lunedì 15 settembre 2014

L’Ing. Monateri Mario



L’Ing. Monateri Mario

Era come il Nonno un genio. Un genio della meccanica e dell’automazione. Era un ingegnere da Trenta e lode ma dentro di lui uno stravagante fantasista inventore e un artigiano dalle idee luminose. Come Archimede pitagorico aveva una lampadina perennemente accesa in testa. Diversamente dal Nonno (I due si conoscevano e si stimavano) che produceva il prototipo e continuamente lo migliorava per poi produrlo in serie con artigiani della zona e venderlo in tutto il mondo, Monateri amava progettare sempre nuove macchine, sempre nuove automazioni, sempre nuove idee.
Ripetere i vecchi progetti lo annoiava, architettare nuove impensate soluzione lo faceva felice, immergersi in nuovi prodotti lo rendeva felice, vedere il nuovo progetto funzionare era l’apoteosi. Quando progettava, costruiva e vedeva, finalmente, la macchina sfornare i pezzi davanti ai suoi occhi, era un uomo felice del suo lavoro.
Gli invidiavo quella felicità, quella vita piena che faceva, quella forza di continuare a produrre idee e prototipi, quasi incurante del successo commerciale e industriale.
E’ stato una di quelle tante personalità geniali che la nostra era dalla cultura in perenne fuga dalla realtà non si cura di ricordare. La nostra cultura essenzialmente e colpevolmente succube del mito del professorone di letteratura o diritto sarà sempre maggiormente propensa a dedicare una via o una piazza a qualche oscuro cattedratico appena al di sopra del burocratico topo da biblioteca o, peggio ancora, pervenuto a sì grande posizione con tristi maneggi e compromessi, che ai suoi più geniali cittadini che applicarono il loro genio per far grande le nostre industrie e grande la nostra fama all’estero.
Fra i tanti brevetti e prodotti di successo che hanno fatto della Saiag una grande multinazionale ci sono stati anche quegli innovativi chiodi in gomma che hanno rivoluzionato (tra l’altro) i fissaggi sulle autovetture. Il brevetto era Saiag ma l’idea veniva da quella sua grande fantasia e da quella sua grande intelligenza.
Suo era anche il brevetto del ballerino ottico. A mio avviso, di gran lunga il migliore sul mercato.

Mi chiesi di entrare in società con lui e non potei accettare. Non accettai, non perché avessi dubbi su di lui ma perché quello che non avrebbe funzionato ero io. Sapevo di non potere garantire quell’entusiasmo, quella gioia e quella continuità, che in lui erano naturali, perché già allora coltivavo peccaminosi pensieri sullo scrivere romanzi e libri di filosofia. Ero dubbioso di me non di lui. Inoltre m’innervosivo quando dovevo lavorare con strumenti inadeguati e detestavo ricorrere a quella pazza fantasia e a quel pazzo bricolage che per lui rappresentavano, invece, una sfida da accettare e da vincere con entusiasmo.
Sono riuscito a ridestare l’attenzione su questo genio italiano? Dubito! La nostra cultura non è assolutamente attrezzata per accettare certe gerarchie culturali.

In ogni caso rinnovo i miei omaggi a questo grande uomo.

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