte, "Concettualità destinale" analizza, registra come già in Kant fosse chiaro il pensiero secondo cui il senso non può che poggiare sul non senso, come la nostra conoscenza prema verso la domanda totale di teorie che diviene essa stessa soggetto del nostro destino, creando una propria concettualità in cui trova posto un nuovo concetto di destino. Questa nuova concettualità che si estende nel tempo, come del resto la concettualità della teoria darwiniana della selezione della specie, non può che mettere in relazione una storia di contingenze con una storia di necessità, una bipolarità da sempre presente nella stessa ambiguità di destino cui siamo da una parte assegnati e di cui teorizziamo l’assegnazione.
Ezio Saia
Per cominciare a leggere e fare il Download:
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giovedì 16 luglio 2020
FINIREMO COME IL VENEZUELA
mercoledì 15 luglio 2020
GIUDIZI POLITICI
LA COMPLESSITÀ DEL DIO E ALTRI SAGGI
martedì 14 luglio 2020
ALTAFORTE Cacciato altro sintomo di COLPO DI STATO
domenica 12 luglio 2020
Memorie criminali condivise
Uno degli
strumenti più diffusi dalle repubbliche di Platone travestite da democrazia è
l’insistenza per una memoria condivisa. Ovunque ci sono divergenze sul giudizio
del passato, ecco che nascono accuse di revisionismo e, quando anche queste non
fermano il fenomeno, ecco spuntare la necessità di un’unità nazionale e di
memorie condivise. Una visione condivisa sulle Foibe? La si chiedeva anche
quando l’intellighenzia che scriveva sui giornali, addirittura le negava.
Quanti furono gli
italiani massacrati nelle Foibe? Chi lo sa. L’Italia civile degli storici
marxisti piuttosto di parlarne, si dedicavano alla fecondazione artificiale dei coleotteri. E
naturale che si sia constatato che delle foibe ai nostri studenti non veniva
insegnato nulla e perfino la parola “Foibe”, non comparisse.
Ha capito, signora
letterata, l’argomento Foibe non compariva! Compariva invece, ad esempio, sul Vocabolario della lingua parlata in Italia,
a cura del noto Carlo Salinari, militante del PCI che scriveva“Dolina con sottosuolo cavernoso. Indica
le fosse del Carso nelle quali nella guerra ’40,45, furono gettati i corpi
delle “vittime della rappresaglia
nazista,” Che criminale bugia! I
nazisti al posto dei comunisti Titini. Non basta! Il Garzanti De Agostini, riedito da “Repubblica”nel 20004, (ha capito lemure “2004”) parla
angelicamente di “fenomeno carsico”. Nel 2000 il Devoto Oli parla di: “Fossa comune di lotta civile e
assassinii politici” mentre nel dizionario di Paravia del 2000, Tullio De Mauro
parla con indecenza di “Fossa comune per occultare cadaveri vittime di eventi
bellici!”
Inutili anche i
tentativi di gettare solo sugli slavi le responsabilità. Il viaggio degli
esuli, trattati in Italia come lebbrosi, si trasformò in un viaggio della
disperazione, insultati dalla ben presente forza partigiana. Inoppugnabile
testimonianza che chi li ha perseguitati in questi 70 e più anni furono i
partigiani italiani. Nella loro fuga senza fine, tra l’ostilità e il disprezzo
in Italia, non c’erano slavi non c’erano Titini ma solo partigiani rossi.
Massacro slavo
etnico e non politico? Ecco quello che ci ricorda uno di quegli esuli, Mario
Cappellini di Milano, in una lettera alla Stampa:
“Caro Aldo, il giorno del ricordo delle
Foibe, mi dà lo spunto per una riflessione. Quei massacri sono sempre e solo
attribuiti ai partigiani comunisti di Tito e nessuno, o quasi, cita mai la
collaborazione data ai Titini dai partigiani comunisti italiani. Sono nipote di
esuli istriani scappati nel ’45 e ricordo bene i loro racconti. La loro paura
maggiore era quella di incontrare i partigiani italiani che erano più crudeli
dei titini.
Possibile che dopo più di settant’anni si
cerchi ancora di nascondere quello che, ahimè, fa parte della storia?”
Risponde in poche
righe il signor Aldo:
“Caro Maurizio, mi associo al suo ricordo e
alla condanna per quella pagina nera della storia nazionale.!
Stop? Tutto qui? Lui
si associa! Le parole d’ordine della società civile sono diventate “Mi associo” quando non se ne può fare a
meno, oppure “auspico, auspichiamo”
tutto per mettere una pietra sopra e correre via.
Volevate una memoria condivisa? Ancor oggi, quando esiste un’associazione, l’Anpi, che insiste sulla memoria sua e non ammette l’evidenza che le foibe furono una strage immane, un genocidio, in buona parte consumato, portato a termine dai partigiani, Titini o italiani che fossero. Eppure l’Anpi è un’associazione, finanziata dallo stato e che fa politica.
Sono stati tolti i finanziamenti ai partiti politici ma ecco
che la sinistra ha un braccio armato, finanziato dallo stato che interviene
pesantemente nelle questioni oggetto di controversia politica, per urlare i
suoi insulti di fascismo e di razzismo. Perfino sul referendum costituzionale
intervenne con minacciosa pesantezza.
Anche il papa anche
la chiesa interviene pesantemente in favore della sinistra nella questione
migranti. Lo fa il Papa e lo fanno i suoi preti dai pulpiti. Eppure sono anche
loro finanziati tramite il cinque per mille e ricevono vergognosamente una
parte dei finanziamenti di coloro che non scelgono né lo stato ne alcuna
confessione religiosa.
C’è stata successivamente specialmente dopo il
duemila una presa di coscienza dell’orrore degli eccidi delle foibe e ci
chiedono di condividere il nuovo clima. A parte che sussistono ancora molte
divergenze e non esiste ancora affatto una memoria condivisa ma e i settantanni
passati a ricevere gli insulti di “revisionisti vergognosi”, di “razzisti”, di “fascisti”
dove li mettiamo? Su questi non esiste neppure un accenno di memoria condivisa.
Su quel periodo infame, sulla cupola culturale imposta dalla sinistra per cinquantanni anche sulla questione Foibe, la memoria di sinistra non si pente.
Lo stesso accade con la resistenza e la liberazione. Dopo roventi accuse di fascismo a chi parlava di guerra civile, l’elite culturale, la stessa che ignorava o giustificava le foibe e l’infame trattamento degli esuli in fuga lungo l’Italia, accettò l’idea ma mantenne intatta l’atmosfera mitica di una resistenza tutta buona e civile, nonostante i diversi episodi e gli eccidi ormai, se non di dominio pubblico, ben a conoscenza degli storici che come sulle foibe tacevano, incalzati dalla solita Anpi, che con i soldi dello stato, di tutti, faceva politica, la sua politica, e la sua falsa memoria.
Una svolta recentissima, quella del giornalista Pansa, che
benché del gruppo l’Espresso, studioso della resistenza non esitò per amore
della verità a parlare degli omicidi dei partigiani, e delle enormi bugie
presenti in quella che le elite culturali volevano come memoria condivisa.
Ma già c’era stato
un grande storico, De Felice, che
vilipeso ostracizzato ma non azzittito perché la sua conoscenza, le sue
ricerche, i suoi giudizi erano giustificati. Su De Felice e Pansa si accanì
tutta la malignità conformista e filo partigiana, ma i fatti denunciati, gli
assassini raccontati erano veri e la violenta campagna della cupola di sinistra
non fermò l’onda.
Un’onda ancor ben
viva ma destinata a terminare malamente. Intanto in questi settant’anni i libri
di memorie di partigiani non allineati non venivano pubblicati ma non solo, tutti i nostri libri, i nostri saggi, i
nostri romanzi venivano rifiutati. Anche quel capolavoro postumo che fu Il partigiano
Johnny di Beppe
Feisoglio fu messo alla gogna per le critiche ai partigiani comunisti, ma
contro quell'arte evidente, contro quel racconto di getto, avvincente, contro
quella lingua innovativa che da sola testimoniava la cultura dello scrittore,
nulla poterono. C’è da chiedersi come mai uscì postumo ma la risposta è
semplice. Come ebbe a dichiarare Gauss i suoi studi sulla geometria non
euclidea, non furono da lui pubblicati perché giustamente già lo disgustavano
le sicure critiche degli ignoranti beoti.
Arriveremo anche qui
a un ripristino della verità? ma come potremo, in ogni caso, cancellare dalla
nostra memoria, settantanni di ostracismi insulti e discriminazioni?
Impossibile.
La sinistra si tenga
la sua memoria noi ci teniamo la nostra e hanno ben ragione di temerla i
falsificatori della cupola.
Per loro valga
l’esempio della Serbia, dei Serbi che per anni, decenni, secoli subì
l’occupazione e le angherie dei Turchi musulmani. Impotenti assisterono alle
bestiali impalazioni descritte anche dal premio Nobel Ivo Andric nel suo
capolavoro, Il ponte sulla Drina, ma
nulla potevano contro i turchi e gli slavi che avevano tradito e addirittura
abbracciato Maometto e la Sharia, se non ricordare e trasmettere ai figli, ai
nipoti la memoria di quei traditori e di quei Turchi. Contro i loro eserciti si
erano battuti in battaglie feroci e memorabili, le loro città e i loro villaggi
avevano subito la sistematica uccisione dei civili. Quelle battaglie perse
salvarono l’Europa e alla fine gli impalatori furono fermati sotto le mura di
Vienna, ma intanto i serbi, avevano, i serbi kosovari soprattutto, trovarono
altri torturatori nei fascisti, nei nazisti e poi in Tito e nei comunisti, decisi
anche loro a imporre con le buone e con le cattive a imporre una memoria
comune, a reprimere la rabbia serba kosovara, a far finta di non vedere, i
tormenti a cui quei serbi venivano sottoposti, Tormenti che comprendevano di tutto perfino il furto
di bestiame, l'uccisione di bestiame, falsificazioni di catasto. agguati, pestaggi, punizioni punitive continue
sui serbi, violenze e stupri sulle loro donne, fino alla violazione posteriore
con bottiglie. Il tutto perfino utilizzando anche picchiatori albanesi.
Anche con Tito, col delinquente e assassino Tito, i serbi kosovari
poterono solo conservare la loro memoria contro i convertiti diventati impalatori
e assassini e attendere il giorno della sole nero. Un giorno che giunse con la
morte di Tito e il disfacimento del suo regime criminale, per esplodere a Srebrenica, nel giorno in cui quelle memorie presero vita
con il massacro di più di ottomila civili maomettani, sotto l’occhio chiuso
delle truppe dell’ONU, che, sul posto per evitare quelle stragi, perché Srebrenica stava cadendo in mano ai Serbi, che certo non si sarebbero fermati, si voltarono dall’altra parte.
L’ordine di intervenire non arrivò. Perché non
arrivò? Perché all’Onu si pensò che uno sfogo al secolare odio serbo, al
secolare desiderio di vendetta bisognava concederlo? Che se si evitava Srebrenica sicuramente sarebbero accadute altre stragi, che un massacro
in più o in meno non cambiava nulla?
Che un massacro giustificava un intervento di civiltà,
come in effetti avvenne con i sinistri Clinton e Dalema che si diedero da fare
a bombardare i Serbi che non volevano cedere i loro santuari, ossia la loro memoria
ai maomettani del Kosovo.
Memoria condivisa?
Non esiste per i pochi fra i tanti citati e già si affacciano le nubi di un
altro malaffare della sinistra, su cui la stessa sinistra sarà poi obbligata a
chiedere una memoria condivisa. Parlo del colpo di stato iniziato da un
magistrato che già si vedeva presidente della repubblica, che subì come un
affronto la vittoria di Berlusconi e che, in barba ad ogni legge di probabilità
fece arrivare a Berlusconi il ridicolo avviso di reato sintetizzato nella frase
“Non poteva non sapere” a un congresso mondiale sulla criminalità, avvisando
così con chiarezza e senza equivoci che l’Italia sana e civile era dalla parte
delle elite contro Berlusconi e che il suo era l’inizio di una guerra
giudiziaria, che puntualmente avvenne in barba alla civiltà democratica e alla
costituzione della resistenza. Guerra che si trascina ancor oggi dove l’incivile
Berlusconi è stato sostituito dal barbaro Salvini.