Chi governa la cultura governa la civiltà di un popolo. Inizia una serie di post a certificare la Caporetto della cultura italiana in mano a quelli che sanno tutto loro, sono solo colti loro, nascono colti, vivono intelligenti e colti e muoiono colti. Di quelli che votano con la testa e non con la pancia. Di quelli artisticamente prolifici come i muli. Di quelli che non secernono pensiero ma son o belli, bravi, colti, educati, intelligenti mentre il resto del mondo è barbarie e feccia.
Società civile e musica. prima parte.
In una
intervista al giornale la
Stampa del 7/1/17 di Sandro Cappelletto a Peter Gelb, da 11
anni general manager del Metropolitan di New York, conferma che le nostre idee sull'opera lirica non sono affatto strampalate. “Il vostro Budget annuale” ci
informa “è di 300 milioni di dollari. La metà proviene dai biglietti, dalle
vendite del negozio, dai cinema. L’altra metà da donazioni individuali o di
grandi compagnie.” Nessun contributo dallo stato, dunque, o della regione o del
comune da parte di un teatro che produce ogni anno 25 opere per un totale di
225 serate. Chiara è anche la sua risposta sull'opera dei registi. Alla critica
di non essere innovativi, risponde “Non mi piace chi deostruisce il linguaggio
dell’opera, chi nega il piacere della trama. Non riconosco ai registi il diritto
di distruggere la vicenda di un’opera”
Sui teatri Italiani è parco ma pungente: “Non seguo molto (le loro vicende) So che sono sempre impegnati a chiedere soldi allo Stato. E c’è chi tarda a pagare artisti e collaboratori… Noi abbiamo i migliori cantanti del mondo e paghiamo regolarmente cachet e stipendi.”
Sui teatri Italiani è parco ma pungente: “Non seguo molto (le loro vicende) So che sono sempre impegnati a chiedere soldi allo Stato. E c’è chi tarda a pagare artisti e collaboratori… Noi abbiamo i migliori cantanti del mondo e paghiamo regolarmente cachet e stipendi.”
La
situazione dei teatri italiani è pessima. Genova non riesce a pagare gli
stipendi. Il sistema operistico denuncia 400 cause di lavoro pendenti e 60
esuberi fra Bologna e Firenze.
Del
resto, ci spiega in un articolo sul giornale La Stampa
Alberto Mattioli (1/11/ 16), tante realtà in provincia
sorprendono per successo e frugalità. Mattioli è addirittura, non solo pungente
ma sarcastico quando scrive “Centenario della morte di Paisiello. Quasi nessuno
dei grandi teatri se l’è ricordato (ammesso che lì qualcuno sappia chi era
Paisiello). L’opera Giocosa di Savona sì, e ha presentato
un’accettabilissima produzione della Nina
o sia la pazza per amore, un capolavoro che ha fatto la storia dell’opera
ma non entra quasi mai nella cronaca esecutiva.”
Quanta
amarezza e quanta voglia di pungere, quanta voglia di mettere in evidenza
l’ignoranza che domina nei nostri teatri d’pera!
A
Torino, viene riconosciuta una gestione ottima, cosa di cui l’amministrazione
mena gran vanto, ma quando si vanno a leggere i bilanci si scopre che su un
totale di bilancio di 38.000.000 il contributo statale è stato di 14.100.000
euro, quello regionale di 2.500.000, quello comunale 4.000.000, ossia
complessivamente lo stato, in varie forme, finanzia 20.500.000 dei 38.000.000
messi a bilancio.
Più del
50%. Alla faccia della buona amministrazione! E del tanto decantato pareggio.
Ci
chiediamo anche se e quanto abbiano aiutato le fondazioni S. Paolo e CRT, perché
anche quelli sono soldi pubblici, soldi nostri. Ci chiediamo se tra i donatori,
per completare il cerchio magico dello spreco, non ci siano società monopoliste
comunali, ci chiediamo se il palazzo dell’opera paga un affitto e il motivo di
questa domanda lo chiariremo. Tutto ciò per una decina di produzioni o poco
più. Evviva la buona amministrazione!
In
nessun paese esistono 14 fondazioni liriche che sulla carta pensano di giocare
in serie A. Sovrabbondante e dispendiosa organizzazione “culturale” che non
esiste nelle ben più ricche e colte Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, e
Giappone, né tanto meno negli Stati Uniti dove i principali teatri a cominciare
dal Metropolitan, come sopra indicato, vivono grazie ai mecenati privati e agli
incassi al botteghino.
Il
passato ci dice che quei figli di puttana, quegli intellettuali del cazzo,
dirigenti e amministratori di fondazioni liriche, sforavano i budget con
tranquillo menefreghismo, perché alla fine lo stato, ossia noi, ripianava.
Loro, quei parassiti, spendevano, si riempivano le tasche e gestivano il
potere. Potete tranquillamente giurare che quegli stessi parassiti sono fra
coloro che oggi bombardano di insulti i cosiddetti populisti ignoranti.
Negli anni novanta ci racconta Sergio Cappelletto su La
Stampa del 3/8/ 2016, si viaggiava al ritmo di 1,2 miliardi di passivo al mese
e il sovrintendente Paolo Cresci pigliava per il culo l’ancora silente
maggioranza silenziosa non ancora populista, dicendo – Mica li ho inventati io
i deficit” “Il partito della spesa pubblica, scrive Cappelletto, fortissimo
allora come adesso, applaudì”. Come non diversamente oggi applaude e loda
l’amministrazione del sindaco PD Fassino che a Torino non asfalta le strade,
non pota gli alberi, abbandona le periferie a se stesse, ma finanzia a non
finire teatri, mostre, musei. Sfavillio tanto, cultura poca. Eppure ci dicono
le élite tutto per l’ARTE e la CULTURA, ma noi di arte e cultura ne vediamo ben
poca, vediamo invece perennemente un centro cittadino trasformato in uno
sfavillante albero di natale. Poca arte, poca cultura e tanta dispendiosa e
sfavillante esteriorità.
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