PRIMA, DOPO E DURANTE - UNA DISORDINATA PASSEGGIATA FRA LE NOTE - ROSSINI - GUGLIELMO TELL - PARTE QUARTA DI CINQUE
Il romanticismo del Tell
Il Guglielmo Tell è un fiume di musica. Un
vasto e sovrabbondante capolavoro. Il
ritmo e l’organizzazione, il rinnovamento, la nuova aria protoromantica e
naturalistica, l’organizzazione melodica stupirono anche i nemici come Berlioz
ma non si deve pensare a un Rossini romantico come lo stesso Berlioz, come
Verdi, come Weber o come Wagner. Rossini mai avrebbe potuto, lui spirito
settecentesco e razionalista, incantarsi di fronte ai miti barbarici e alle
attese messianiche dei romantici. Mai smarrirsi negli loro amori vertiginosi,
nei miti delle divinità dei boschi, nello spirito infinito. Il Tell è un’opera
tersa, chiara, solare; ha momenti indimenticabili di commozione, di ansia, di
dolore, di speranza; canta l’amore, la sofferenza, le speranze, la natura, la
patria ma mai avrebbe potuto cantare ciò in cui non credeva e non sentiva, mai
musicare lo smarrimento dell’anima di fronte alla natura divinizzata,
all’amore vertiginoso, ai miti arcani.
Nulla nel Tell è più lontano dall’amore
romantico, così come lo intesero i poeti romantici. Nulla è più lontano da quel
sentimento vertiginoso, trascinante, ineluttabile, tiranno con cui il
romanticismo celebra l’amore fra uomo e donna, tra l'uomo e la sua nazione, tra
l'uomo e la natura. L’amore fra uomo e donna nei romantici è una
manifestazione dell’amore universale che abbraccia tutte le cose, che percorre
le epoche, che si spinge nel favoloso medioevo dei cavalieri e dei loro
disperati amori, che abbraccia la natura secondo i sentimenti di un
panteismo che unisce gli esseri alla natura e il divino, unendoli tutti in
un'unica anima. Bruno è il filosofo più amato, quel Bruno che vede nel mondo
l’infinità del Dio, nella natura la forza di Dio, nelle creature la presenza di
Dio. Un vertiginoso sentimento in cui l’amore diventa il rovente punto
d’incontro tra finito e infinito. Nulla di tutto ciò è presente nel Tell. Per
molti versi è un’opera romantica perché in essa si celebra l’amore dei
sentimenti, l’amore per la natura, la ribellione alla tirannia, la libertà, la
guerra per la libertà, ma la natura, l’amore, la ribellione e il dio del Tell
non sono quelli romantici.
Wagner scoprirà che il cuore degli dei è perverso come quello degli uomini, immenso come quello degli uomini. Scoprirà che le passioni degli uni sono quelle degli altri e compenetrano l’universo, il cielo e la terra. Il suo panteismo abbraccia zone prima inesplorate e vietate. Wagner vive nell’infinità dell’universo e nel suo pathos.
Il flusso del canto e dell’orchestra è un
unico poema sinfonico che unisce il cielo e la terra, il fuoco fisico e quello
spirituale, le passioni, la lava, i fulmini e non può mai interrompersi perché
è il respiro stesso del’universo. Il panteismo romantico di Wagner è totale nel
nuovo Olimpo germanico come nel cuore degli dei e degli uomini.
L’impasto degli strumenti, l’eliminazione del divisionismo è tutt’uno con il continuo flusso orchestrale senza interruzioni né soste e con il divieto dei concertati da lui percepiti come una brutta confusione di voci e di sentimenti contrastanti, che rompe la voce panteistica di un universo unico e totale. Anche i leimotiv sono suoi figli, anche l’occupazione di tutte le possibilità vocali e strumentali al di fuori delle leggi di un’armonia che tracciano confini artificiali verso zone che non possono più essere vietate né agli dei né agli umani.
L’impasto degli strumenti, l’eliminazione del divisionismo è tutt’uno con il continuo flusso orchestrale senza interruzioni né soste e con il divieto dei concertati da lui percepiti come una brutta confusione di voci e di sentimenti contrastanti, che rompe la voce panteistica di un universo unico e totale. Anche i leimotiv sono suoi figli, anche l’occupazione di tutte le possibilità vocali e strumentali al di fuori delle leggi di un’armonia che tracciano confini artificiali verso zone che non possono più essere vietate né agli dei né agli umani.
Se Wagner si espande e si spinge in alto,
Verdi scopre il suo universo infinito all’interno dei singoli uomini. In lui il
flusso risuona all’interno di ciascuno di noi e esce come canto di ognuno che
si scontro coi canti degli altri. Il concertato passionale è il suo regno. Il
panteismo è un sentire a lui totalmente alieno.
Lontano da loro il severo Guglielmo canta la patria, la famiglia e l'amore: il "suo amore"! Quello sereno e profondo che non si smarrisce mai nei dubbi e mai si nutre di dilemmi metafisici. Un amore coniugale, semplice forte e felice che mai parteciperà ai sacri misteri della divinità. La sua natura non è panteismo, il suo amore per la natura non è mistica unione con l’universo e con Dio! Il suo amore per la patria non è mistica unione di individui fino alla fusione. I suoi dubbi non sono vertigini di fronte a un universo in cui l’infinito e il finito si compenetrano.
Nonostante ciò,
nessuno, come Rossini nel Tell, seppe esprimere in musica l’amore coniugale
l’amore famigliare, le dolcezze e gli affetti dei due coniugi, del figlio, i
timori di fronte al pericolo. Sono sentimenti ben presenti in tutto
l’opera ma rifulgono nell’invocazione “Resta immobile” che tanto
commuoveva Wagner e nella stupenda preghiera della moglie per la salvezza di
Guglielmo "tu che l'appoggio dei debol sei..." che non ho trovato su
You Tube.
L’amore
coniugale semplice e profondo del Tell è totalmente diverso dai canti d’amore
metafisici, cosmici, erotici, statici, estasiati di Wagner e da quelli
travolgenti, passionali, densi di sentimento di Verdi.
Wagner
aveva bisogno di un amore totale, capace di escludere il mondo e pensò che un
simile amore non poteva che essere frutto di un filtro magico. L’amore fra
Tristano e Isotta è magico e cosmico, ma non per questo meno umano. Il loro
incontro nel giardino è denso erotico, sensuale, quasi delirante. Il procedere
lento, estenuante, ricorda nei ritmi le lunghe, lunghe melodie di quel Bellini
che Wagner preferiva a tutti gli altri compositori italiani. Ma è anche
qualcosa di più: i lunghi estatici lamenti sembrano simboleggiare le carezze.
Carezze prolungate, infinite, quasi gli amanti volessero portare all’infinito
l’emozione. Il concitato crescendo finale che, con l’unisono fortissimo
dell’orchestra, pare la vertiginosa ascesa verso l’estasi. La
musica di Wagner è di una straordinaria densità di significati in cui
convergono la sensibilità della carne sublimata e l’infinità dei sentimenti.
Nulla di
tutto ciò nel Tell ma non per questo è meno grande. Il semplice, forte,
profondo amore coniugale del Tell non è musicalmente meno grande del
metafisico, magico, infinito amore fra Tristano e Isotta.
La Patria nel Tell
La Patria nel Tell
La patria nel Tell non è la patria dei romantici come l’amore
nel Tell non è l’amore dei romantici. Non lo è anche fin dall’inizio, anche se
dal primo canto di Guglielmo risuonano parole e accenti musicali di commozione
verso una “patria” romantica. In generale, però, sia in Guglielmo che negli
altri protagonisti non è la patria romantica a accendere i cuori ma lo sdegno e
la rivolta verso il tiranno, verso l’ingiustizia del tiranno, verso la
prepotenza del tiranno. In Guglielmo i due accenti coesistono in quella
affascinante ambiguità che caratterizza tutta l’opera. E questo non è affatto un
difetto. Lo è solo se il giudizio estetico emerge non come giudizio musicale ma
come applicazione di un dettato, quello romantico, a cui Rossini non poteva
aderire perché era Rossini. Paradossalmente se Rossini non fosse sopravvissuto al suo
Guglielmo, questa sua ultima opera avrebbe assunto uno splendido valore
anticipatorio e la critica avrebbe cercato, scoperto, esaltato le grandi
innovazioni musicali, presagi di chissà quali futuri capolavori.
Sopravvivendo in silenzio, quello stesso silenzio favorì un giudizio di
inadeguatezza che getta su tutta la sua produzione un’aura di legnosa,
reazionaria, impotenza.Valutare, giudicare un’opera alla luce della sua modernità e
della sua adeguatezza ai tempi appare più che altro un esercizio letterario che
lungi dall'illuminare un’opera, ne occulta la natura e la verità fino al
pettegolezzo; Il Guglielmo
Tell è un’opera di Rossini e
Rossini non fu né Verdi né Wagner. Fu semplicemente chi era, ossia Rossini.
Anche se nel Tell il canto
s’incarna totalmente solo in Guglielmo,
Guglielmo è ovunque. Non sempre è presente ma come si fa a parlare di musica disincarnata in quel quarto atto che, partendo “O muto asil del pianto”, prosegue col canto di guerra e con la sublime preghiera di Edvige “Tu che dei deboli…” e infine col concertato finale?
Guglielmo è ovunque. Non sempre è presente ma come si fa a parlare di musica disincarnata in quel quarto atto che, partendo “O muto asil del pianto”, prosegue col canto di guerra e con la sublime preghiera di Edvige “Tu che dei deboli…” e infine col concertato finale?
La musica, grande
musica comunque, non s’incarna nel duetto fra
Arnoldo e Matilde ma lo fa nella preghiera di Edwige, nel “Mio padre ohimè mi malediva” di Arnoldo, nel declamato affannoso, rotto dalla rabbia di Ghessler. In questi pezzi, come in tutto il Tell è Guglielmo a gettare luce e vita sugli altri personaggi,. Accade fin dalla sua entrata in scena: un canto che rivela subito, la sua solidità, la sua verità, la sua serena forte indipendenza. Tutto il resto è grande musica. Il Tell è un fiume di musica a cominciare dalla sinfonia d’apertura fino al finale, uno dei più belli di tutta la storia dell’opera
Arnoldo e Matilde ma lo fa nella preghiera di Edwige, nel “Mio padre ohimè mi malediva” di Arnoldo, nel declamato affannoso, rotto dalla rabbia di Ghessler. In questi pezzi, come in tutto il Tell è Guglielmo a gettare luce e vita sugli altri personaggi,. Accade fin dalla sua entrata in scena: un canto che rivela subito, la sua solidità, la sua verità, la sua serena forte indipendenza. Tutto il resto è grande musica. Il Tell è un fiume di musica a cominciare dalla sinfonia d’apertura fino al finale, uno dei più belli di tutta la storia dell’opera
L’opera si apre con un canto di
contadini, seguito da quello di un
pescatore. Nulla di eccezionale ma già viene impostata un’atmosfera che si conserverà per tutto l'opera. Sull’ultima nota del canto del pescatore s’alza poderoso il canto di Guglielmo, in tutta la sua maschia potenza, per dichiarare il suo sdegno e per “...il rio veleno che gli divora il cuor". S’alza il suo rabbioso lamento: “Perché vivere ancora or che non v’è più patria?” Poche note musicali e il forte, umanissimo personaggio è delineato in una densa fusione fra musica, sentimento e canto. Tutta l’atmosfera dell’opera è già impostata in questi accenti del popolo e del suo eroe mentre intervengono ancora Jemmy ed Edvige, mentre Guglielmo continua la sua potente invettiva che è lamento ma anche volontà ferrea di reagire “Ei canta, perché vivere ancora or che non v’è più patria? Ei canta e l’Helvezia piangerà.” E' appena l’inizio ma già si sente che questo non è il solito Rossini settecentesco e neppure quello spontiniano ma, in tutta la sua ambigua potenza, il nuovo Rossini.
Abbiamo appena il tempo di respirare che esplode il duetto fra
Guglielmo e Arnoldo. Uno splendido duetto che si protrae in un concertato chemai Rossini seppe esprimere
in maniera tanto drammatica. Nel cuore di Arnoldo si agita l’amore per la figlia
dell’usurpatore, del crudele feroce Gessler; Guglielmo, che intuisce il dramma, lo richiama al suo dovere verso la sua patria e alla guerra contro
l’oppressore, il duetto si snoda ora agitato, ora tormentato, tra l’amore per
Matilde “Matilde io t’amo…”, “…sol vendetta anela il cor”, "nel suo suo volto io
leggo appien …”, “qual dolor ha chiuso in sen”, “Morirò se io vuoi che io moia.”,
“Pria sia spento l’oppressor.” Il duetto si annoda, si articola, esplode,
ritorna sui suoi passi: Arrnoldo, l’amore, la rinuncia, l’oppressore, la virtù,
l’onore, l’amore. Sempre teso, chiaro, virile e tormentato: tanto
bello che vorresti che non finisse. Ci leggi la vita, la carne, il
cuore e il nuovo romanticismo: Rossini arriva sulla soglia ma non sbraca, non
l’oltrepassa, si tiene in bilico su un crinale, senza abbracciare mai quella
ideologia che pone l’infinito nel finito e l’universo dentro il cuore.
pescatore. Nulla di eccezionale ma già viene impostata un’atmosfera che si conserverà per tutto l'opera. Sull’ultima nota del canto del pescatore s’alza poderoso il canto di Guglielmo, in tutta la sua maschia potenza, per dichiarare il suo sdegno e per “...il rio veleno che gli divora il cuor". S’alza il suo rabbioso lamento: “Perché vivere ancora or che non v’è più patria?” Poche note musicali e il forte, umanissimo personaggio è delineato in una densa fusione fra musica, sentimento e canto. Tutta l’atmosfera dell’opera è già impostata in questi accenti del popolo e del suo eroe mentre intervengono ancora Jemmy ed Edvige, mentre Guglielmo continua la sua potente invettiva che è lamento ma anche volontà ferrea di reagire “Ei canta, perché vivere ancora or che non v’è più patria? Ei canta e l’Helvezia piangerà.” E' appena l’inizio ma già si sente che questo non è il solito Rossini settecentesco e neppure quello spontiniano ma, in tutta la sua ambigua potenza, il nuovo Rossini.
Abbiamo appena il tempo di respirare che esplode il duetto fra
Guglielmo e Arnoldo. Uno splendido duetto che si protrae in un concertato che
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