lunedì 24 febbraio 2020

Cacciamo il Barbarossa, puniamo i traditori. Date la cittadinanza al Perseguitato Salvini




Nella Grecia classica, in quelle città dove la civiltà ha avuto inizio, in tutto il suo splendore nell'arte, nella filosofia, nella tragedia, nella commedia, nel racconto della storia, quelle favolose città, gelose ciascuno della propria libertà e della propria indipendenza, erano spesso in guerra fra loro.   

Si combattevano fra loro ma quando sulla Grecia s'affacciò l'esercito persiano, furono veloci a riunire i loro eserciti, sconfiggere e rimandare il loro imperatore nel suo impero superbo e ignorante,
Anche le città italiane, quelle che seppero resuscitare i tempi d'oro della civiltà greca e creare la loro civiltà, splendente di opere d'arte, di studi filosofici e della nuova scienza di Galileo, orgogliose della loro conquistata libertà, sconfissero e rimandarono a casa l'ignorante Barbarossa, lui e il suo impero superbo, lui e il suo ignorante impero. Ho scritto, superbo e ignorante impero ma è come se avessi scritto la superba, vessatrice e ignorante UE.   

Così dovrebbero fare i paesi "populisti" alleandosi contro le elite per fermare il continuato colpo di stato da esse orchestrato, in associazione a delinquere, con le magistrature e il famigerato Pd. Una banda Bassotti che quei colpi di stato li mettono in atto da trent'anni.  
Dare la cittadinanza a Salvini sarebbe un primo passo importante, a testimoniare che siamo un fronte unico e pronto a reagire.
Chiediamola tutti. Associamoci nella richiesta.

Date la cittadinanza al Perseguitato Salvini 

domenica 23 febbraio 2020

PAESI "SOVRANISTI" INTERVENITE



Perchè i paesi come Polonia e Ungheria non intervengono? Perchè non danno la cittadinanza a Salvini? Perchè non dichiarano criminali i giudici che l'hanno incriminato e criminali, dal primo all'ultimo tutti i parlamentari che hanno votato per l'incriminazione? Perchè non portano con decisione questa vergogna nel parlamento europeo e non denunciano questa magistratura politicizzata, fanatica, criminale, inefficiente, stupida a tutta l'Europa? 

Secrezioni di cervelli malati




Quando il corona ha cominciato a diffondersi minaccioso dalla Cina, quanti come me hanno subito pensato che se esisteva un paese in cui sarebbe dilagato, sarebbe stato questa Italia dei No-vax e di quei sinistrorsi che puntualmente accusavano di fascismo e razzismo chiunque richiedeva qualche misura cautelare? 
Abbiamo, radicata nel cervello della sinistra una malattia sempre pronta a secernere e ululare "fascisti, razzisti" e questo sembra l'unico discorso che sanno fare; poi quando il patatrac avviene ecco che interviene il richiamo all'unità e alla memoria comune e condivisa, No non condividiamo niente Voi avete la vostra, noi abbiamo la Nostra.
E si tace ancora sul pericolo più subdolo. Stiamo importando il corona stiamo diffondendo il corone, stiamo diffondendo la tubercolosi,
Se dicevi che i migranti-invasori stanno diffondendo la scabbia eri fascista e razzista, se dicevi che stanno diffondendo le zecche eri fascista e razzista se dicevi che stanno diffondendo la Sharia eri fascista e razzista, se dicevi che stavano diffondendo la tisi era razzista e fascista.


Abbiamo un governo che manda un aereo militare a prelevare un individuo in Cina e non mette in quarantena chi dalla Cina arriva. Una banda di superficiali, incompetenti, improvvisatori




Evitiamo gli assembramento, gli stadi i teatri in tutta Italia.



Una preghiera ai cittadini italiani che hanno adottato e adottano la prudenza.

Anche se il governo dei pelapatate non ha proibito lo svolgimento delle partite in tutta italia, astenetevi, per prudenza, d'andare allo stadio, non andate a teatro, non andate al cinema. Rimanere a casa per un mese tranne che per il lavoro e le uscite indispensabili, per poi fare il punto della situazione non è, certo, un gran sacrificio, se con ciò diminuiamo i rischi di tutti. 
A casa potete guardare la tivù, rivivere le atmosfere famigliari, andare su internet, leggere, studiare, parlare con gli altri tramite i social e le e-mail.

Un appello a Di Maio e Crimi! Abbandonate Conte e il PD non è il momento della titubanza. Chiudete le frontiere e i porti. Oltre il corona virus la diffusione della Tisi può rivelarsi un pericolo ancora peggiore. Ho udito in T.V una dottoressa dei centri d'accoglienza denunciare che malati di tisi, infettivi, presi in cura, fuggono dai centri d'accoglienza e aumentano il pericolo del diffondersi di questa grave malattia dalla difficile guarigione che mantiene a lungo, anche dopo la scomparsa dei sintomi  la capacità d'infettare.
Agiamo con responsabilità, teniamoli nei centri, impediamo che diffondano la tisi in Itala e in Europa in un periodo in cui gli antibiotici sembrano gradualmente perdere efficacia. 

venerdì 21 febbraio 2020

I piedi in politica



Ricordo un litigio di un amico con una conoscente. Lui l'irrideva perché si dava arie da intellettuale. Un intellettuale che non aveva letto ne Guerra e pace ne il Rosso e il nero, nulla in pratica. Lei innervosita lo prese per la collottola e gli sibilò sulla faccia: "La cultura sta tutta nello sfilare al Primo maggio. Lì comincia e li finisce."
I pesci fanno quella politica, solo quella. Sfilano riempiono le piazze. La politica dei pesci e dei piedi.  Unica gloria? aver riempito più piazze di Salvini: più piedi e più pesci di Salvini. 
Ma dietro, la magistratura sorveglia, interviene e protegge loro e i loro alleati come fa ininterrottamente da quarant'anni. 

mercoledì 19 febbraio 2020

Boria di Società civile, di radical chic e di una sinistra sotutto io.



L'Elite sostiene che il populismo ha introdotto l’insulto ma sicuramente l’insulto culturale è tutto di matrice radical chic.
In una sua analisi del risultato Stephen L. Carter, prof di diritto a Yale dal titolo Cari democratici è l’arroganza che vi ha fatto perdere, impietosamente sostiene.
“Troppi tra i miei amici progressisti sembrano aver dimenticato come argomentare in modo puntuale e sono invece diventati esperti di condanna, derisione, scherno. Punto dopo punto sono molto bravi a spiegare il motivo per cui nessuno potrebbe mai avversare le loro posizioni politiche se non per i più vili motivi. E quelle stesse posizioni troppo spesso enunciate con zelante solennità, quasi suggerendo che i loro punti di vista sono la sacra scrittura - e chi dissente dev'essere confinato nelle tenebre, politicamente parlando. In breve, la sinistra è stata ultimamente ricolma di arroganza”
Il prof Carter registra ciò che tutti vedono e sopportano dal dopoguerra: un’arroganza senza limiti e senza vergogna di una parte della società, quella a sinistra, che si esprime in comportamenti, parole, discorsi offensivi, insultanti, irridenti verso chi non la pensa come loro. Aggiungiamo: una società che si autocelebra e si auto incensa come società civile, che si organizza in odiose elite, che da decenni cercano in ogni modo e con ogni mezzo, riuscendoci, di instaurare e rinforzare una vergognosa egemonia culturale, arrogandosi anche il diritto di decidere ciò che è cultura e ciò che non lo è, chi è colto e chi non lo è, chi è culturalmente spregevole e chi e moralmente saggio.
Sono così convinti, se lo dicono fra loro con tale intensità fra loro e da così lungo tempo, che hanno finito per credere di essere davvero, per nascita o per DNA, la parte moralmente sana, intelligente, sapiente, etica dei cittadini; un sapere infuso che li esonera dalla necessità di istruirsi e di pensare. Questa degenerazione estrema ha creato una generazione (di ignoranti) che non pensa e non interagisce con quell’altra parte della cittadinanza, che disprezza come ignorante e incivile e che, quindi, non riesce e non riuscirà mai a capire le articolazioni della società: non riescono neppure a vederla: vivono su Marte, un loro personalissimo Marte.
Dopo le mazzate della Brexit, dell’elezione di Trump, del successo di “populisti” in Ungheria, in Polonia e la crescita dei famigerati partiti populisti, razzisti, dopo la cocente umiliazione inflitta dalle celebrate, avanzate, progressiste democrazie nordiche come Svezia, Danimarca che hanno elevato i famigerati muri, qualche fuggevole pensiero di non essere portatori di bontà, civiltà e sapere infuso, ma di essere invece una riedizione dell’aristocrazia e del clero, sembra aver attraversato le loro cervici ma non è certo riuscita a instillare le capacità di pensare e d’istruirsi, che hanno perso da tempo immemorabile.
In un’intervista rilasciata a La Stampa del 10/11/16 il cittadino civile Letta, già presidente del consiglio e poi emigrato ad occupare un posto di denari e prestigio, una delle tante tessere del loro ben costruito e difeso puzzle di potere culturale, dopo il solito repertorio antipopulista, fa però una interessante ammissione “C’è un rapporto tra elite ed elettori su cui bisogna interrogarsi. Mi ha molto colpito il voto di Washington D. C. (dove ha sede l’amministrazione americana) la Clinton è arrivata al 93 %. C’è uno spaventoso distacco tra Palazzo del potere e gente comune.”
Si è interrogato nel frattempo cittadino Letta? o continua solo a dire che bisogna interrogarsi? Interrogatevi una buona volta e depositate la vostra arroganza; poi tirate l'acqua. E con l'acqua anche quell'acuto di intelligenza e cultura che sono le sardine.
Si faccia attenzione all’espressione “gente comune”, all’incredibile espressione “gente comune” che fa ben il paio con l’altra espressione “Società civile” continuamente ripetuta e ostentata.
C’era bisogno di leggere quelle percentuali elitario Letta? Proprio lei che proviene da un partito autenticamente popolare come la Democrazia Cristiana? Non bastava che si guardasse allo specchio? Cosa pensa di fare il cittadino Letta dopo la sua mirabolante scoperta? Nulla, come al solito continuando a difendere i privilegi della sua elite? No, naturalmente. Sicuramente lei AUSPICA. Cosa auspica? Non ha importanza l’importante è auspicare.
E’ il tanto citato Populismo a liberare il dio nazionalismo che a sua volta libera rabbiosi razzismi, antisemitismi, totalitarismi? Noi, che stiamo scrivendo questo manifesto, non siamo mai stati razzisti, meno che mai antisemiti, molto meno antisemiti di tanto radical chic e tanta società civile che dalla notte dei tempi ricorre a tutte le coperture possibili: gli ebrei sono deicidi, gli ebrei sono strozzini, gli ebrei rubano i bambini, gli ebrei congiurano dalla notte dei tempi per impadronirsi del mondo, gli ebrei parteggiano per Israele, gli Ebrei costruiscono muri. Tutto per coprire il loro radicato antisemitismo e, magari, esaltare gli assassini di Hamas. 
Qualche considerazione sul termine “cittadini comuni” che ricorre così spesso nei discorsi della società civile che evidentemente non si ritiene composta da cittadini comuni. "Comune" è un termine usato dai collezionisti, ad esempio i collezionisti di monete o francobolli per indicare, esemplari non rari in contrapposizione appunto al termine raro, ossia costoso, ossia prezioso e da custodire con la massima cura. Evidentemente i non populisti, gli elitari, i seguaci della repubblica di Platone, si ritengono "preziosi", mentre i comuni possono anche essere stropicciati, buttati, calpestati.

Da
  IL Manifesto degli Incivili
di Ezio Saia


martedì 18 febbraio 2020

Ignoranza e pesci


Il PD, l'infame PD, è ricorso ai rinforzi dei Grillini e di una banda d'indecenti pesci.
Una continua decadenza verso il basso, ormai simile a un precipizio.  Sono lontane le attenzioni interessate verso la cultura, che raccomandava Gramsci ed è rimasta solo la pesante, odiosa egemonia culturale che sopportiamo da cinquant'anni: un peso infame e insopportabile.  
Prima la caduta in basso verso gli infimi livelli di tanti (non tutti) Cinque Stelle, poi quello ancor più degradante verso l'ignoranza dei pesci.
Un'armata Brancaleone che non può che scandalizzare la "Colta sinistra" che, in realtà, colta non lo è mai stata: superba, vanagloriosa, irridente, moralista sempre, colta mai. 
Quando si cresce nella convinta sicurezza che basti essere di sinistra per essere colti e che si sia automaticamente esonerati dalla fatica di studiare e pensare, non resta altro che distribuire a destra e manca tutti gli insulti d'ignoranza possibili e trascinare la "cultura" nella completa ignominia, come sta avvenendo, verso i Pesci e la "Colta" Greta, che, senza vergogna, accetta il viaggio organizzato per lei dalla monarchia del Principato di Monaco, uno dei tanti vergognosi paradisi fiscali .
Non so cosa faranno i cosiddetti "intellettuali" di sinistra e come riescano a sopportare una simile situazione senza vergognarsi, senza iniziare una lunga traversata del deserto anche senza alcuna terra promessa come approdo.
Dove l'approdo? Conoscendo la loro vanagloriosa superbia e la loro sudditanza alla nuova aristocrazia l'approdo non potrà che essere un nuovo Congresso di Vienna. Già gli intellettuali russi, al tempo della liberazione, vedevano nell'UE il loro nuovo Politburo.  




 

  

  




lunedì 17 febbraio 2020

Magistratura. E la sciagurata rispose



L'ignoranza al Potere, un potere che imperversa da anni in Italia e che ha inventato l'odio politico con l'avvento di Berlusconi: per loro non solo un avversario politico ma un nemico culturale da eliminare con qualsiasi mezzo anche ricorrendo a una magistratura politicizzata. E la magistratura come la Monaca di Monza "Sciagurata rispose".

I Magistrati processano Salvini su istigazione dei PM.
Ottima istigazione e fatta dalle persone giuste, gli stessi PM che in circa quindici anni hanno sequestrato in galera, in cella o a casa, circa ventisettemila persone. E' possibile se non probabile che molti di essi siano stati in quei periodi allegramente deflorati nella parte posteriore. 

Mi chiedo o in Italia tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge anche i PM sequestratori, o, se come i porci della Fattoria degli animali siano più eguali degli altri e non processabili. Non dico di infrangere il dettato costituzionale sulla separazione dei poteri ma di farli processare dal loro organo di giudizio, il loro brillante organo di giudizio. Processiamo i PM sequestratori e la pena possibile sia come per i cittadini non porci fino a quindici anni di carcere.


Una storia di eresie - 1 - infinitesimi, geometrie anomale.

Dedicato a chi, come Appias nero, lavora per un'integrazione fra sapere scientifico e umanistico. Fornitemi altri nomi impegnati in questo campo.
Una filigrana di eresie percorre la storia canonica della matematica.
Contemporaneo di Galilei, Bonaventura Cavalieri inventò un metodo di calcolo, in cui una linea era una somma infinita di punti, un’area una somma infinita di segmenti e un volume una somma infinita di piani. La sua opera, nota come geometria degli indivisibili, fu giudicata come un tentativo di raccogliere l’acqua con un setaccio. Dice Borges, vero nume tutelare di tutte le eresie.

La vasta biblioteca è inutile. A rigore, basterebbe un sol volume, di formato comune, stampato in corpo nove o in corpo dieci, e composto d’un numero infinito di fogli infinitamente sottili. ( Cavalieri, al principio del secolo XVII, affermò che ogni corpo solido è la sovrapposizione d’un numero infinito di piani).

Cavalieri incredibilmente ottenne grandi risultati. Oltre che confermare risultati già noti, calcolò lunghezze, aree e volumi mai prima calcolati. Nonostante questi successi non riuscì a convincere i contemporanei: quegli strani indivisibili puzzavano troppo di zolfo. Inutilmente si difese sostenendo i suoi indivisibili erano solo scorciatoie.
Gli indivisibili, queste fantomatiche entità che erano e non erano, ma dei quali si doveva comunque parlare, furono presto abbandonati. Con la nuova geometria algebrizzata di Fermat e di Cartesio, gli indivisibili scomparvero, ma nacquero gli infinitesimi loro stretti parenti. La geometria era cambiata, ma anche nella nuova si tornò a parlare di quantità infinitamente piccole e di aree calcolate come somme di infiniti segmenti. Il sospetto che aveva afflitto gli indivisibili si trasferì sui non meno eretici infinitesimi; un sospetto che durò almeno due secoli fino a che Causchy e Weierstrass non inventarono una procedura che otteneva gli stessi risultati, ma non parlava di infinitesimi. L’analisi poté essere trascritta e redenta dal rigore che il nuovo metodo permetteva.
Nonostante ciò, molti manuali d’ingegneria continuarono spesso a lavorare con i troppo comodi infinitesimi fino a che, nella seconda metà di questo secolo, quegli stessi infinitesimi, che secondo Leibniz costituivano la grana fine dell’universo accessibile solo all’intelligenza infinita di Dio, si presero la rivincita, divenendo legittimi e non eretici cittadini nei mondi dell’analisi non standard inventata ( o scoperta o costruita, o fondata) da Robinson.
E che dire delle geometrie non euclidee?
Questo tormentone proveniva da un dubbio tanto antico quanto irrisolto circa la validità dell’assioma[i] delle parallele formulato da Euclide. L’assioma, che recita che se P è un punto e a una retta, per P passa una sola parallela ad a, apparve subito sospetto. E neppure tanto evidente doveva essere apparso a Euclide che lo aveva introdotto, non con gli altri assiomi, ma dopo aver dimostrato una trentina di teoremi. Questa strana collocazione fu subito interpretata come se lo stesso Euclide volesse far capire di averlo introdotto solo nel quando non poteva più farne a meno.
L’idea che il mondo non fosse euclideo, era così eretica che non venne neppure presa in considerazione. La dimostrazione dell’assioma divenne, così, l’ossessione della storia della matematica. Nei secoli si accumularono oltre mille ufficiali e inutili tentativi di soluzione e non furono pochi i matematici che dedicarono alla soluzione del problema la loro vita. Wolfang Boylai, padre di quel Giovanni che diede una svolta definitiva all’enigma, fu fra questi.
Una mezza svolta l’aveva già impressa il matematico Gerolamo Saccheri di Pavia. Questi negò l’assioma delle parallele e sviluppò un nuovo sistema. Saccheri sperava di imbattersi in un “assurdo” che dimostrasse che Euclide aveva ragione e lo volle così tanto che finì per trovarlo anche dove non c’era.
Ciò che Saccheri aveva iniziato era una geometria non euclidea. Dopo di lui, altri, tra cui Lambert, fecero intravedere brandelli di questo nuovo universo. Gauss lo costruì effettivamente, ma non volle renderlo pubblico e infine Boylai nel 1825 e Lobacevskiy nel 1826, esposero una nuova geometria che partiva dall’assunzione dell’esistenza di due parallele a una data retta.[ii]
Boylai comunicò le sue scoperte al padre commentando: “Aggiungo solo questo: Ho creato un universo completamente nuovo dal nulla.”
I “nuovi” ed eretici mondi furono accettati dagli accademici con inconsueta calma (o rassegnazione). Ciò accadde perché il problema era ormai maturo e anche perchè Gauss li approvò con entusiasmo. L’autorità e il genio di Gauss[iii] erano così grandi da poter imporre ai dotti custodi dell’ortodossia (pur fra amare masticazioni) anche una simile rivoluzione.




[i]Uso “assioma” anche per i postulati.

[iii]Gauss non doveva credere certamente alla sua autorità se, avendo lui stesso elaborato una geometria non euclidea (nel senso di Boylay), non la pubblicò perchè, come ebbe a dire, temeva le urla dei beoti.

venerdì 14 febbraio 2020

14 L’arte figurativa e non figurativa capitolo 14 de Il Manifesto degli incivili


Recentemente un ministro ha esposto le sue perplessità su quella che lui chiama arte moderna, ottenendo delle reazioni degli artisti, dagli esperti che andavano dall'irrisione, allo sdegno, alla perplessità.

Tra queste reazioni cito quella che si limitava a osservare che tutte le avanguardie avevano sempre suscitato inizialmente reazioni negative, disprezzo, incomprensione, condanna per poi correggere il tiro. Ce da chiedersi che significato scientifico abbia una simile osservazione. Il fatto che per tre, quattro, dieci, per trenta avanguardie, per i relativi artisti le cose siano andate come descritto, è significativo che per la trentunesima avanguardia, per il ventunesimo pittore le cose continueranno ad andare così, che per tutte le avanguardie in essere o future la trafila sarà la stessa? Ovviamente no. Qualsiasi modesto studioso di probabilità, di induzione, di statistica confermerebbe questa affermazione. L’induzione richiede ben altri numeri per dare luogo ad una probabilità. Quanti artisti lanciarono un loro movimento che morì nel nulla?

Altre circostanze, altre banali osservazioni possono essere esposte. Queste osservazioni riguardano l’ambiente e le convenienze. Il mercato è impostato sulle opere a cui si riferiva il ministro in maniera dubbiosa e che immediatamente sono state difese contestando i suoi dubbi. Molte gallerie commerciali private, molti collezionisti privati, molte gallerie pubbliche sono piene di quelle opere, difendono quelle opere, operano con quelle opere, vendono quelle opere. Traendo il loro benessere da quelle opere, se il sistema complessivo entrasse in crisi, per loro sarebbe il disastro; se le quotazioni cadessero sarebbe il disastro. Collezionisti, acquirenti, direttori di musei si ritroverebbero con nulla in mano.
Arte e non arte esiste un criterio? No, questa stessa discussione ne è l’evidente testimonianza, di volta in volta sono una società, un circolo, un principe, un mercato a decidere.

Esempi di accadimenti significativi a Venezia e Torino.
A Venezia un inserviente, dopo l’uscita dei visitatori, raccolse a terra un mucchietto di sassi e pezzi di legno buttandoli nella spazzatura, credendola appunto spazzatura ammonticchiata, quando, invece, quel mucchio era un’ “opera d’arte”, una composizione poetica appoggiata a terra. A Torino i visitatori si sono fermati per una mattinata ad ammirare un secchio di acciaio zincato con dentro un moccio immerso in acqua sporca che credevano “un’opera d’arte” quando, invece il complesso non era altro che un moccio immerso in un secchiello dimenticato da un addetto alle pulizie del pavimento. 
Sono significativi questi fatti? Sono significativi per indurci a dare un giudizio negativo dell’opera estetica contemporanea? Sì, sono significativi, ma non lo sono in riferimento al giudizio: se una donna delle pulizie avesse trovato a terra un Picasso agli inizi del secolo, avrebbe probabilmente agito come l’impresa di pulizia veneziana e avremmo perso un Picasso.
In parziale contraddizione, in prepotente dubbio di quanto appena annotato dobbiamo annotare un altro fenomeno: quello delle opere subito osannate poi giudicate di nessun valore. Se si esamina il susseguirsi delle opere esposte nei vari anni ad esempio alla biennale veneziana, nelle gallerie, nelle scelte delle persone esteticamente esperte (Sic), il fenomeno si rivela subito gigantesco. E’ più rilevante il fatto del decadere o quello del confermare?
Di fronte ai roboanti giudizi, alle critiche incomprensibilmente ampollose, all'uso di sperticati elogi (naturalmente nessuna galleria espone per vendere opere commentate da altrettanto ampollosi, e semanticamente incomprensibili critiche negative né tantomeno un museo) di fronte a quella semantica tanto complessa da rasentare la comicità, viene veramente l’idea della truffa o peggio ci induce a pensare ai racconti comici di Borges e Bioy Casares Crónicas de Bustos Domecq (1967. Trad. It. Cronache di Bustos Domecq, Torino, Einaudi, 1975) o alla favola del re nudo, del bambino che esclama ridendo “Il re è nudo”.

La favola del re nudo non è solo una favola ma espone la significativa realtà dell’opinione condivisa che diventa legge a cui il nostro conformismo, secondo alcuni genetico, secondo altri sviluppato dalle nostre esperienze, si adegua per convenienza, quieto vivere, incapacità di “pensare” ed incapacità di esprimere coraggiosamente il frutto del nostro “pensare”. Eppure il re era nudo. Nudo sia per la folla numerosa che applaudiva la magnificenza delle sue vesti, sia per il bambino impertinente e ingenuo che ne ride ed urla “Il re è nudo.” 
La favola invita a riflettere e a supporre che sotto ci sia anche qualcos'altro: addirittura quel fenomeno ricorrente che siamo soliti identificare con il termine di “bolla speculativa”.
Un fenomeno non solo ricorrente ma fin troppo ricorrente. Inutile fare molti esempi e ricordare bolle più o meno recenti di cui ancora stiamo ancora subendo le conseguenze. Vorrei solo ricordare una bolla dalle caratteristiche spiccatamente estetiche: quella dei tulipani olandesi. Una bolla che raggiunse apici difficili da accettare razionalmente, se si pensa che il seme di un tulipano nero giunse a superare come valore quella di un dignitoso edificio di abitazione borghese. Poi la bolla scoppiò e come tutte le bolle ebbe conseguenze tragiche su coloro che in quell'infinito e condiviso incrementarsi dei prezzi avevano creduto, che da quei germi irridenti e malefici si era fatto contagiare, che a quella febbre demenziale diffusa aveva creduto fino alla propria rovina. Come non ricordare il crollo del ’29 del secolo scorso che mandò in rovina una nazione come gli Stati Uniti?

La pittura, anzi, il mondo della pittura ha le caratteristiche di una bolla speculativa? Una bolla che coinvolgerebbe i valori estetici? Evidentemente sì, un quadro, una scultura, una disposizione di pezzi, un’animazione vale denaro perché viene giudicata esteticamente; più alto è il giudizio estetico condiviso, più alto sarà il valore. Quando manca un criterio oggettivo è impossibile decidere al sì e al no, come se ci trovassimo di fronte ad un’operazione aritmetica. Ma possiamo porre la domanda in altro modo. Era più difficile elaborare criteri oggi o in passato?
In passato, ad esempio, i quadri con soggetto l’annunciazione sono stati innumerevoli, fra questi, una netta minoranza è considerata oggi e lo fu ieri artistica, quando il presupposto per essere giudicati esteticamente richiedeva una capacità artigianale di raffigurare sul quadro ciò che era visibile con gli occhi e uno scarabocchio non veniva neppure proposto. Anche qui sono possibili considerazioni contrastanti. La prima ci dice che non era l’abilità tecnica a decidere circa il valore artistico di un quadro, la seconda che senza una qualche capacità tecnica e manualistica, senza una scuola, l’opera non poteva essere neppure sottoposta a giudizio. Se la capacità tecnica non costituiva il criterio di giudizio estetico era comunque il presupposto perché un’opera fosse degna di attenzione e di giudizio, costituiva un linguaggio condiviso che non richiedeva rare qualità artigianali.
Il complesso del mercato dell’arte, dei giudizi, della costituzione di un insieme più o meno coordinato di giudizi estetici costituisce oggi una bolla estetica ed economica? Molti pensano di sì ma, nonostante ciò, quel complesso continua a marciare spavaldo, senza che questo costituisca però una prova di veridicità e di esteticità del prodotto. Anche ai tempi della bolla dei tulipani c’era chi rideva di questa comica malattia e giudicava chi ne era affetto come un cretino, uno sconsiderato, un pazzo eppure la bolla continuò ad espandersi fino a scoppiare. Anche nel ’29 c’era chi giudicava pazzesco, demenziale ciò che stava accadendo, che gridava al pericolo, che non credeva ai propri occhi nel vedere azioni, che non valevano nulla, incrementare, ininterrottamente, il loro valore ogni giorno, e questo anche se dietro a quelle azioni c’era anche qualcosa di oggettivo: la società, l’industria, intestatrice di quelle azioni e criteri parzialmente oggettivi per valutarne il valore, ricorrendo a dati come l’utile, il tasso di sviluppo, ecc. Eppure anche quella bolla continuò ad espandersi al di là di ogni possibile giustificazione. Anche allora ci fu chi prudentemente ritirò i propri soldi e vide i cretini, i pazzi, gli illusi, i dementi buttarsi dai grattacieli.

La nostra comprensione arriva fino a Mondrian e ai ghirigori del pittore americano Pollock. Vedo Pollock all’interno dei confini dell’arte, mentre vedo in Mondrian solo un ossessionato e ossessionante pittore da tecnigrafo.
Lo diciamo ma consci del valore relativo di una simile affermazione. Un ascoltatore di musica con lo stesso diritto/ sentimento, potrebbe dire “Arrivo fino ai confini della dodecafonia, ma non più in là” Eppure quanti di noi hanno provato l’esperienza si sentire, a furia di ascoltare, le opere tonali come lagne e belati? In quei momenti le opere dodecafoniche di Schoenberg ci sono apparse come una ventata di austera purezza. I loro ricami orchestrali, i loro timbri secchi, morigerati, le loro supposte disarmonie producono spesso un effetto più forte, più musicale di certe colossali orchestrazioni romantiche. Berg, Schoenberg ci hanno dato esempi illuminanti. Se Mosè e Aronne ci appare integralmente dodecafonico, il Wozzeck ci mostra come l’uso degli strumenti tonali, atonali, dodecafonici sia possibile e capace di produrre capolavori.

In ogni caso anche qui, nel disastro ormai cinquantennale della confusa arte alta, ufficiale e civile, l’arte popolare, la incivile, incolta, barbarica arte popolare ci sta salvando.
I pittori murali, i giovani che dipingono i muri delle case, delle fabbriche abbandonate, coloro che dipingevano con le bombolette le carrozze dei treni ci indicano una via. Una via lunga con molte biforcazioni che è partita da lontano, dall'arte popolare, dai fumetti, ecc. da quegli stessi fumetti, dove la pendenza di un tratto caratterizzava lo stato d’animo, che l’elevata società civile del tempo, stretta parente di quella di oggi, (quella che ci invita a prostrarsi di fronte a una sedia rimediata in soffitta per adorarla come opera d’arte) ieri ci educava a giudicare come l’ennesima stupidaggine pericolosa elaborata di quegli incivili, incolti e barbari americani; quella stessa che ci invitava a ridere dell’epica del West americano, a disprezzare Via col vento.
Eppure i fumetti a cominciare da Topolino, da Paperino, da Tiramolla, da Pecos Bill, da Blondie e Dagoberto, da Dick Trasy fino ai Penault (noccioline, cose da poco,) con la loro grafica semplice e veloce hanno tracciato un percorso, rappresentativo e narrativo; hanno disegnato una cultura, prodotto racconti, strisce, romanzi e si sono metamorfosizzati oltre che nel pluripremiato Mouse anche in quelle belle favole, in quei bei cartoon prodotti da quel reazionario e fascistone di Walt Disney.
Anche qui, come per la musica, l’arte figurativa ufficiale dell’alta società civile, finita in vicolo cieco, in una strada che sfocia anche nell’immondezzaio, è pronta a ricominciare da capo senza rinunciare alle conquiste semplificatrici, alle deformazioni, alle invenzioni delle Avanguardie, e non ha più necessità di un bambino irridente che ci apra gli occhi e ci dica che il re è nudo.
Ancora qualche parola sugli esperti, esteti e professoroni autenticatori. Ancora qualche parola sugli esperti, esteti e professoroni autenticatori. Anni fa la direttrice di un museo in base a notizie, ricordi, informazioni letture invitò le autorità a dragare il fiume alla ricerca di sculture che il grande pittore scultore Modigliani aveva, secondo le sue informazioni buttato dalla finestra direttamente nel canale che scorreva davanti al suo studio.
Fu recuperata la prima, la seconda e la terza (il 10 agosto 1984) e subito si gridò al miracolo. I più importanti storici dell’arte – tra questi asini anche l’asino più noto Giulio Carlo Argan – si dissero pronti a certificare l’autenticità  di simili reperti( teste umane scolpite, abbozzate su pietra, come opera del grande Modigliani. Notare la presenza fra essi di Giulio Carlo Argan già fascista della corte del ministro dell’arte fascista e dopo la caduta del fascista subito convertito e accolto nella corte comunista, che giunse a farlo eleggere sindaco di Roma. (C’è da chiedersi quante consulenze d’attribuzione abbia effettuato questo cambia bandiera e asino di corte Giulio Carlo Argan)
Per fortuna fuori dal coro Carlo Pepi capo degli Archivi Legali Modigliani, il critico Federico Zeri e Jeanne Modigliani non si unirono al coro e seccamente come l’ingenuo bambino gridarono il re è nudo. Zeri fece di più e invito gli autori dei falsi a farsi avanti il che puntualmente avvenne. Fra loro tra ragazzi che tranquillamente ammisero di essere autori di uno scherzo, in cui erano cascati tanti asini professoroni e ancor più asini esperti. 

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venerdì 7 febbraio 2020

FIL FICHTE E IL SUO ROMANZO METAFISICO


Da correggere

A scuola ti presentano Fichte in maniera indecente con le tre leggi dell’Io che pone se stesso, ecc. ma Fichte è un grande pensatore i cui capisaldi poggiano nella congiunzione dell’etica con libertà. Mi piace pensare che, tormentato dall’esigenza della assoluta libertà dell’Io penso di Kant, abbia chiuso gli occhi e creato uno spazio infinito, del tutto puro e vuoto in cui ritrovare e descrivere quella libertà che lo ossessionava e che, vagando in quello spazio senza resistenza, si sia reso conto che nulla in esso aveva senso tantomeno la libertà. Tanto meno quella libertà assoluta che era per lui un’esigenza morale. La libertà per esistere aveva bisogno di ostacoli, di oggetti, di resistenze. E se l’esigenza di libertà era un’esigenza etica altrettanto etica doveva essere l’esistenza degli ostacoli. Di qui l’esigenza di porre se stesso come Io assoluto e come libertà e di porre il “non io” come ostacolo e esigenza morale.
Kant aveva impostato la sua filosofia critica ponendo a un capo l’Io penso e, all’altro capo, il noumeno. Il noumeno era bifronte per un verso puro limite e confine e per l’altro, substrato ai fenomeni. Questa ambiguità salvava la sua filosofia dallo scivolamento metafisico.
Fichte forse con più coerenza elimina l’ambiguità eliminando l’interpretazione del noumeno come limite, l’etica diviene noumeno e causa del mondo e di colpo i tasselli tra fenomeno noumeno, io empirico, io assoluto, mondo enti del mondo e loro interazioni, libertà ed etica vanno al loro posto per formare un puzzle metafisico.  
Se Darwin si fosse identificato in Fichte forse avrebbe accettato che l’io assoluto ponesse il non io nelle forme che voleva e quindi castelli incantati, abissi di terrore, ecc senza nessuna esigenza morale ma la dura legge di selezione avrebbe limitato le possibili forme dei “non io” e delle interazioni fra i vari non io empirici?  Ha ancora senso leggere Fichte? Certo, come ha senso, leggere tutti i grandi romanzi della metafisica, tutti i romanzi della storia dei numeri, tutti quelli della fisica, quelli della letteratura, come ha senso leggere i romanzi che hanno come protagonista quell’infinito attuale, quel controverso personaggio e vero re degli anarchici, che tanto affascinava Borges e Calvino.


lunedì 3 febbraio 2020

13 Teatro di prosa: cenni. Capitolo 13 de il Manifesto degli incivili



Il teatro aveva un senso altissimo in Grecia dove è nato e nella civiltà occidentale che ne è seguita, un senso così forte da indurre a dimenticarne i costi che gravano su tutti, anche su coloro che a teatro non ci andavano, per le ragioni più varie, perché il teatro non piaceva, perché era caro, perché le rappresentazioni avvenivano a corte.
Le commedie, le tragedie raccontavano storie accessibili alla vista e all'udito e non c’era altra maniera di raccontarle. Raccontavano storie che anche il proletariato povero, incolto, illetterato e incapace di leggere e scrivere, poteva comprendere e godere. Tutti i tipi di rappresentazione, anche il povero teatro delle marionette trovavano spettatori.
Ma, oggi, (anche tenendo conto dell’avvento del cinema), le cose non stanno più in questi termini e ancor meno lo saranno con il cinema 3D. Il cinema racconta storie in concorrenza col teatro ma la sua tecnologia è tale che i produttori possono produrre in attivo e senza ricorrere ai denari dei contribuenti (ma in Italia questo non succede, l’Italia finanzia anche i film, gli attori, i registi che banchettano ad aragoste, anche coi soldi dei contribuenti) che al cinema non ci vanno.
Quanto senso ha oggi il teatro? Quanto ne ha da giustificare il fatto che gravi sulla comunità? Quanto che giustifichi che chi non va a teatro paghi una parte del biglietto di chi ci va? A nostro avviso nulla. Neppure le scusanti che può offre l’opera in quanto prodotto, invenzione degli italiani.

Parlare di magia del teatro non ha senso e, per chi quella magia non la sente o che non ama il teatro o non ha tempo per il teatro o non ha i soldi per il teatro, è solo un’aggravante del danno. La magia del teatro nel teatro di prosa come in quello d’opera è paragonabile alla magia dello stadio rispetto al televisore di casa o del bar ma chi va allo stadio il biglietto se lo paga con i soldi suoi e non con i miei e in genere di chi non va allo stadio.
Non siamo noi barbari a mettere in evidenza questi fattori, non siamo noi incivili, ma il teatro stesso che non è più in grado di darsi un senso. Se ci fossero autori che scrivono commedie, tragedie, rappresentazioni in varie modalità, tali da dare indizi di vitalità, un certo senso lo conserverebbe ma le cose non stanno così. E’ il teatro stesso che non sa darsi senso e vitalità.
 Pirandello, G. B. Shaw sono autori di altri tempi, dei primordi del secolo ventesimo, un soprassalto di vita si è avuto con il teatro dell’assurdo, con quel Aspettando Godot che, come una bomba, sembrava resuscitare un teatro morto, asfittico, sterile, ma i drammaturghi sulla scia di Godot non hanno prodotto granché, anche se quel poco granché viene ancora talvolta rappresentato. Benché premiato dal nobel il teatro di Sartre mi pare decisamente scombinato e di basso livello. Questa mia opinione è condivisa da molti. Gli autori di teatro non ci sono o producono sterili messe in scena di romanzi, oppure, detto altrimenti, non è il teatro ma il cinema ad attirare gli autori da palcoscenico.
Il teatro si è ridotto a esibizioni di registar e di attori, finanziata dallo stato, dalle regioni, dai comuni come salvacondotto di vivacità intellettuale, di cultura mentre in realtà sono musei, dove si riproducono i capolavori del passato quando il teatro era l’unica possibilità di offrire divertimento ed emozioni, dove si riproducono scene, equilibri, parole che divertivano ed emozionavano i nostri antenati, quando l’uditorio era in parte analfabeta, ma lo è molto di meno per noi che abbiamo altri spettacoli, altri autori visibili in film, in telefilm, ecc. dove l’invenzione artistica è stata ed è, anche se meno, ben viva.
Viene spesso evocata la magia del teatro dal vivo, sia a proposito del teatro di prosa che di quello lirico. Non dico che non esista ma dico che, ad esempio, noi, come molti altri, non la sentiamo. Da quando c’è You tube, in particolare, la possibilità di esplorare la musica e il teatro della Firenze dei medici, della Venezia dei dogi, fino allo Stravinskij dodecafonico, sono diventate per noi accessibili. Internet ha cambiato il nostro modo di emozionarsi e il nostro rapporto col teatro. Il mondo musicale è un universo infinito. Più che sentire cento volte un pezzo di Mozart, a molti piace esplorare tante voci. Mozart è sommo ma non esplora tutto, quel tutto che trovi in altri. Il repertorio dei teatri mi pare enormemente angusto e ristretto.
La cosiddetta magia del palcoscenico vale per chi la sente e ne gode. E’ giusto che chi la prova e se la gode, se la paghi per intero e non la faccia pagare a tutti. Vale perché è un’occasione di ritrovo, di commenti, di presentazioni, di sfoggio di abiti, pettinature e gioielli, ma perché queste chicchere, queste esibizioni di snobismo per gente snob ,dobbiamo pagarle noi?   
I nostri antenati si divertivano anche con il teatro delle marionette, coi circhi, con la donna serpente. Anche opere come la Traviata venivano rappresentate con marionette e dischi. Nel romanzo Gli insetti preferiscono le ortiche  del giapponese Tanizaki, l’autore racconta quante emozioni siano ancora in grado di suscitare nei giovani il teatro delle marionette azionato con le mani, una magia del teatro, una magia delle marionette, dell’ambiente, del palco, che lancia gli ultimi sussulti mentre percorre la via della sua estinzione. Anche qui in Italia si parla a non finire di magia del teatro, di magia del palcoscenico, dell’ambiente, degli attori, delle luci artificiali, una magia culturale così forte da esigere di essere mantenuta in vita. E’ la stessa magia che danno gli intervalli, le conversazioni negli intervalli, le critiche, le lodi, gli abiti, le acconciature, il piacere di mostrasi colti, di credersi colti, di mostrare agli altri quanto siamo colto, le prime, la programmazione, le prenotazioni, le assegnazioni dei posti, le critiche agli attori, al regista anche in aperta contraddizione agli applausi sperticati che fanno parte di un cerimoniale consolidato all’interno di quella magia, ma non tutti sentono quella magia. Non la sentono e non la giudicano certo cultura ma scipito, inutile compassionevole relitto. Compassionevole ma caro. Non vogliamo più che i nostri soldi servano a chi soggiace a quelle magie da quattro soldi, povere, superbe, costose, esigenti.
Anni fa molti anni fa Moravia, parlo degli anni ’60, si dedicò al teatro con gran strepito di commenti tra i quali quelli del tipo “Il teatro muore, i romanzieri di valore accorrano al suo capezzale per rivitalizzarlo” Scrisse tra l’altro un testo (forse il mondo è quello che è ) che nessuno di noi conosce se non per il rumore che fece l’evento e che pare totalmente scomparso dalla circolazione. Allora si diceva che fosse influenzato dalla filosofia di Wittgenstein. Qualcuno ricorderà i commenti e le discussioni anche nei quotidiani all'insegna del dilemma: il mondo è di cose o di parole. A che opera di Wittgenstein si ispirasse Moravia non lo sappiamo. E’ difficile che fosse il Tractatus che esige una preparazione logica, probabilistica, ecc. Anche se l’avesse letto non ci avrebbe capito nulla con la sua cultura ed è quindi probabile che qualcuno gli abbia fatto un riassunto comprensibile. La meteora infausta del dramma di Moravia ci esonerò anche dal leggere il testo ma non ugualmente accadde con le maldestre opere di Sartre. A porte chiuse, Le mani sporche, Il diavolo e il buon dio, I sequestrati di Altona, meritano appena una citazione. Del grande e frettoloso scrivere di Sartre solo La Nausea e, in parte i racconti de Il muro, paiono resistere all'azione del tempo demolitore di effimeri entusiasmi. Sartre non ha certo contribuito a salvare il necrotico teatro. Anzi forse ha contributo ad affossarlo. Il teatro è un relitto tenuto in vita dai suoi significati sociali di aggregazione e dalla retorica interessata dell’ARTE-ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA- CULTURA. Una forzata sopravvivenza senza senso, dal punto di vista artistico, e irragionevolmente costosa, dal punto di vista culturale e politico. Il Teatro come molti miti dell’ARTE-ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA-CULTURA dà da mangiare a un'élite e ruba al popolo dei cittadini che non vanno a teatro. La giustificazione addotta è sempre il supposto valore artistico e culturale ma il mito romantico dell’arte è ormai preistoria, roba per la società civile, per la società civile e superficiale, per la società civile maneggiona, mangiona e succhiasangue.

Il rimedio è la cultura del volontariato e del tempo libero, della cultura che recita, che è attiva, che non si organizza in consigli di amministrazione, in compensi o come passivo e parassitario ascoltatore. Ci sono eserciti di volontari che prestano gratuitamente il loro lavoro in istituzioni culturali come le università popolari e quelle della terza età.
Si fa, ad esempio, un gran parlare di occupazione di edifici pubblici da parte dei giovani anarchici o di sinistra dei cosiddetti Centri sociali. Non aderiamo certo alle loro idee ma è una colpa occupare edifici pubblici per auto-organizzare il loro impegno, il tempo loro libero, i loro concerti. i loro spettacoli. C’è una discriminazione evidente fra locali in disuso, occupati dai centri sociali che non pagano affitto ma non costano alla comunità e fanno cultura, di quella banda di malaffare che è solo capace di far debiti.
Siamo mille miglia lontani dai parassiti, dai super pagati attori, dai

Mazinga directstar, dai Goldrache conductstar, dalle sartorie 

teatrali, ecc. e chi più ne ha più ne metta, che divorano il denaro 

dei contribuenti. Altro che limitarsi a non pagare l’affitto. Arte? 

C’è più creatività in quei gruppi, c’è più arte in quel territorio 

underground che in tutta l’ipocrita, e ladra società  dell’ARTE-

ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA-CULTURA. C’era persino 

più arte nel disprezzo con cui anni fa i contestatori contestavano 

l’esibizionismo di pellicce, parrucche e mise alle prime della Scala, 

lanciando le loro sante e benedette uova.