lunedì 3 febbraio 2020

13 Teatro di prosa: cenni. Capitolo 13 de il Manifesto degli incivili



Il teatro aveva un senso altissimo in Grecia dove è nato e nella civiltà occidentale che ne è seguita, un senso così forte da indurre a dimenticarne i costi che gravano su tutti, anche su coloro che a teatro non ci andavano, per le ragioni più varie, perché il teatro non piaceva, perché era caro, perché le rappresentazioni avvenivano a corte.
Le commedie, le tragedie raccontavano storie accessibili alla vista e all'udito e non c’era altra maniera di raccontarle. Raccontavano storie che anche il proletariato povero, incolto, illetterato e incapace di leggere e scrivere, poteva comprendere e godere. Tutti i tipi di rappresentazione, anche il povero teatro delle marionette trovavano spettatori.
Ma, oggi, (anche tenendo conto dell’avvento del cinema), le cose non stanno più in questi termini e ancor meno lo saranno con il cinema 3D. Il cinema racconta storie in concorrenza col teatro ma la sua tecnologia è tale che i produttori possono produrre in attivo e senza ricorrere ai denari dei contribuenti (ma in Italia questo non succede, l’Italia finanzia anche i film, gli attori, i registi che banchettano ad aragoste, anche coi soldi dei contribuenti) che al cinema non ci vanno.
Quanto senso ha oggi il teatro? Quanto ne ha da giustificare il fatto che gravi sulla comunità? Quanto che giustifichi che chi non va a teatro paghi una parte del biglietto di chi ci va? A nostro avviso nulla. Neppure le scusanti che può offre l’opera in quanto prodotto, invenzione degli italiani.

Parlare di magia del teatro non ha senso e, per chi quella magia non la sente o che non ama il teatro o non ha tempo per il teatro o non ha i soldi per il teatro, è solo un’aggravante del danno. La magia del teatro nel teatro di prosa come in quello d’opera è paragonabile alla magia dello stadio rispetto al televisore di casa o del bar ma chi va allo stadio il biglietto se lo paga con i soldi suoi e non con i miei e in genere di chi non va allo stadio.
Non siamo noi barbari a mettere in evidenza questi fattori, non siamo noi incivili, ma il teatro stesso che non è più in grado di darsi un senso. Se ci fossero autori che scrivono commedie, tragedie, rappresentazioni in varie modalità, tali da dare indizi di vitalità, un certo senso lo conserverebbe ma le cose non stanno così. E’ il teatro stesso che non sa darsi senso e vitalità.
 Pirandello, G. B. Shaw sono autori di altri tempi, dei primordi del secolo ventesimo, un soprassalto di vita si è avuto con il teatro dell’assurdo, con quel Aspettando Godot che, come una bomba, sembrava resuscitare un teatro morto, asfittico, sterile, ma i drammaturghi sulla scia di Godot non hanno prodotto granché, anche se quel poco granché viene ancora talvolta rappresentato. Benché premiato dal nobel il teatro di Sartre mi pare decisamente scombinato e di basso livello. Questa mia opinione è condivisa da molti. Gli autori di teatro non ci sono o producono sterili messe in scena di romanzi, oppure, detto altrimenti, non è il teatro ma il cinema ad attirare gli autori da palcoscenico.
Il teatro si è ridotto a esibizioni di registar e di attori, finanziata dallo stato, dalle regioni, dai comuni come salvacondotto di vivacità intellettuale, di cultura mentre in realtà sono musei, dove si riproducono i capolavori del passato quando il teatro era l’unica possibilità di offrire divertimento ed emozioni, dove si riproducono scene, equilibri, parole che divertivano ed emozionavano i nostri antenati, quando l’uditorio era in parte analfabeta, ma lo è molto di meno per noi che abbiamo altri spettacoli, altri autori visibili in film, in telefilm, ecc. dove l’invenzione artistica è stata ed è, anche se meno, ben viva.
Viene spesso evocata la magia del teatro dal vivo, sia a proposito del teatro di prosa che di quello lirico. Non dico che non esista ma dico che, ad esempio, noi, come molti altri, non la sentiamo. Da quando c’è You tube, in particolare, la possibilità di esplorare la musica e il teatro della Firenze dei medici, della Venezia dei dogi, fino allo Stravinskij dodecafonico, sono diventate per noi accessibili. Internet ha cambiato il nostro modo di emozionarsi e il nostro rapporto col teatro. Il mondo musicale è un universo infinito. Più che sentire cento volte un pezzo di Mozart, a molti piace esplorare tante voci. Mozart è sommo ma non esplora tutto, quel tutto che trovi in altri. Il repertorio dei teatri mi pare enormemente angusto e ristretto.
La cosiddetta magia del palcoscenico vale per chi la sente e ne gode. E’ giusto che chi la prova e se la gode, se la paghi per intero e non la faccia pagare a tutti. Vale perché è un’occasione di ritrovo, di commenti, di presentazioni, di sfoggio di abiti, pettinature e gioielli, ma perché queste chicchere, queste esibizioni di snobismo per gente snob ,dobbiamo pagarle noi?   
I nostri antenati si divertivano anche con il teatro delle marionette, coi circhi, con la donna serpente. Anche opere come la Traviata venivano rappresentate con marionette e dischi. Nel romanzo Gli insetti preferiscono le ortiche  del giapponese Tanizaki, l’autore racconta quante emozioni siano ancora in grado di suscitare nei giovani il teatro delle marionette azionato con le mani, una magia del teatro, una magia delle marionette, dell’ambiente, del palco, che lancia gli ultimi sussulti mentre percorre la via della sua estinzione. Anche qui in Italia si parla a non finire di magia del teatro, di magia del palcoscenico, dell’ambiente, degli attori, delle luci artificiali, una magia culturale così forte da esigere di essere mantenuta in vita. E’ la stessa magia che danno gli intervalli, le conversazioni negli intervalli, le critiche, le lodi, gli abiti, le acconciature, il piacere di mostrasi colti, di credersi colti, di mostrare agli altri quanto siamo colto, le prime, la programmazione, le prenotazioni, le assegnazioni dei posti, le critiche agli attori, al regista anche in aperta contraddizione agli applausi sperticati che fanno parte di un cerimoniale consolidato all’interno di quella magia, ma non tutti sentono quella magia. Non la sentono e non la giudicano certo cultura ma scipito, inutile compassionevole relitto. Compassionevole ma caro. Non vogliamo più che i nostri soldi servano a chi soggiace a quelle magie da quattro soldi, povere, superbe, costose, esigenti.
Anni fa molti anni fa Moravia, parlo degli anni ’60, si dedicò al teatro con gran strepito di commenti tra i quali quelli del tipo “Il teatro muore, i romanzieri di valore accorrano al suo capezzale per rivitalizzarlo” Scrisse tra l’altro un testo (forse il mondo è quello che è ) che nessuno di noi conosce se non per il rumore che fece l’evento e che pare totalmente scomparso dalla circolazione. Allora si diceva che fosse influenzato dalla filosofia di Wittgenstein. Qualcuno ricorderà i commenti e le discussioni anche nei quotidiani all'insegna del dilemma: il mondo è di cose o di parole. A che opera di Wittgenstein si ispirasse Moravia non lo sappiamo. E’ difficile che fosse il Tractatus che esige una preparazione logica, probabilistica, ecc. Anche se l’avesse letto non ci avrebbe capito nulla con la sua cultura ed è quindi probabile che qualcuno gli abbia fatto un riassunto comprensibile. La meteora infausta del dramma di Moravia ci esonerò anche dal leggere il testo ma non ugualmente accadde con le maldestre opere di Sartre. A porte chiuse, Le mani sporche, Il diavolo e il buon dio, I sequestrati di Altona, meritano appena una citazione. Del grande e frettoloso scrivere di Sartre solo La Nausea e, in parte i racconti de Il muro, paiono resistere all'azione del tempo demolitore di effimeri entusiasmi. Sartre non ha certo contribuito a salvare il necrotico teatro. Anzi forse ha contributo ad affossarlo. Il teatro è un relitto tenuto in vita dai suoi significati sociali di aggregazione e dalla retorica interessata dell’ARTE-ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA- CULTURA. Una forzata sopravvivenza senza senso, dal punto di vista artistico, e irragionevolmente costosa, dal punto di vista culturale e politico. Il Teatro come molti miti dell’ARTE-ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA-CULTURA dà da mangiare a un'élite e ruba al popolo dei cittadini che non vanno a teatro. La giustificazione addotta è sempre il supposto valore artistico e culturale ma il mito romantico dell’arte è ormai preistoria, roba per la società civile, per la società civile e superficiale, per la società civile maneggiona, mangiona e succhiasangue.

Il rimedio è la cultura del volontariato e del tempo libero, della cultura che recita, che è attiva, che non si organizza in consigli di amministrazione, in compensi o come passivo e parassitario ascoltatore. Ci sono eserciti di volontari che prestano gratuitamente il loro lavoro in istituzioni culturali come le università popolari e quelle della terza età.
Si fa, ad esempio, un gran parlare di occupazione di edifici pubblici da parte dei giovani anarchici o di sinistra dei cosiddetti Centri sociali. Non aderiamo certo alle loro idee ma è una colpa occupare edifici pubblici per auto-organizzare il loro impegno, il tempo loro libero, i loro concerti. i loro spettacoli. C’è una discriminazione evidente fra locali in disuso, occupati dai centri sociali che non pagano affitto ma non costano alla comunità e fanno cultura, di quella banda di malaffare che è solo capace di far debiti.
Siamo mille miglia lontani dai parassiti, dai super pagati attori, dai

Mazinga directstar, dai Goldrache conductstar, dalle sartorie 

teatrali, ecc. e chi più ne ha più ne metta, che divorano il denaro 

dei contribuenti. Altro che limitarsi a non pagare l’affitto. Arte? 

C’è più creatività in quei gruppi, c’è più arte in quel territorio 

underground che in tutta l’ipocrita, e ladra società  dell’ARTE-

ARTE-ARTE, CULTURA-CULTURA-CULTURA. C’era persino 

più arte nel disprezzo con cui anni fa i contestatori contestavano 

l’esibizionismo di pellicce, parrucche e mise alle prime della Scala, 

lanciando le loro sante e benedette uova.

Nessun commento:

Posta un commento