La cultura popolare - Capitolo 2 del Il Manifesto degli incivili
Gli anni sessanta, per noi che diventavamo adulti, furono
una manna anche per l’orgia di dispense culturali a basso prezzo nelle edicole.
Parlo delle dispense dei Capolavori nei
Secoli, de I maestri del Colore, editi
dai Fratelli Fabbri, di quelle geografiche de Il Milione da cui appresi giovanissimo l’esistenza di una storia
della musica. Io che, ignaro anche della terza rete RAI, non avevo mai sentito
altro che le nenie dei papaveri, delle papere, dei balli del mattone, delle
mamme amatissime, degli alberi infiniti in una stanza, e che pensavo che la
musica fosse tutta lì! Dal Milione appresi che esisteva per ogni paese una
storia della musica che si unificava, che erano esistiti Monteverdi,
Palestrina, Mozart, Paisiello, ecc. Più tardi, negli anni, uscirono nelle
edicole i fascicoli di Storia della musica.
Molti pezzi classici come le sinfonie di Beethoven, la sesta
di Ciaikovskij, la Sinfonia del nuovo mondo, ecc. o opere come Otello, ecc.
erano in vendita alla Standa per la modica e popolare cifra di mille lire a disco. Rizzoli
e pubblicava i capolavori nella Bur: tutti i capolavori più o meno grandi del
passato in edizione economicissima e povera. Accanto alla bur pubblicava anche collane
di libri eleganti, cuciti, rilegati. Analogamente Mondadori pubblicava, accanto
a collane di libri economici (bmm e Pavone), che abbracciavano romanzi moderni,
classici, pittura, architettura saggistica, filosofia, l’aristocratica e cara
Medusa di scrittori moderni e contemporanei.
L’offerta di cultura a costi popolari era ampia. L’Italia
posava mattoni per le abitazioni popolari e meno popolari ma anche mattoni
culturali per le tasche proletarie. L’unico problema era l’abbondanza e la
necessità per i giovani non finanziati dalla ricca e snob elite famigliare, era
l’impossibilità di comprare tutto e di dover fare scelte ogni settimana. Ma
furono comunque tempi culturalmente folli. I due grandi partiti effettivamente
popolari andavano a braccetto con l’abbondante offerta di cultura a prezzi
popolari.
Accanto ai grandi editori interclassisti in grado di
accontentare tutti i gusti e tutte le tasche, c’era l’Editore Einaudi, uomo ed editore
di sinistra, impegnato nel costruire una supremazia culturale con edizioni
ricche, belle e care non certo per le tasche proletarie. I suoi erano tutti
cuciti eleganti, veri arredi per librerie di gente snob, ignorante e non
ignorante. Era ovviamente l’editore osannato dalla società civile, dall’elite
nobile e radical chic, che disprezzava i grandi editori e ancor più li
disprezzò fino all’odio, allorché a rilevare una Mondadori in fallimento per le
perdite T.V., arrivò l’arcinemico Berlusconi, che poi salvò dal fallimento anche
Einaudi. Un salvataggio che non costituì un merito per la società civile ma un’altra offesa da lavare a
tutti i costi.
L’Einaudi rappresentava la negatività della democrazia
italiana, l’immagine della repubblica platonica dell’Espresso e dell’egemonia culturale
radical chic.
Non era difficile prevedere che questa aristocratica elite avrebbe ridotto
l’Italia e l’Europa al disastro, all’umiliazione delle classi medie, alla
rabbia sociale, alla povertà di tutti e alla ricchezza di pochi. Il pensiero
unico di sinistra trionfava, il nuovo elitarismo di sinistra trionfava,
alimentato da una moltitudine di giornalisti, attori, registi, che vivevano la
loro brillante vita a spese dei contribuenti. Ma perché io dovrei pagare il
biglietto d’ingresso a chi va all’opera o a teatro? Lo chiediamo in questo
Manifesto. Perché? Per consentire a pochi privilegiati di pasteggiare ad
aragoste e Champagne? Per consentire ad attori, cantanti, saltimbanchi di
riscuotere uno stipendio che non guadagnano? Per aggiungere ai parassiti sempre
nuovi parassiti?
La parola d’ordine deve essere abbattere le elite, cacciare i parassiti, chiudere
gran parte dei teatri lirici, chiudere tutti i teatri di prosa che non siano in
attivo, eliminare i contributi ai giornali ed agire con decisione: con grande
decisione. I giornali sono appestati da giornalisti ed opinionisti in lotta a
fianco dell’elite pagati da noi e in guerra contro di noi. I conduttori televisivi, vedi la Gruber e Fazio Fazio, non
sono da meno.
Sulla nullità di pensiero degli opinionisti si tornerà
ampiamente, sulla loro guerra aperta in difesa della società civile anche.
L’aggregato delle elite è forte. Trova alleati nel burocrazia, nei giornali,
nel potere giudiziario, evoca fascismi inesistenti, si rifiuta di capire le
sorgenti teoriche molto differenziate, molto articolate, molto ricche di quel
mondo che definiscono barbaro, populista, identitario, nazionalista, fascista.
Evocano la fine del mondo civile. Forse l’alleanza conservatrice dei muli
vincerà la battaglia come l’ha già vinta in Italia contro la cultura popolare
d’origine americana, l’odiata America, portata da Berlusconi. La magistratura
come già accaduta con Berlusconi, quando la parola d’ordine era “abbatterli con
qualsiasi mezzo” ascolterà le richieste d’aiuto della società elitaria a cui,
come persone, appartengono.
Forse vincerà ancora perché è forte, armata, unita e senza
scrupoli di fronte a un nemico ancor timido e troppo in difesa, ma si
sveglieranno questi novelli aristocratici, un mattino con l’Europa in fiamme e
non più arrendevole. Non più berlusconiana o salviniana ma animata dal fuoco di
salute pubblica di un nuovo Robespierre.
Forse sarebbe meglio, per evitare l’incendio, un altro Terrore, di un’altra rivoluzione francese, dedicare maggior attenzione a Salvini e al popolo di Salvini e pensare che l’egemonia delle elite si
combatte con partiti popolari interclassisti che cullino al suo interno una
sinistra popolare come popolari furono Donat Catin e la sinistra di Base.
Forse sarebbe bene, come fecero Clinton negli Stati uniti dopo Reagan e Blair in Gran
Bretagna dopo la Signora Thatcher, considerare il loro lascito
come prezioso.
Considerino i cittadini che sostengono le elite che con il
barbaro Salvini le morti in mare sono diminuite e che finiranno anche gli afflussi in Libia, la
morti nella stessa Libia e i lunghi, pericolosi esodi che portano gli emigranti in
Libia. Considerino il disordinato afflusso precedente, le morti in mare,
l’approdo di persone che in cuore portano la sharia e che alla lunga ci
condizionerebbe verso un avvenire islamico di sharia.
La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni,
ammesso e non concesso che siano buone intenzioni, cosa tutt'altro che
scontata.
Nessun commento:
Posta un commento