L’Ing. Monateri Mario
Era come il Nonno un genio. Un
genio della meccanica e dell’automazione. Era un ingegnere da Trenta e lode ma
dentro di lui uno stravagante fantasista inventore e un artigiano dalle idee
luminose. Come Archimede pitagorico aveva una lampadina perennemente accesa in
testa. Diversamente dal Nonno (I due si conoscevano e si stimavano) che
produceva il prototipo e continuamente lo migliorava per poi produrlo in serie con
artigiani della zona e venderlo in tutto il mondo, Monateri amava progettare
sempre nuove macchine, sempre nuove automazioni, sempre nuove idee.
Ripetere i vecchi progetti lo
annoiava, architettare nuove impensate soluzione lo faceva felice, immergersi
in nuovi prodotti lo rendeva felice, vedere il nuovo progetto funzionare era
l’apoteosi. Quando progettava, costruiva e vedeva, finalmente, la macchina
sfornare i pezzi davanti ai suoi occhi, era un uomo felice del suo lavoro.
Gli invidiavo quella felicità,
quella vita piena che faceva, quella forza di continuare a produrre idee e
prototipi, quasi incurante del successo commerciale e industriale.
E’ stato una di quelle tante
personalità geniali che la nostra era dalla cultura in perenne fuga dalla
realtà non si cura di ricordare. La nostra cultura essenzialmente e colpevolmente
succube del mito del professorone di letteratura o diritto sarà sempre
maggiormente propensa a dedicare una via o una piazza a qualche oscuro
cattedratico appena al di sopra del burocratico topo da biblioteca o, peggio ancora,
pervenuto a sì grande posizione con tristi maneggi e compromessi, che ai suoi
più geniali cittadini che applicarono il loro genio per far grande le nostre
industrie e grande la nostra fama all’estero.
Fra i tanti brevetti e prodotti
di successo che hanno fatto della Saiag una grande multinazionale ci sono stati
anche quegli innovativi chiodi in gomma che hanno rivoluzionato (tra l’altro) i
fissaggi sulle autovetture. Il brevetto era Saiag ma l’idea veniva da quella sua
grande fantasia e da quella sua grande intelligenza.
Suo era anche il brevetto del
ballerino ottico. A mio avviso, di gran lunga il migliore sul mercato.
Mi chiesi di entrare in società
con lui e non potei accettare. Non accettai, non perché avessi dubbi su di lui
ma perché quello che non avrebbe funzionato ero io. Sapevo di non potere
garantire quell’entusiasmo, quella gioia e quella continuità, che in lui erano
naturali, perché già allora coltivavo peccaminosi pensieri sullo scrivere
romanzi e libri di filosofia. Ero dubbioso di me non di lui. Inoltre
m’innervosivo quando dovevo lavorare con strumenti inadeguati e detestavo
ricorrere a quella pazza fantasia e a quel pazzo bricolage che per lui
rappresentavano, invece, una sfida da accettare e da vincere con entusiasmo.
Sono riuscito a ridestare
l’attenzione su questo genio italiano? Dubito! La nostra cultura non è
assolutamente attrezzata per accettare certe gerarchie culturali.
In ogni caso rinnovo i miei
omaggi a questo grande uomo.
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