venerdì 27 novembre 2020

Dopo il mio lungo. Covid, Impero UE, Sovranismi

Non un tentativo di indirizzarvi verso Italexit, ma solo una sede virtuale dove ragionare, argomentare discutere sulla UE.


 Pensate ai grandi imperi del passato, a  quello cinese, a quello egizio, a quello persiano, al nostro impero medioevale, all'impero della chiesa. Tutti quei secoli imperiali in ogni punto della terra, in ogni periodo hanno prodotto meno conoscenza meno arte, meno
progresso che poche decine d'anni nelle città greche come Atene e nella città rinascimentali italiane come Firenze, Milano, Venezia, dove la civiltà veniva creata (Atene) o ricreata (Firenze, Venezia) ed esportata, come ad esempio a Roma, dove si creavano, sì, grandi capolavori ma chi li creava erano Raffaello, Michelangelo, ecc.

Le grandi democrazie come gli Stati Uniti la Svizzera la Gran Bretagna  resistono al tempo, ai secoli solo se conservano un ordinamento confederale, presupposto per la non omogenizzazione del pensiero, delle culture, delle tradizioni, delle abitudini che, creando  uniformità, spesso forzata, schiacciano diversità ma la diversità, la libertà delle diversità, sono le matrici della creatività culturale, del progresso civile e conoscitivo, delle grandi opere d'arte, il terreno fertile perché, come in Atene, a Venezia, a Firenze, a Milano a Mantova, nascano le opere d'arte, fioriscano il pensiero libero, la letteratura, la filosofia, la matematica, la scienza. Dante credeva nell'impero ma scrisse nel volgare fiorentino. Le città rinascimentali cercavano di liberarsi dai due totalitarismi del papato e dell'impero ma questi riuscivano a dare le loro zampate: Galileo fu costretto all'abiura e Giordano Bruno fu bruciato vivo al campo dei Fiori. 

Non illudetevi che la democrazia possa resistere alla volontà unificatrice, imperialista della UE. Neppure il senato romano, la particolare democrazia romana, la sua libertà di pensiero riuscirono a resistere al pensiero dell'unità, al pensiero della sovranità dei cittadini, al rifiuto della pace e dell'armonia. I pochi Bruto in circolazione riusciranno a impedire la che la democrazia UE si trasformi in un impero? Con gli stessi insegnamenti alle elementari, alle medie inferiori e superiori, alla università, alle stesse convenzioni sociali, alle stesse leggi universali che valgano per le culture, le religioni, le non religioni, le società più diverse. 

La democrazia è inimicizia, (Nel senso dell' '"amico, nemico di Carl Schmitt), diversità, non armonia e pace. Non lo è neppure nel tempo del Covid. 

Si sente continuamente invocare l'abolizione delle regioni in Italia. l'abbandono delle nazioni in Europa, ma chi contrasterà l'impero, chi proteggerà la democrazia dopo che i furfanti del PD hanno accettato Conte e i DPCM, esautorando il parlamento, dopo che gli ignoranti estensori della costituzione non sono neppure riusciti a capire che i crimini e la politica di repressione del crimine sono cose diverse ed hanno assegnato al potere giudiziario tutta la politica di repressione del crimine,   dopo che viene finanziata dallo stato la stampa cartacea, (immane spreco di  denaro e alberi) si dedica a insultarci, dopo che le televisioni sono tutte in mano dell'Elite?

Oggi c'è il covid, domani ci sarà l'emergenza fame e povertà o il covad o il covud e allora perché non dire che siamo sempre in emergenza e togliere di mezzo questa ingombrante democrazia e fare come la Cina che ha saputo combattere il Covid così bene? 

Perchè non affidarci all'Europa che ha fatto miracoli decidendo che le banane non lunghe tot, le mele non tonde tot, non sono banane e mele, cosa decideranno dei nostri pensieri per chiamarli pensieri?

Ci salva pensiero unico per il quale le banane piccole non sono banane, le mele e le pere piccole non sono pere, le diversità diventano volontà generale, le diversità delle memorie diventano MEMORIA CONDIVISA, ossia memoria unica?

Memoria condivisa sulle Foibe, sulla guerra civile? No, grazie noi ci teniamo la nostra e smettetela di cercare di imporci la vostra.

Il pensiero radical chic parla di noi come sovranisti ma nella sua ignoranza, con tutti i suoi espertoni e sociologoni, non si sono neppure degnati di uscire dall'insulto culturale per cercare di capire quello che chiamano "IL BARBARO UNIVERSO SOVRANISTA", per cercare di esplorarne le ricche articolazioni, le ricche diversità.

Se confederazione deve essere perché le repressioni furibonde contro la Catalogna, contro i paesi baschi. Perchè non si dà l'indipendenza all'Alto Adige, alla Corsica e in genere a tutte le regioni che la vogliono? Dobbiamo arrivare un bel giorno a guerre dilanianti come quelle dei Balcani? L'UE tace ma non esiste l'autodeterminazione dei popoli sancita dall'ONU?

Rinvio la continuazione ad altri post.

Ezio Saia

 

  


domenica 25 ottobre 2020

25 Giornalisti infami Camilla Cederna Il presidente Leone. Colpo di stato date da Wikipedia



Se un altro personaggio contende con l’editore Einaudi, con gli odiosi Crespi e Ottone la palma di fondatore del partito, élite-radical-chic- società civile questo è senz'altro l’odiosa e squallida Camilla Cederna.
Quello che scriviamo si trova in qualsiasi libro di storia contemporanea o in qualsiasi enciclopedia alla voce “Leone”. Ci limitiamo a un richiamo e ad aggiungere un po’ di prezzemolo qua e là.
Dunque, il 15 giugno del '78 Leone si dimise. Abbandonato anche dal suo partito, il cui segretario Zaccagnini, (un uomo onesto schiacciato da un enorme complesso d’inferiorità morale e da un'irrimediabile sudditanza psicologica e morale verso il P.C.I. di Berlinguer) gli impedì di difendersi come Presidente della Repubblica, oggetto, tanto lui che i suoi famigliari, di una campagna di denigrazione, accuse, insulti senza precedenti, non poté che dimettersi. Lo fece per potersi difendere. Lo fece per difendere l’istituzione “Presidenza della repubblica”, lo fece per dare una lezione di moralità ai suoi accusatori.
Quali le accuse? Quali gli accusatori?
Le accuse erano molte ma la più grave riguardava la vendita all’esercito italiano da parte dell’americana Lockheed degli aerei per trasporto truppe Hercules C130. Leone aveva la grave colpa di essere amico dei fratelli Lefebvre, rappresentanti in Italia della ditta Lockheed e accusati di aver distribuito mazzette per portare a buon fine la vendita. I percettori delle Mazzette risultarono tra gli altri i ministri Tanassi e Gui, il primo socialdemocratico, il secondo democristiano e un uomo politico indicato come “antilope coppler”, letteralmente “ciabattino d’antilopi” che si trasformò velocemente e abusivamente in “antilope goppler”, “sbranatore d’antilopi”, ossia in leone, ossia in Giovanni Leone, presidente della repubblica italiana e amico dei fratelli Lefebvre.
La campagna stampa fu orrenda. Vi parteciparono, tra gli altri, Nino Pecorelli, direttore del giornale OP e i radicali Bonino e Pannella, ma la vera protagonista, l’eroina, l’anima nera, l’accusatrice impietosa e infame fu la giornalista Camilla Cederna.
Perché tanta ostilità? Lasciamo per ora in sospeso la questione e limitiamo a rilevare che:
1) nessun del partito democristiano osò essergli pubblicamente solidale, nessuno osò dichiarare che nessuna di quelle accuse stava in piedi,
2) come oggi riconosciuto da tutti, anche da accaniti accusatori, come i radicali Pannella e Bonino, fu una delle pagine più meschine, vigliacche, infami della storia democratica della prima repubblica, che registrò anche una meschina campagna di fotomontaggi per gettare fango sulla moglie Vittoria.
L’ESPRESSO, che divenne per questa e altre vicende capofila di un vero partito politico d'élite) montò una micidiale campagna incentrata fra l’altro sull'amicizia con i LEFEVRE senza mettere in evidenza che non fu un’amicizia fra LEONE IN QUANTO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA e uomini d’affari come si riuscì a far credere ma un’amicizia FRA COLLEGHI D’UNIVERSITÀ. Leone e Lefebvre erano colleghi d’università e addirittura, a quanto sembra, coautori di un testo universitario.
La micidiale campagna scandalistica, denigratoria del settimanale culminò con la pubblicazione dei primi capitoli del libro della Cederna.
Il libro della Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente si rivelò decisivo. La veemenza dello scritto, la ferocia delle accuse al presidente e ai suoi famigliari, la fama della giornalista, l’impressione, abilmente insinuata, che i suoi stessi colleghi, tanto della D.C. che del Parlamento fossero consapevoli dell’indegnità del presidente, la morbosità della vicenda, fecero sì che il libro, vero anticipatore della lega nel suo disprezzo per la cultura popolare meridionale) vendesse più di seicentomila copie. Ma chi era Camilla Cederna?

Dal '58 all'' 81 è a L'espresso come inviata e come titolare della rubrica di costume "Il lato debole". E’ un periodo in cui la Nostra, relativamente lontana dalla politica, è brillante commentatrice-fustigatrice di costumi non elitari, feroce coi parvenu, con quegli impresari che contribuirono al miracolo economico italiano. Col generale risveglio del ’68, s’incrementa la passione per la politica che esploderà con la strage di Piazza Fontana. La Cederna pubblica un'inchiesta sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, fermato per accertamenti e morto precipitando da una finestra di un ufficio della Questura milanese ed è nel ’71 ispiratrice della lettera aperta pubblicata dall’Espresso contro il commissario Calabresi sul caso Pinelli. Pochi mesi dopo, il commissario Luigi Calabresi viene ucciso di fronte alla sua abitazione e molti vedono nelle sue dure quanto infondate insinuazioni della giornalista il fiammifero da cui era partito l’incendio. Un’accusa che il prefetto Libero Mazza non esita a rivolgerle durante un colloquio-conferenza avvenuto nello stesso ospedale dove giace la salma del commissario Calabresi.
Scrivono sull'articolo-celebrazione pubblicato su Corriere della sera alla sua morte che, inviata dall'Espresso a una conferenza  stampa del questore sulla morte di Pinelli e sull'arresto di Valpreda, la Cederna fiutò “imbarazzo e grossolane bugie. Vuole vederci chiaro, guarda dietro alle apparenze, si indigna (è l'indignazione civica la sua bussola politica, non l'ideologia) e scrive. Gli articoli, i capitoli del libro - inchiesta Pinelli, una finestra sulla strage, non sono per nulla accomodanti sul commissario Calabresi che verrà più tardi, letteralmente linciato da Lotta Continua e successivamente verrà ucciso. Camilla si ritrova pesantemente coinvolta, per quella incivile frase del questore ("Mandante morale dell'omicidio Calabresi"). La chiamano "carnivendola".
L’accusa, ribadita da Vittorio Sgarbi in una trasmissione televisiva nel 1991, indusse gli eredi a intentare contro di lui un procedimento di risarcimento danni che si concluse in Corte Suprema (2005) con l’assoluzione di Sgarbi a cui fu riconosciuto a Sgarbi il diritto di critica.
Dopo il capolavoro carnivendolo di disinformazione e di odio su Calabresi venne un secondo capolavoro con la vicenda Leone. Un capolavoro di idiozia, di disinformazione e di bugie, si disse, basato sul nulla o meglio sulle bugie politiche del giornalista Mino Pecorelli titolare dall'agenzia "OP" ritenuta vicina ai servizi segreti deviati. Quegli stessi servizi deviati, forse, autori di quelle false ricostruzioni fotografiche con le quali si cercò di infangare la moglie. Dopo questa disastrosa campagna di Stampa venne, sempre in collaborazione con e sull'Espresso, l’orchestrazione della campagna scandalistica contro Leone e i suoi famigliari culminata nel libro Giovanni Leone. La carriera di un presidente che con le sue oltre 600.000 copie fu determinante per la sua caduta. Essendo stato impedito al presidente di difendersi tramite l’avvocatura dello stato con procedimento penale contro l’autrice, furono i suoi famigliari a farlo con querela.
La Cederna perse le cause, fu condannata per diffamazione, fu inflitta a lei e al suo giornale L'espresso una pesante multa, fu decretata la distruzione di tutte le copie del libro. La giornalista e il settimanale lEspresso non furono solo condannati dalla magistratura ma persero anche politicamente con l’opinione pubblica. Leone sarà riabilitato integralmente. Nulla di ciò di cui era accusato dalla Cederna era vero. Per questa bruttissima pagina (che fu scritta soprattutto dalla Cederna e dall’Espresso) i radicali  Bonino e Pannella chiesero ufficialmente scusa. Scuse tardive come tardivo fu il riconoscimento del presidente della repubblica Napolitano che pubblicamente manifestò il suo dispiacere per la grave ingiustizia che ebbe a subire il Presidente Giovanni Leone e la sua famiglia.
Nessuna riflessione fu invece avviata sull'enormità di ciò che era accaduto. Nessuno ebbe il coraggio non solo di dire ma anche di pensare che con la deposizione di Leone era stato portato a termine il primo colpo di stato del dopoguerra. Nessun parlamentare o partito propose la sua rielezione come presidente della repubblica.
Ciò che mancò fu quel pubblico dibattito, quella guerra democratica, quella interazione capace di creare nuovi soggetti e nuovi significati di cui nutrire la democrazia.
Scrive ancora il Corriere della sera nell'elogio funebre:
“"Radical chic" l'hanno definita i suoi nemici e certamente lo era: di sinistra e insieme di casa tra la bella gente. Ma anche se a suo tempo lo si faceva passare per una grave macchia, oggi, ad acque passate, il peccato sembra del tutto veniale. E comunque lei stessa - almeno in tete a' tete - tranquillamente e civettuolamente era disposta ad attribuirselo.”
Carino quel “civettuolo” a proposito di una spregevole giornalista autrice di tante nefandezze. Incomprensibile che non fosse in galera dopo un colpo di stato e dopo aver distrutto un presidente della repubblica. Con che diritto in una democrazia non era in galera?
Per l’incredibile potere di sputtanare, di demolire impunemente una persona, un personaggio politico, un altro giornalista, un commissario di polizia, riservato a quell’infame elite dei giornalisti che si autodefiniscono una colonna della democrazia, ma che sono in realtà una colonna chiusa, arroccata nel loro castello di privilegi, finanziata dallo stato e dai contribuenti in maniera indecente e protetta da una democrazia che a questo punto fatica ad essere considerata una democrazia.
Se non è democrazia quella di Putin che perseguita i giornalisti che lo criticano non lo è neppure quella italiana che permette impunemente ai giornalisti di fare il bello e cattivo tempo.

Tutti noi che oggi ci affanniamo su questo Manifesto eravamo a quei tempi dalla parte dell’elite dell’Espresso: appoggio vergognosamente cieco ed elitario a un'élite snob e radical chic, libera di tutto fare, di tutto disfare per insediarsi al potere. Il radical chic dilagava, la gente con l’uscita del nuovo giornale La Repubblica, lo ostentava orgogliosamente come attestato di democrazia. Un confraternita di successo nata e cresciuta sull'onda delle denuncia di un colpo di stato (Solo) mai accertato e di un colpo di stato portato vittoriosamente a termine.
La “Società civile” era nata, anche se non si era ancora autoproclamata.
Chi ci risvegliò dal nostro sonno dogmatico circa la cultura di serie A e di serie B, la cultura alta e bassa, elitaria e popolare fu l’interpretazione che un nostro amico assicuratore proprio in occasione dell’evento Leone. Non proprio un amico ma un conoscente occasionale, di origini napoletane con cui trascorremmo alcune serate di accese discussioni.
L’assicuratore interpretava l’affare Leone come una congiura. Una congiura del Nord contro il Sud. L’ennesima congiura del Nord contro il Sud e la sua cultura. Un’accusa sostenuta con vigore ed estesa a tutto il Nord, a tutti i suoi cittadini a noi, i suoi amici, che assistevamo senza muoverci senza protestare con energia contro quello che considerava un colpo di stato. “Il Nord ha riunificato l’Italia, il, Nord ha fatto la resistenza e noi che abbiamo fatto al sud? Fornito all’esercito alleato l’alleanza con la mafia.”Accuse pesanti che non furono sul momento neppure capite tanto ci apparivano stravaganti, anche se sicuramente si insinuò il dubbio che tutta quell’accusa fosse veramente una congiura, come sosteneva l’assicuratore, non ordita dal nord contro il sud ma dalle forze laiche contro un presidente democristiano. “Stanno detronizzando un presidente perché faceva le corna. Leggetelo il libro di quella maiala e di tutte le accuse non troverete altro. Quella donna odia la cultura popolare napoletana, odia il sud.”
In effetti l’odio tutto radical chic per la cultura popolare del sud traspira dal libro della Cederna; oltre le accuse feroci e non documentate, rimangono effettivamente solo quelle corna scherzose.
Al principio degli anni Ottanta, il risarcimento alla famiglia venne valutato in seicento milioni; in seguito altri danni morali vennero riconosciuti anche a due avvocati.

Ci rivolgiamo a voi. Siete davvero convinti che i giornalisti siano i pilastri della democrazia. Quanti cittadini rovinati dai giornalisti spesso in coppia coi PM, altro pilastro della democrazia, dovettero attendere per anni il pigro svolgimento del processo che infine li assolse?
Ma la Nostra Cederna, snob e radical chic ne fece anche altre.
Era successo che, in un libro, Camilla Cederna aveva attribuito al collega Afeltra un articolo scritto, molti anni prima, su un giornale fascista. L'articolo firmato "Gaetano Afeltra" esisteva, era stato pubblicato sul giornale della federazione lombarda del Partito nazionale fascista e trattava di alimentazione. Ma quel "Gaetano Afeltra" era un omonimo: un capitano dell'esercito addetto alla sussistenza. Afeltra fece querela e si arrivò al processo. Ma, dopo un paio di udienze, la querela fu rimessa. Camilla Cederna era già stata condannata per la vicenda Leone, e Afeltra non volle infierire. Oppure tutto finì a tarallucci e vino e, sottobanco, la nostra elitaria, arrivista chic e radical snob, pagò.
Ma anche se il processo non giunse a termine il reato informativo esisteva e non era quindi logico e giusto che anche per questo delitto dovesse pagare? Non pagò: sono i pilastri della democrazia o le puttane della democrazia?

Le conseguenze politiche e sociali di quel colpo di stato furono enormi. In Italia al governo e all'opposizione c’erano partiti di massa, di popolo che allevavano i loro cuccioli nelle associazioni, negli oratori, nelle società operaie, aperti a tutti, aperti alle culture. I due partiti funzionavano da ascensori sociali, avevano connessioni strette con le grandi associazioni sindacali, ed imprenditoriali, ma senza mai farsene dominare. Uno, la Democrazia Cristiana che si definiva ed era un grande partito popolare ed interclassista, rifiutava la contrapposizione di classe, La rifiutava perché quella era la loro operativa interpretazione, amico nemico, dell’articolazione sociale, l’altro ugualmente popolare era in grave anche se non aperta e conclamata crisi intellettuale, per la sua associazione all'ideologia della democrazia reale del comunismo e dei regimi che in suo nome con i suoi obiettivi dominava dalla fine della guerra le democrazie socialiste dell’Est.
Ma erano due partiti popolari e non elitari, che cercavano di capirsi, si studiavano, si rispettavano e durante il lungo periodo di contrapposizione anche dura furono portate a termine grandi riforme popolari e antielite come l’abolizione della media del latino, dell’esame di ammissione con la media unificata per tutti, come il libero accesso a tutti gli studenti di i tipi di secondaria, ragionieri, periti, geometri a tutte le facoltà universitarie. Due grandi riforme antielitarie ( non furono le uniche) in un campo, quello scolastico, di grande significato, popolare. Dopo queste il passo ovvio e successivo nella stessa direzione popolare ed egualitaria doveva essere il vario di una scuola secondaria unica con l’abolizione del greco e di quel liceo classico, vero allevamento di polli di élite che avevano la possibilità in quei cinque anni di preparare le loro emersione, la loro elitaria alleanza, con il greco come visibili, udibile simbolo di fratellanza e alleanza. Ma l’attesa fu vana. La secondaria superiore unificata e ridotta a quattro anni, anche questa riduzione, simbolo di visione e cultura popolare non venne mai.
Il grande popolare partito comunista in forte difficoltà, che aveva già irriso e giustamente rifiutato la guida intellettuale del partito d’azione prima e del partito degli intellettuali del Manifesto, ora, dopo il fallimento anche del grandioso tentativo di alleanza D.C. e P:C.I. passato alla storia col nome di Compromesso Storico, aveva bisogno di uno chaperon, di una forza indiscutibilmente e democratica e occidentale, che l’accompagnasse nel lungo cammino che doveva far dimenticare il loro passato comunista di adesione alla democrazia reale per fare il suo ingresso possibilmente con la stessa forza nella democrazia occidentale, e la forza necessaria era già pronta in quel partito non partito più che mai elitario e intellettuale di cui godeva la simpatia e di cui aveva visto la forza nella vicenda del colpo di stato a Leone, con gli impiegati che se andavano con il nuovo quotidiano la Repubblica orgogliosi di essere partecipi di una forza progressista intellettuale elitaria che aveva salvato l’Italia da un colpo di stato forse inesistente e scalzato un ignorante napoletano che faceva le corna e forse credeva nel sangue di San Gennaro.  
Ma questo è un capitolo storico tutto da riscrivere.


mercoledì 21 ottobre 2020

GIORNALISTI IGNORANTI E FAZIOSI

 Quando acquistate un giornale chiedetevi se vi pare giusto leggere e pagare giornalisti che vi insultano. 

Se vi pare giusto l'enorme quantità di denaro che lo stato. e quindi noi, tu ed io, eroghiamo ai giornali perché ci insultino. 

Se questi giornalisti radical chic che ci insultano coi nostri soldi, che banchettano coi nostri soldi, non siano altro che squallidi parassiti mantenuti da noi.

Ci dicono che i giornalisti e i loro giornali siano i pilastri della democrazia ma vi pare che le pagine che parlano di cantastorie che parlano delle esplorazioni della propria anima, siano un pilastro della democrazia? Che il direttore d'orchestra, elogiato perché nessuno sa far risuonare gli ottoni come lui in orchestra, sia un pilastro della democrazia? Che l'attore intervistato circa il suo eroico e madornale sforzo per penetrare l'intimo animo dell'Avaro sia un pilastro della democrazia? Che l'oroscopo sia un pilastro della democrazia? Che le previsioni del tempo siamo pilastri della democrazia? Che un formaggio sia un pilastro della democrazia? Che un cuoco sia un pilastro della democrazia?

CHE L'INDECENTE RADICAL CHIC CAMILLA CEDERNA SIA UN PILASTRO DELLA DEMOCRAZIA?

.Inizio oggi una serie di ritratti di indecenti giornalisti o opinionisti Elitari, che altro non fanno che insultarci. Inizio da Tal


Panarari


lunedì 19 ottobre 2020

ITALEXIT

 



Avete risentito parlare di Italexit nei giornali, nei telegiornali o in quella specie di alcove, che sono le tavole rotonde? Avete rivisto il volto del fondatore? NO, CENSURATO, ufficialmente evaporato. E eppure di cittadini desiderosi di preparare l’uscita dall'impero UE che solo a sentire parlare di UE sono assaliti dall'orticaria, dal rush, dai pruriti ce ne sono a bizzeffe. Eppure i nostri gloriosi media ci dicono non esistete.

Il partito Italexit per il quale io mi metto a disposizione e metto a disposizione il mio Blog, deve emergere e per emergere ha bisogno di voci, di cultura, di controcultura che si opponga all’ignoranza di quella sinistra, la cui egemonia ci messo in quarantena per cinquantanni..

Italexit deve essere una voce culturale che si fa sentire, che irride all'ignoranza del Pd, dei cinque stelle, dei nuove sardine esperte di frisbee e di null'altro.
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lunedì 20 luglio 2020

Due Dopoguerra


Non so come finirà la trattativa in Europa ma, per favore, non paragonate questo dopoguerra all'altro. 
Allora c'erano EINAUDI e DE GASPERI, oggi ci presentiamo con gli avvocati Conte e Mattarella.
Allora C'erano due grandi partiti colti e popolari come la D.C. e il PCI, oggi  vedete voi chi c'è e se si può fare un paragone. 
Allora si partì collaborando per fare la Costituzione e Ora?
Ora il posteggiatore abusivo Conte si presenta del tutto impreparato, senza uno straccio di programma, a capo di una coalizione che rappresenta l'elite del paese e non la maggioranza dei cittadini.

venerdì 17 luglio 2020

Presento FILOSOFIA DEI PARADIGMI


Il saggio si divide in tre parti:

  •  Concettualità verticale,
  •  Concettualità circolare, 
  • Concettualità destinale,

La prima analizza le razionalizzazioni unidimensionali, quelle che da sempre, prima degli studi di cibernetica, informavano gli studi, i saggi filosofici e il procedere lineare di scienze e ragionamenti. Una modalità di aprirsi al mondo, quella verticale, che permane benché mostri da sempre limiti invalicabili come le assurde contraddizioni che obbligano a interrompere le catene di cause con auto-contraddittorie cause che causano se stesse, motori immobili che muovono, creatori increati. Tali sono anche le antinomie, veri serpenti che si auto divorano, rivelatesi così dirompenti in logica.

Il saggio analizza come, in opposizione alla “bestiale” teoria dei tipi, dei Principia, Wittgenstein cerchi di uscire dai pasticci di questa concettualità con la teoria raffigurativa del linguaggio. Una teoria, secondo il saggio, fallimentare già nelle semplici proposizioni predicative.

Nonostante questi problemi, il paradigma verticale ha avuto successo per motivi tecnici e linguistici, ma mostra ad una attenta analisi le sue caratteristiche violente di assimilazione del nostro mondo, che, nel saggio, viene analizzato non come vergine ma come esito di stratificazioni di teorie assimilanti. In questo contesto vengono analizzati i concetti di gerarchia, di selezione delle teorie, dei fondamenti, del vivere teorico.

La seconda parte riguarda le strutture ad anello chiuso, e in generale la cibernetica, mettendo in evidenza quanto  questa possa aiutarci nel costruire un nuovo paradigma di pensiero e di vita. Vengono analizzati i singoli componenti dell’anello, i mutamenti di linguaggio nell'anello, la presenza vitale della cibernetica nella nostra vita, nella nostra sopravvivenza, nella nostra stabilità, le possibili modalità di reazione ai mutamenti. Un'analisi condotta attraverso I concetti di analogico e di digitale, di stabilità e d'instabilità, di reazione positiva e negativa, giungendo fino alle antinomie e alle teorie degli auto valori.

L’ultima parte, "Concettualità destinale" analizza, registra come già in Kant fosse chiaro il pensiero secondo cui il senso non può che poggiare sul non senso, come la nostra conoscenza prema verso la domanda totale di teorie che diviene essa stessa soggetto del nostro destino, creando una propria concettualità in cui trova posto un nuovo concetto di destino. Questa nuova concettualità che si estende nel tempo, come del resto la concettualità della teoria darwiniana della selezione della specie, non può che mettere in relazione una storia di contingenze con una storia di necessità, una bipolarità da sempre presente nella stessa ambiguità di destino cui siamo da una parte assegnati e di cui teorizziamo l’assegnazione.

Ezio Saia

Per cominciare a leggere e fare il Download:

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giovedì 16 luglio 2020

FINIREMO COME IL VENEZUELA

Stato di emergenza imposto come dictat, Mattarella come Conte, statalizzazioni a tutto spiano, deficit infinito, rinuncia a sovranità, parlamento esautorato, modifica modalità di elezioni, italiani che se ne vanno.
Siamo sulla strada del VENEZUELA e finiremo come il VENEZUELA. 


mercoledì 15 luglio 2020

GIUDIZI POLITICI


Giudizi politici
Presento ora uno dei miei libri di saggi filosofici. Una parte dei quali è già comparso su siti filosofici del Web.
Dove cominciare a leggere e scaricare:
Il primo saggio TEORIE POLITICHE cerca di evidenziare e discutere il grado di pericolosità delle teorie che viene individuato successivamente nella valutazione nella loro Completezza, nella loro Decidibilità, nella loro Compromissione. Un’analisi nuova e necessaria per comprendere la teorie totalitariste, non una rimasticatura di ovvietà.
LA COMPLESSITÀ DEL DIO si pone appunto come obiettivo la disamina delle condizioni dell’organizzazione ideologica della società e delle teorie che caratterizzano questi totalitarismi, partendo dallanalisi dei concetti di verità e di interpretazione e individuando là dove la verità è considerata una realtà unica ed esistente, il grado di compromissione di un individuo in essa.
Successivamente analizza attraverso l’esame di concetti come democrazia, armonia, secolarizzazione, stratificazione della verità, spazio pubblico e spazio privato, coerenza, le diverse stratificazioni di una democrazia incentrata sul rapporto ermeneutico fra amico e nemico politico in una società democratica e in uno stato armonioso, dove viene perseguita la politica del tutto armonioso, dove tutti condividono lo stesso credo, la stessa moralità, la stessa verità, dove verità e moralità e dove, quindi, il nemico politico non esiste se non al di fuori dei confini. Anche qui un’analisi nuova, originale, innovativa, non una rimasticatura,
Il saggio sulla teoria della probabilità fa intravedere la difficoltà di considerarla logica umana quando si evidenzia l’insufficienza dei concetti di scommessa, premio, promessa e si dimenticano sia le condizioni iniziali e sia l’infinità della promessa.
La LOGICA DEL SI' MA analizza il senso, la natura e la filosofia di ciò che è associato rispettivamente al “Si” o al “NO”da una parte e al “Ma” dall’altra. Il Primo associato  a una logica processuale della libertà e della responsabilità, il secondo alla logica della necessità e a quella all'esonero di ogni responsabilità.
L’Interazione democratica e la sua importanza è l’oggetto dell’ultimo saggio. L’apparenza dispersiva è dovuto alla varietà dei concetti intensionalmente ed estensionalmente affrontati. Concetti come identità, come vittoria e sconfitta in guerra, di guerra e dopo guerra nelle democrazie e nei regimi autoritari.

LA COMPLESSITÀ DEL DIO E ALTRI SAGGI








martedì 14 luglio 2020

ALTAFORTE Cacciato altro sintomo di COLPO DI STATO


Cancellata su Facebook la Pagina di Altaforte. Altro sfregio alla libertà di opinione.
Prosecuzione del regime speciale in Italia con la scusa del Corona-virus. Unico regime in Europa a proseguire la dittatura..
Sgombrata a Roma la sede di Casa Pound, mentre restano tranquillamente occupate le sedi di sinistra.
Ignorata dal parlamento la richiesta di una commissione d'inchiesta sulla condanna di Berlusconi e su tutta la persecuzione giudiziaria  dal fatidico giorno del ridicolo "NON poteva non sapere".
Le elite si preparano a fronteggiare e annullare la prossima vittoria della destra al potere, a sabotarla ad annullarla. 
Dopo il colpo di stato con Leone, dopo quello contro Berlusconi, dopo quello contro Salvini si preparano a far intervenire l'esercito, i Giudici e i PM.
Caccarella tace e tutta questa vergogna  viene giustificata da Elite giornalistiche e televisive che ci presentano un Mattarella tutto affannato a nascoste prediche di moral suasion sulle porcherie del governo.
Vergogna!
IL termine Caccarella non è un insulto o una sensibile moral suasion verso questo strano individuo silenzioso ma una metafora di chi, affetto da caccarella, va al cesso e cacca in silenzio, chiudendo la porta.
Così fa Caccarellla e noi non sappiamo se la sua moral suasion nascosta sia un invito a RISPETTARE LA DEMOCRAZIA A FINIRLA CON QUESTA FARSA DI GOVERNO oppure degli inviti "BENE COSI'! AVANTI! COSI' A TUTTA FORZA! 
Se veramente vuole esprimere il suo pensiero, non lo faccia nelle sue stanze ovattate ma vada in parlamento e parli della commissione sul colpo di stato a danno della destra. Parli della necessità di una commissione d'inchiesta, con la possibilità di arrestare colpevoli e reticenti, e condanni questa dittatura di Conte e dei suoi sgherri PD. Dica chiaramente che Magistratura e governo non possono orchestrare l'ennesimo colpo di stato.   


E la destra tace. Non scende in piazza. Il che non è affatto una buona cosa. Limitarsi a ricordare, a non dimenticare, in attesa del giorno col sole nero, della nostra Srebrenica non serve. Srebrenica fu favorita dalla elite e dall'ONU per permettere al delinquente Clinton di bombardare i Serbi e toglier loro il Kosovo.

domenica 12 luglio 2020

Memorie criminali condivise

Uno degli strumenti più diffusi dalle repubbliche di Platone travestite da democrazia è l’insistenza per una memoria condivisa. Ovunque ci sono divergenze sul giudizio del passato, ecco che nascono accuse di revisionismo e, quando anche queste non fermano il fenomeno, ecco spuntare la necessità di un’unità nazionale e di memorie condivise. Una visione condivisa sulle Foibe? La si chiedeva anche quando l’intellighenzia che scriveva sui giornali, addirittura le negava.

Quanti furono gli italiani massacrati nelle Foibe? Chi lo sa. L’Italia civile degli storici marxisti piuttosto di parlarne, si dedicavano alla fecondazione artificiale dei coleotteri. E naturale che si sia constatato che delle foibe ai nostri studenti non veniva insegnato nulla e perfino la parola “Foibe”, non comparisse.

Ha capito, signora letterata, l’argomento Foibe non compariva! Compariva invece, ad esempio, sul Vocabolario della lingua parlata in Italia, a cura del noto Carlo Salinari, militante del PCI che scrivevaDolina con sottosuolo cavernoso. Indica le fosse del Carso nelle quali nella guerra ’40,45, furono gettati i corpi delle “vittime della rappresaglia nazista,” Che criminale bugia! I nazisti al posto dei comunisti Titini. Non basta! Il Garzanti De Agostini, riedito daRepubblica”nel 20004, (ha capito lemure “2004”) parla angelicamente di “fenomeno carsico”. Nel 2000 il Devoto Oli parla di: “Fossa comune di lotta civile e assassinii politici” mentre nel dizionario di Paravia del 2000, Tullio De Mauro parla con indecenza di “Fossa comune per occultare cadaveri vittime di eventi bellici!”

Inutili anche i tentativi di gettare solo sugli slavi le responsabilità. Il viaggio degli esuli, trattati in Italia come lebbrosi, si trasformò in un viaggio della disperazione, insultati dalla ben presente forza partigiana. Inoppugnabile testimonianza che chi li ha perseguitati in questi 70 e più anni furono i partigiani italiani. Nella loro fuga senza fine, tra l’ostilità e il disprezzo in Italia, non c’erano slavi non c’erano Titini ma solo partigiani rossi. 

Massacro slavo etnico e non politico? Ecco quello che ci ricorda uno di quegli esuli, Mario Cappellini di Milano, in una lettera alla Stampa:

“Caro Aldo, il giorno del ricordo delle Foibe, mi dà lo spunto per una riflessione. Quei massacri sono sempre e solo attribuiti ai partigiani comunisti di Tito e nessuno, o quasi, cita mai la collaborazione data ai Titini dai partigiani comunisti italiani. Sono nipote di esuli istriani scappati nel ’45 e ricordo bene i loro racconti. La loro paura maggiore era quella di incontrare i partigiani italiani che erano più crudeli dei titini.

Possibile che dopo più di settant’anni si cerchi ancora di nascondere quello che, ahimè, fa parte della storia?”

Risponde in poche righe il signor Aldo:

“Caro Maurizio, mi associo al suo ricordo e alla condanna per quella pagina nera della storia nazionale.!

Stop? Tutto qui? Lui si associa! Le parole d’ordine della società civile sono diventate “Mi associo” quando non se ne può fare a meno, oppure “auspico, auspichiamo” tutto per mettere una pietra sopra e correre via.

Volevate una memoria condivisa? Ancor oggi, quando esiste un’associazione, l’Anpi, che insiste sulla memoria sua e non ammette l’evidenza che le foibe furono una strage immane, un genocidio, in buona parte consumato, portato a termine dai partigiani, Titini o italiani che fossero. Eppure l’Anpi è un’associazione, finanziata dallo stato e che fa politica. 

Sono stati tolti i finanziamenti ai partiti politici ma ecco che la sinistra ha un braccio armato, finanziato dallo stato che interviene pesantemente nelle questioni oggetto di controversia politica, per urlare i suoi insulti di fascismo e di razzismo. Perfino sul referendum costituzionale intervenne con minacciosa pesantezza.

Anche il papa anche la chiesa interviene pesantemente in favore della sinistra nella questione migranti. Lo fa il Papa e lo fanno i suoi preti dai pulpiti. Eppure sono anche loro finanziati tramite il cinque per mille e ricevono vergognosamente una parte dei finanziamenti di coloro che non scelgono né lo stato ne alcuna confessione religiosa.

 C’è stata successivamente specialmente dopo il duemila una presa di coscienza dell’orrore degli eccidi delle foibe e ci chiedono di condividere il nuovo clima. A parte che sussistono ancora molte divergenze e non esiste ancora affatto una memoria condivisa ma e i settantanni passati a ricevere gli insulti di “revisionisti vergognosi”, di “razzisti”, di “fascisti” dove li mettiamo? Su questi non esiste neppure un accenno di memoria condivisa. Su quel periodo infame, sulla cupola culturale imposta dalla sinistra per cinquantanni anche sulla questione Foibe, la memoria di sinistra non si pente.

Lo stesso accade con la resistenza e la liberazione. Dopo roventi accuse di fascismo a chi parlava di guerra civile, l’elite culturale, la stessa che ignorava o giustificava le foibe e l’infame trattamento degli esuli in fuga lungo l’Italia, accettò l’idea ma mantenne intatta l’atmosfera mitica di una resistenza tutta buona e civile, nonostante i diversi episodi e gli eccidi ormai, se non di dominio pubblico, ben a conoscenza degli storici che come sulle foibe tacevano, incalzati dalla solita Anpi, che con i soldi dello stato, di tutti, faceva politica, la sua politica, e la sua falsa memoria.

 Una svolta recentissima, quella del giornalista Pansa, che benché del gruppo l’Espresso, studioso della resistenza non esitò per amore della verità a parlare degli omicidi dei partigiani, e delle enormi bugie presenti in quella che le elite culturali volevano come memoria condivisa.

Ma già c’era stato un grande storico, De Felice,  che vilipeso ostracizzato ma non azzittito perché la sua conoscenza, le sue ricerche, i suoi giudizi erano giustificati. Su De Felice e Pansa si accanì tutta la malignità conformista e filo partigiana, ma i fatti denunciati, gli assassini raccontati erano veri e la violenta campagna della cupola di sinistra non fermò l’onda.

Un’onda ancor ben viva ma destinata a terminare malamente. Intanto in questi settant’anni i libri di memorie di partigiani non allineati non venivano pubblicati ma non solo, tutti i nostri libri, i nostri saggi, i nostri romanzi venivano rifiutati. Anche quel capolavoro postumo che fu Il partigiano Johnny di Beppe Feisoglio fu messo alla gogna per le critiche ai partigiani comunisti, ma contro quell'arte evidente, contro quel racconto di getto, avvincente, contro quella lingua innovativa che da sola testimoniava la cultura dello scrittore, nulla poterono. C’è da chiedersi come mai uscì postumo ma la risposta è semplice. Come ebbe a dichiarare Gauss i suoi studi sulla geometria non euclidea, non furono da lui pubblicati perché giustamente già lo disgustavano le sicure critiche degli ignoranti beoti.

Arriveremo anche qui a un ripristino della verità? ma come potremo, in ogni caso, cancellare dalla nostra memoria, settantanni di ostracismi insulti e discriminazioni? Impossibile.

La sinistra si tenga la sua memoria noi ci teniamo la nostra e hanno ben ragione di temerla i falsificatori della cupola.

Per loro valga l’esempio della Serbia, dei Serbi che per anni, decenni, secoli subì l’occupazione e le angherie dei Turchi musulmani. Impotenti assisterono alle bestiali impalazioni descritte anche dal premio Nobel Ivo Andric nel suo capolavoro, Il ponte sulla Drina, ma nulla potevano contro i turchi e gli slavi che avevano tradito e addirittura abbracciato Maometto e la Sharia, se non ricordare e trasmettere ai figli, ai nipoti la memoria di quei traditori e di quei Turchi. Contro i loro eserciti si erano battuti in battaglie feroci e memorabili, le loro città e i loro villaggi avevano subito la sistematica uccisione dei civili. Quelle battaglie perse salvarono l’Europa e alla fine gli impalatori furono fermati sotto le mura di Vienna, ma intanto i serbi, avevano, i serbi kosovari soprattutto, trovarono altri torturatori nei fascisti, nei nazisti e poi in Tito e nei comunisti, decisi anche loro a imporre con le buone e con le cattive a imporre una memoria comune, a reprimere la rabbia serba kosovara, a far finta di non vedere, i tormenti a cui quei serbi venivano sottoposti, Tormenti che comprendevano di tutto perfino il furto di bestiame, l'uccisione di bestiame, falsificazioni di catasto. agguati, pestaggi, punizioni punitive continue sui serbi, violenze e stupri sulle loro donne, fino alla violazione posteriore con bottiglie. Il tutto perfino utilizzando anche picchiatori albanesi.  

Anche con Tito, col delinquente e assassino Tito, i serbi kosovari poterono solo conservare la loro memoria contro i convertiti diventati impalatori e assassini e attendere il giorno della sole nero. Un giorno che giunse con la morte di Tito e il disfacimento del suo regime criminale, per esplodere a Srebrenica, nel giorno in cui quelle memorie presero vita con il massacro di più di ottomila civili maomettani, sotto l’occhio chiuso delle truppe dell’ONU, che, sul posto per evitare quelle stragi, perché Srebrenica stava cadendo in mano ai Serbi, che certo non si sarebbero fermati, si voltarono dall’altra parte.

L’ordine di intervenire non arrivò. Perché non arrivò? Perché all’Onu si pensò che uno sfogo al secolare odio serbo, al secolare desiderio di vendetta bisognava concederlo? Che se si evitava Srebrenica sicuramente sarebbero accadute altre stragi, che un massacro in più o in meno non cambiava nulla? Che un massacro giustificava un intervento di civiltà, come in effetti avvenne con i sinistri Clinton e Dalema che si diedero da fare a bombardare i Serbi che non volevano cedere i loro santuari, ossia la loro memoria ai maomettani del Kosovo.

Memoria condivisa? Non esiste per i pochi fra i tanti citati e già si affacciano le nubi di un altro malaffare della sinistra, su cui la stessa sinistra sarà poi obbligata a chiedere una memoria condivisa. Parlo del colpo di stato iniziato da un magistrato che già si vedeva presidente della repubblica, che subì come un affronto la vittoria di Berlusconi e che, in barba ad ogni legge di probabilità fece arrivare a Berlusconi il ridicolo avviso di reato sintetizzato nella frase “Non poteva non sapere” a un congresso mondiale sulla criminalità, avvisando così con chiarezza e senza equivoci che l’Italia sana e civile era dalla parte delle elite contro Berlusconi e che il suo era l’inizio di una guerra giudiziaria, che puntualmente avvenne in barba alla civiltà democratica e alla costituzione della resistenza. Guerra che si trascina ancor oggi dove l’incivile Berlusconi è stato sostituito dal barbaro Salvini.

 


martedì 31 marzo 2020

Nuovo editore


Che dire della casa editrice CasaSIRIO editore  nata  coraggiosamente nel panorama politico italiano, in un momento così decadente per i libri, in cui le librerie chiudono e gli editori campano con libracci di canzonettari, attrici, attricette, gruberiadi,? Che dire se non applaudire e incoraggiare i tre fondatori?

Il fondatore di Repubblica a un intervistatore che gli chiedeva cosa consigliasse alla direzione di un nuovo giornale, rispose che valutava come ottima la possibilità di esplorare il campo della destra così come Repubblica e l'Espresso avevano fatto con la sinistra. In realtà i due giornali non esplorarono ma assimilarono e coprirono i relitti in disfacimento del partito comunista, avviandoli non alla democrazia ma alla repubblica di Platone, alle Elite potenti, alla conquista dei centri cittadini, ma a parte ciò, molti di noi ritengono che il consiglio di esplorare il pensiero di destra nelle sue varie articolazioni, ricche di pensiero, sia una via da percorrere.
A noi di interclassisti o destra che abbiamo difficoltà a farci pubblicare, che da cinquant'anni subiamo l'odioso giogo culturale della sinistra, un nuovo editore fa sempre sperare in una casa editrice culturalmente non allineata. Questa come sarà? Accettiamola comunque e battiamo le mani.
Arriveranno comunque per noi tempi migliori vista la situazione attuale che si trascina da anni e ha portato la cultura italiana all'incultura. L'italia non fa figli e non fa neppure musica e romanzi. Un tempo gli dei della musica erano i grandi compositori come Verdi e Puccini, oggi sono le bacchette magiche, i grandi directstrar in coppia con i grandi registar, tutta gente prolifica come i muli. Non è più uscito un grande romanzo dai tempi del Gattopardo e anche quello è uscito per miracolo, visto che era stato scartato da gli editori a cui era stato sottoposto, I grandi film sono finiti da chissà quanto tempo, e con loro anche i grandi attori,. i testi teatrali, ecc.
Io che leggevo di giorno, di notte, in ferie, da vent'anni non entro più in una libreria e il motivo l'ho esposto in un saggio che naturalmente nessun editore ha preso in considerazione. La stessa fine hanno fatto dei miei dieci romanzi anche se solo due li ho proposti. La stesso per i miei quattro saggi di filosofia, ma gioisco comunque quando tre amanti della lettura aprono un nuovo editore. Auguri..


lunedì 30 marzo 2020

La sinistra inventò l'insulto. Non dimentichiamo



L’enorme ricchezza accumulata da Berlusconi con Mediaset si deve in parte alla ridicola concorrenza che gli faceva la RAI a cui non bastò la società civile e il soccorso della magistratura per correre velocemente verso il fallimento.
Non fu il conflitto d’interessi ciò che mobilitò il popolo della civiltà, fu la spaventosa idea che fosse giunta l’età dei Lumpen, del dominio dei lumpen.
La reazione degli intellettuali della sinistra, degli impegnati della autonominatasi società civile, nata in alleanza della magistratura, ma subito mutatasi in opposizione alla lega, definita barbara e incivile, insultata come barbara e incivile, additata come barbara, rozza, incivile. E dire che gran parte di quella società aveva sostenuto la macelleria comunista.
Ci fu una reazione rabbiosa. Vinceva Berlusconi! Incredibile! Il padrone delle tivù private! Di quelle incredibili tivù private. Della pubblicità, dei pannolini, dei sorrisi a quaranta denti, della superficialità, dell’evasione dal pubblico, dalla moralità, dall’impegno civile, vinceva l’ignoranza e la superficialità. Irrisione e condanna per chi lo ha votato, descrizioni feroci di chi lo ha votato, proclamazioni dell’ignoranza di chi lo ha votato, dei suggestionabili dalla tivù commerciale del divertimento, dell’evasione.
Il fronte intellettuale affida il proprio pensiero al giornale diretto da Furio Colombo e Antonio Padellare, che appare come un interminabile tuffarsi nell'apocalisse. Ecco Dario Fo, di cui viene integralmente riprodotta la requisitoria antiberlusconiana apparsa su Le Monde, che denuncia un clima mefitico in cui in Italia si tornerebbe nientemeno che a parlare di «difesa della razza». Oppure Antonio Tabucchi, che bacchetta il Presidente della Repubblica, reo di non essersi immolato nella trincea posta a difesa dell'Italia dall'assalto dei nuovi barbari. O la scrittrice Francesca Sanvitale, che sferza gli italiani affinché ritrovino intatte le parole di un'immedicabile «indignazione». Si applaude ripetutamente il membro diessino del Csm, Di Cagno, che ha pubblicamente paragonato i magistrati antigovernativi agli ebrei vessati e decimati dal regime hitleriano, scomodando persino la celeberrima formula di Primo Levi: «Se non ora quando». Persino un poeta solitamente schivo e parco di dichiarazioni politiche come Mario Luzi si arruola nella crociata contro il «nuovo regime», con uno spirito che non ammette tentennamenti o obiezioni, la cui semplice espressione viene senz'altro riprovata alla stregua di un «tradimento».
Si allarga il discorso agli amici e ai suoi simili, volgari come lui

La piazzata è così sconclusionata, canina, in rivolta pure verso i politici di sinistra troppo arrendevoli mentre dovrebbero imbracciare il fucile, o, perlomeno, trasformare le piazze, le vie, i palazzi in una permanente sfilata di slogan e insulti, che pure le travi del partito di sinistra è perlomeno perplesso.
Il guaio è che il «fronte» degli intellettuali di sinistra è tutto contro di loro. Massimo D'Alema e Piero Passino, rispettivamente presidente e segretario dei Democratici di sinistra, esortano a cambiare linea. Sondaggi alla mano, scoprono che il muro contro muro, l'opposizione tutta urla e strepiti, la retorica dell'«allarme democratico» con connesso diuturno e irrituale appello al Quirinale, anziché indebolirlo e sfiancarlo, rafforzano il nemico Berlusconi. Perciò invitano la sinistra a rettificare linguaggio e comportamenti, propongono di iniziare davvero, smaltito il trauma frastornante della sconfitta, la lunga, impervia traversata nel deserto. Fassino chiede al partito di liberarsi dell'illusione della spallata, di smetterla di baloccarsi con l'invocazione delle virtù salvifiche della piazza, D'Alema convoca la sua Fondazione Italiani europei per azzerare mesi e mesi di opposizione rovinosamente autolesionista. Ma ambedue devono affrontare il fronte recalcitrante degli intellettuali che hanno imboccato la strada opposta. Forse è dai tempi della svolta di Achille Ochetto alla Bolognina che non si percepisce un distacco così radicale tra il partito e gli intellettuali. Nel 1989 Fabio Mussi liquidava le accorate rimostranze di Natalia Ginzburg contro l'abbandono dell'identità comunista come la manifestazione di un'invincibile nostalgia per il Pci «bambolotto di pezza» coltivata da una cultura incapace di distogliere lo sguardo impietrito sul passato. Oggi gli intellettuali sembrano ipnotizzati dalla mitologia dell'ultima spiaggia: la condizione psico-culturale peggiore per affrontare svolte.
Le voci della sinistra intellettuale difformi o stonate nel coro che chiama alla mobilitazione generale appaiono infatti flebili, sporadiche, isolate. Del senatore dei Ds Franco Debenedetti viene invocata addirittura la testa, sotto forma di espulsione dai luoghi deputati della sinistra (Massimo Roccella sull'Unità). E tale è la reattività degli animi esacerbati che proprio sul capo di Debenedetti, Gianni Vattimo ha lasciato che aleggiasse lo spettro del «tradimento». Come nei tempi corruschi del giacobinismo rivoluzionario, sono i «tiepidi» sospettati, per il loro scarso ardore attivistico, di albergare sentimenti disfattisti abilmente dissimulati, ad essere indicati alla pubblica esecrazione. Altri intellettuali poco propensi alla demonizzazione dell'avversario, come Michele Salvati o Augusto Barbera, non sembrano raccogliere ascolto nei ranghi serrati dell"«intellettualità» di sinistra. Una rivista come Le ragioni del socialismo di Emanuele Macaluso agita là bandiera del riformismo, ma con una dichiarata propensione al minoritarismo dentro una cultura di sinistra tutt'altro che desiderosa di abbandonare un atteggiamento di irriducibile oltranzismo: quello che corrosivamente Francois Furet definiva «L'oligarchia dell'attivismo». Nel seminario della Fondazione Italianieuropei in cui più è emersa l'esigenza di superare atteggiamenti rissosi e verbosità inconcludenti, gli intellettuali del cinema e del teatro, della letteratura e dell'arte hanno brillato per la loro assenza. Persino un intellettuale noto per la sua prolungata e autorevole appartenenza riformista come Massimo L. Salvadori ha di recente indicato con toni accorati e ultimativi l'insorgere di una terribile «emergenza democratica», con l'ovvia conseguenza di cancellarla radicalmente
Ogni aggiustamento di linea politica nella direzione opposta a quella della guerra civile ideologica che punta alla delegittimazione reciproca e all'annientamento di ogni valore condiviso tra due schieramenti avversari ma non nemici alla morte.
Le uniche voci della sinistra intellettuale che si sono alzate per commentare l'idea del Capo dello Stato di un Museo dedicato all'identità italiana sono apparse su Liberazione e con toni veementemente polemici nei confronti di un'iniziativa inevitabilmente destinata a ridurre il fossato incolmabile che secondo i detrattori della proposta divide (e deve continuare, indefinitamente, a dividere) in due metàincomunicanti gli schieramenti politici che si contendono la leadership del Paese.
La teoria dello scontro frontale con lo schieramento attualmente al governo suggerisce a cospicui settori della cultura di sinistra, sovente tra gli applausi di ammirazione, il lessico della guerra totale e senza mediazioni. Viene accolto con sollievo il linguaggio dell'economista Paolo Sylos Labini che descrive il presidente del Consiglio come il capo di un clan criminale, che andrebbe condotto alla sua natura puramente delinquenziale. Malgrado le resistenze di Fassino, di D'Alema e anche di Luciano Violante, suscita adesioni l'idea di Paolo Flores d'Arcais e di MicroMega di celebrare solennemente il decimo anniversario di Mani pulite e se D'Alema eccepisce che una sinistra non forcaiola può festeggiare la presa liberatoria della Bastiglia, ma non i colpi secchi della ghigliottina che fanno rotolare le teste dei nemici del popolo, Flores d'Arcais replica sulla Stampa che anche i «liberatori» della Bastiglia, se proprio occorre inerpicarsi sulla strada delle comparazioni storiche, portavano infilzate sulle loro picche le teste dei nemici. Ma è nell'uso corrente della comparazione tra berlusconismo e fascismo che si misura la distanza incolmabile tra la nuova linea proposta da D'Alema e Fassino e la parte più ciarliera e combattiva dell'intellighenzia di sinistra.
L'idea della «vigilanza» democratica, dell'emergenza, della barriera «antifascista», del pericolo attualissimo di un tuffo nel passato, l'evocazione ricorrente (e fortemente contestata, isolatamente, da Debenedetti) di Hitler come precedente storico di un dittatore dapprima democraticamente eletto e poi trascinatore del proprio popolo negli abissi del totalitarismo, fanno da nutrimento culturale e psicologico di un prossimo «Giorno della memoria» del 27 gennaio all'insegna dell'attualizzazione del pericolo fascista e persino nazista. Un giurista sofisticato come Franco Corderò si abbandona a tortuosi ed eccentrici itinerari comparativi per evocare nientemeno che il fantasma di Goebbels. Lo storico Paul Ginsborg mette in guardia, sulla scorta di un Tocqueville, repentinamente riscoperto, dai rischi estremi della «tirannide della maggioranza». Tra i cineasti di sinistra crea allarme e indignazione persino la nomina alla Scuola nazionale del cinema di un sociologo tutt'altro che fedele all'ortodossia berlusconiana come Francesco Alberoni. Come se il grido di battaglia di conio borrelliano, «resistere, resistere, resistere», fosse diventato il motto di un intero schieramento culturale, si auspica la spallata giudiziaria per rovesciare il tavolo e azzerare per incanto l'«anomalia» berlusconiana. Tutto il contrario del lento lavoro di ricostruzione che, nella prospettiva di Fassino e di D'Alema, dovrebbe riportare la sinistra a ricucire quei rapporti strappati con la società e di cui si è sinora giovato lo schieramento opposto.
Il rapporto con gli intellettuali costituirà nel prosieguo una spina nel fianco della leadership politica della sinistra diessina. Come dopo la Bolognina, appunto, quando molti intellettuali parteciparono con furore al «fronte del No» alla svolta che avrebbe messo fine al Pci. Oggi come allora, all'indomani di una sconfitta storica che inasprisce gli animi e rende sempre più arduo l'avvio della lunga e solitaria “traversata nel deserto”.

Pierluigi Battista scrive sulla stampa del 23/1/02 un articolo dal titolo A sinistra nasce il partito dell’Apocalisse.
Come ha ben riferito Battista in un parolaio del 2003, SYLOS LABINI NEGA CHE CI SIA QUALCUNO IMPEGNATO con odio A DEMONIZZARE berlusconi
meno che il famoso critico cucurbitaceo Armando Gnisci otto chili di sinapsi che le usa tutti quei kili che ha sofferto per la sua discesa in campo come un’offesa estremamente umiliante, in quanto letterato nativo europeo di lingua italiana. … lei incarna psicofisicamente il peggioè un capo opprimente e contraffatto…di un ridicolo estremo… goffo … vuoto …falso… lei è una maschera trucida ….bisogna parlare al cuore di lei per tentare di fracassarlo …il suo è un fascino mostruoso   lei è l’orrore incarnato …oscilla sulla frontiera del disumano del ventesimo secolo … lei va abrogato.
Più moderato Angelo D’orsi ricorda che è vero che comanda chi ha più voti ma non è detto che chi ha più suffragi sia quello che ha ragione. Anche con lui siamo in piena repubblica di Platone. 
La reazione alla discesa e alla prima vittoria è isterica. Ha vinto la cultura dei pannoloni, della tivù di plastica, della pubblicità, del populismo, della volgarità. Ricordo l’espressione “L’ingresso della volgarità nelle istituzioni”. Dura contro lui, contro il suo partito il che è normale. Normale è anche la caratterizzazione brutale, infamate del nemico politico, ma non la sistematica offesa dei suoi elettori che non sarebbero coscienti di cosa fanno, che sarebbero, deficienti stupidi, barbari ecc. Poi la solita storia imbonitore/imboniti, illusionista/illusi che tanto ricorda gli altri accoppiamenti del passato del tipo sobillatori/sobillati o demonio seduttore/ peccatori. Non solo contro Berlusconi ma contro tutti gli amici e coloro che non si scagliavano contro. 
Paradigmatico è il caso della “Milano da bere”. Paradigmatico perché queste tre parole che, in qualche modo, sintetizzano un importante cambiamento culturale, erano diventate per gli allora moralisti berlingueriani sintesi di un disprezzo morale anticraxiano e antiberlusconiamo. Da una parte loro, i limpidi, i puri comunisti e dall’altra la nuova avanzante immorale cultura ed economia fracassona, volgare, indecente.
E’ evidente che la nuova cultura e il nuovo lavoro connessi alla moda, alle sfilate, ai laboratori, ai negozi di moda portavano con sé un fervore che comprendeva, con le sfilate, anche le indossatrici, le aspirante indossatrici, le divette, le esibizioni, i fotografi, le notti nei locali con movida notturna. Ma questo non era il contorno di una nuova economia capace di creare grande ricchezza, lavoro qualificato, prodotti ad alti valore aggiunto, turismo di lavoro, bellezza, arte, ecc.; capace di elevare e portare il nome italiano in tutto il mondo. Un contorno, creatore, esso stesso di turismo e di ricchezza; quello stesso contorno che immortalato da Fellini col nome DOLCE VITA caratterizzava la fiorente produzione cinematografica italiana del dopoguerra, tanto amata dai confusi puri come se fosse tutt’altra cosa rispetto a quella della “Milano da bere”

Abbiamo citato Cafonal. Cafonal è uno dei tanti aggettivi inventati dalla cultura antiberlusconiana per caratterizzare la volgarità berlusconiana. Non si può certo parlare di “cultura Berlusconiana” perché la cultura berlusconiana non esiste come cultura per i suoi coltissimi nemici.” Compaiono i termini non-cultura, anticultura, sottocultura e veniamo ributtati all'indietro di decenni quando alle elementari maestri e maestre per sgridarti quando, secondo loro,  non avevi studiato ti redarguivano con frasi del tipo “Mica vuoi crescere come un negro dell’Africa.”, “Di questo passo farai al massimo lo Zulu”.
Fummo poi indottrinati da una nuova idea che esecrava quella appresa dalle maestre secondo cui l’idea di una cultura (la nostra, quella della civiltà occidentale) contrapposta a una incultura (quella delle tribù, della barbarie, della negritudine, ecc.) era profondamente ingiusta, errata, connotata di razzismo e di imperialismo. Si affermava così la dignità di tutte le culture.
Ebbene - potenza di Berlusconi – tutto è cultura: i vini, bere vino, il cibo, la cucina, la coltivazione dell’orto, le canzonette, i romanzi, gialli, rosa, ecc. Tutto, dicevamo, è cultura tranne quella del berlusconismo. Siamo tornati ai tristi tempi degli Zulu sostituendo a Zulu i baluba “berlusconidi”.

Per le elite e le aggregazioni elite sinistra radical chic esiste una solo cultura, la loro. La cultura è quella che loro considerano cultura, fosse anche la conoscenza della loro cacca. I confini li fissano loro, questo sì questo no. Sono cultura i teatri, le mostre, le conferenze, i convegni, i bachi da seta, l’inseminazione artificiale dei coleotteri, la preparazione dei bignè della Pomerania. Tutto è cultura, tutta quella approvata da questi cavalieri della cultura, tutto ciò che passa nelle loro cervici, nei loro intestini, nei loro stomaci, nelle loro pance, tutto tranne ciò che ieri riguardava Berlusconi e oggi i nuovi infami populismi, i nuovi mostri, i nuovi, barbare, i nuovi Attila, che invece la cultura, la democrazia, la civiltà la distruggono. La fine del mondo civile, l’apocalisse!
Inchiniamoci noi, stupidi ignoranti, inchiniamoci ai libri letti dalla mammellata ministra dei beni culturali, con villa in Kenia, frequentatrice delle feste, in quello stesso Kenia, dell’orrido cafonal Briatore e pronta a smentire, bugiardamente, quella sua presenza fino a che una fotografia ridicolizzava la sua menzogna, inchiniamoci alla già ministra della cultura lei, che si diceva avesse in vita sua letto ben cinque libri e stesse coraggiosamente leggendo il sesto e che ora inquina la seggiola di amministratrice niente di meno che del Maxi; una sedia donde diceva lei avrebbe disseminato la sua cultura del tutto gratuitamente ma alla quale fu lestamente riconosciuto l’abbondante appannaggio da aggiungere al suo lussuoso assegno pensionistico come ex parlamentare e lettrice di libri.
Meraviglioso pacchetto confezionato subdolamente dai suoi compagni di partito e dalle elite culturali associate di cui non si vergognano neppure.
L’avesse fatta Berlusconi una cosa simile, l’avessero fatta i Berlusconidi una cosa simili, giornalisti, giudici, società civile, popolo dei fax, girotondisti, sarebbero insorti facendo un baccano del diavolo, un baccano da barbari, da squilibrati, come i tanti messi in moto da questa ammorbante elite che si muoveva per molto meno. Bastò un muro caduto a Pompei per una sceneggiata isterica contro il ministro berlusconiano fino a farlo dimettere ma quello era un muro speciale. I muri continuarono a cadere a Pompei ma nessuno si mosse contro i ministri non berlusconidi.
E dopo questo indegno scoppio d’ira populista ecco che veniamo colti dal pentimento. Ecco che abbiamo dimenticato che tutto ciò che fanno la sinistra e i loro compagni di merenda è bene, bene per loro e bene per noi tutti e quindi facciamo ammenda e ripetiamolo che loro sono ecc. ecc.