HEIDEGGER
Provo in questa sede a parlare di Heidegger anche se non
sono né un suo profondo conoscitore né un suo fan. Anzi mi aspetto che, se
qualcuno legge e commenta queste poche righe, lo faccia dicendomi “Non hai capito
nulla! Le cose non stanno come racconti tu” Non solo non mi offenderei ma
sareri lieto di imparare qualcosa.
L’ESSERE e la
VERITA ’in Hedegger
L’ESSERE preceda la VERITA ’, sostiene Heidegger, e determina le
condizioni di verità. Questo pensiero mi appare non solo ragionevole ma addirittura
ovvio. Ad esempio, in America un uomo può essere dichiarato colpevole nel
processo civile e innocente nel processo penale. Nei due casi l’Essere delle
istituzioni e delle leggi detta le modalità delle condizioni di verità e due
differenti verità. In uno la colpevolezza deve essere esente da ogni possibile
dubbio affinché la colpa sia vera, nell’altro processo, no. E così accade in
chiesa nei tribunali, nelle scuole, in casa, ecc. E’ l’ESSERE a costituire le
nostre condizioni di verità.
Ma Heidegger non vuole dire questo! Non sta sostenendo una
forma relativistica della verità ma una forma assoluta, ontologica, direi
metafisica. Per lui la “dimora dell’ESSERE” è nel linguaggio. Quindi è nel
linguaggio che va cercato l’Essere. Ma quale linguaggio? Non certo, sostiene
Heidegger, nel linguaggio della metafisica e della scienza.
Per Hedegger, dopo i presocratici, con l’adozione del
linguaggio della fisica e della metafisica, il pensiero ha smarrito la giusta via,
poiché le scienze occultano e violentano l’ESSERE.
Anche con questa affermazione non si può non essere d’accordo. I modelli e le
teorie perdono e conquistano. Un modello di un edificio, ad esempio un modello plastico,
non è l’edificio e da esso non si può risalire all’edificio. Lo stesso capita
con un suo modello strutturale; da una serie di equazioni, di solai e di travi,
con le loro armature, non si può risalire certo risalire all’edificio. Le
teorie ci danno informazioni sul mondo ma perdono il mondo e per farlo devono
esercitare violenza. Ma modelli e teorie non pretendono di offrirci il mondo in
una sorta di abbraccio d’amore. Li elaboriamo e li inventiamo per avere
informazioni e cerchiamo queste informazioni per rendere quello stesso mondo
più prevedibile, più conoscibile, meno pauroso.
L’INDIGENZA DEL LINGUAGGIO
Il linguaggio della scienza è indigente. Hedegger dichiara
di non poter scrivere con il linguaggio della metafisica la sua filosofia
dell’Essere, di non poter narrare dell’ESSERE, di non potersene prendere Cura.
Non mi stupisce e sono d’accordo. Il linguaggio è una preteoria ed è naturale
che nella misura in cui è teoria, come tutte le teorie e i modelli, occulti e
perda proprio per informare e conquistare.
La
distinzione tra teorie e preteorie è spesso ambigua come si può facilmente
constatare dalla matematica.
Con i
numeri, le funzioni e gli algoritmi esprimiamo le discipline scientifiche che
ci appaiono tanto più progredite quanto più riusciamo a matematizzarle, ma, a
sua volta, la matematica, oltre che essere un linguaggio, una casa per scienza
e tecnica, è anche un insieme di teorie con entità, teoremi, architetture
proprie. I suoi teoremi ci aiutano a
esprimere le altre teorie, dando loro una casa ma impongono con le loro regole
vincoli e limiti.
Anche
il linguaggio possiede questa duplice funzionalità. Da un lato ospita racconti,
teorie, filosofie, dall’altro è essa stessa una teoria, la cui grammatica e la
cui sintassi sono da sempre oggetto di studio. Logica, linguaggi artificiali,
traduzione automatica sono alcuni fra i problemi che coinvolgono lo studio
della lingua in quanto teoria. Lo stesso Chomsky intende la grammatica di una
lingua come teoria della struttura di quella lingua[1].
Il
linguaggio in quanto teoria vincola il nostro potere espressivo. Non è solo
Heidegger a lamentare l’indigenza del linguaggio della metafisica. Noi tutti siamo
come viaggiatori che vogliono perlustrare una regione ma possono viaggiare solo
su un treno, senza neppure poter vedere le rotaie.
IL
LINGUAGGIO DEI POETI
Il
linguaggio in quanto dimora dell’essere ci offre aperture di verità ma il
linguaggio di cui parla Heidegger è non il linguaggio della metafisica ma
quello della POESIA In esso troviamo le aperture di verità nelle parole dei
poeti e nelle etimologie delle parole stesse.
Che
dire di una simile affermazione? Completamente d’accordo sul fatto che il
linguaggio della scienza e della metafisica ha perso e continua a perdere. Lo
fa perché continuiamo a produrre teorie e modelli ma naturalmente, come sopra accennato,
lo facciamo per avere informazioni. E questo vuol dire conquista di
informazioni e perdita dell’unione mistica con l’integrità del mondo.
Vado
anche più avanti. Il nostro processo di conoscenza e uso del mondo è molto più
simile al processo di nutrizione e di digestione dei cibi che all’osservazione
disinteressata del mondo. Noi assimiliamo il mondo: usiamo il simile,
assimiliamo il dissimile ed espelliamo ciò che non riusciamo ad assimilare. Ma
da ciò ad arrivare all’approdo della parola dei poeti e dell’etimologia come
verità la strada è lunga! Perché poi i poeti? Ci sono tante cose, tanti
sentimenti che col linguaggio non riusciamo né mostrare né dire.
La
filosofia non riuscirà mai a far risuonare dentro di noi i sentimenti e le
emozioni che ci procurano le letture dei poeti, dei romanzieri e le grandi
opere musicali. Penso che nessuno di noi pensi di trovate in essa tutto ciò che
ci danno le musiche di Wagner, di Cherubini, dei cantanti rock. Per questo non leggiamo
solo i filosofi ma ascoltiamo la musica.
Forse
la mia è solo incomprensione dovuta a una divergenza di porsi di fronte alla
vita. Per Heidegger il “nulla” non deriva dalla negazione e l’essere non deriva
dall’esistenza ma viceversa. A questo proposito o si è con Heidegger o si è dal
lato opposto. Una divisione tanto profonda come quella fra Aristotelici e Platonici.
[1]
N. Chomsky Tre modelli per la descrizione
della lingua in Linguaggio e sistemi
formali a cura di A. De Palma 1974, Einaudi, Torino, p.203
Nessun commento:
Posta un commento