La pressione selettiva agì sui gruppi e,
attraverso questi, sui singoli. Le varianti incapaci di accettare la
collaborazione o di collaborare non sopravvissero. Non sopravvisse il singolo individuo percepente tanto caro ai filosofi ma l’uomo sociale, l’uomo
bifronte capace di divenire parte di un organismo-gruppo efficiente.
Per l’interagire e l’agire per il
successo, che non fu ovviamente limitato alla caccia, ma che si estese, più in
generale, alla sopravvivenza, fu fondamentale il formarsi di una serie di
comportamenti che si esprimevano e concretizzavano in azioni coordinate di
collaborazione in condizione di parità e in operazione di subordinazione,
decisione, comando, con stabilizzazione del concetto politico di organigramma.
Questa interazione di soggetti in contrapposizione/armonia fra loro si
caratterizza come attività politica.
Gli individui accedevano alla varie
posizioni secondo leggi emerse da quell’interagire di sopravvivenza. Lotte
politiche quindi! Esibizioni, valutazioni, duelli che seguivano le leggi
esistenti per accedere alla scala gerarchica, lotte politiche che contestavano
le gerarchie e, più in generale, le leggi generatrici di quelle gerarchie.
Interazione fra uomini, interazioni di
valutazione, interazioni di resistenza, di contestazione, di difesa; creazione
di nuove forme, elaborazioni concettuali e linguistiche che dovevano
sopravvenire con l’operare sociale lungo il percorso di sopravvivenza nella
convivenza.
Prima di parlare col linguaggio, così
come lo conosciamo, gli uomini interagivano in maniera comunicativa fra loro e
continuavano a interagire succedendosi nelle generazioni tra i vincoli e i
pericoli dell’ambiente. La pressione selettiva s’esercitava sui singoli e sulle
tribù dove la linfa vitale aggregante e salvifica, tanto dei singoli come
dell’organismo-gruppo, era proprio la cultura. Dal trattamento, alla
divisione del cibo, dall’organizzazione della caccia all’identificazione e
comunicazione dei pericoli, dall’acquisizione delle conoscenze, alla loro
trasmissione. Tutte queste attività contrassegnavano la cultura con il senso generale di sopravvivenza.
L’evoluzione, la storia biologica e
culturale dell’uomo non sono tutte ugualmente riducibili al senso
fondamentale legato alla sopravvivenza? A mio parere la risposta è
In quanto altro dal sopravvivere
la riserva ha un senso connesso al vivere, non all’ottusamente ciecamente
sopravvivere, ma al vivere in comunità come individuo singolo e mortale. In
quanto tale, la riserva di senso è connessa al finito, al limitato, al senso
storico che si storicizza nelle storie dei mortali.
Riserva di senso
Anche se pressione selettiva ed evoluzione agiscono
in maniera molto complessa, esse vengono spesso sbrigativamente ridotte a uno
schema secondo cui:
1) variazioni individuali del codice genetico
sopravvengono in maniera casuale,
2) su queste mutazioni l’ambiente seleziona le
variazioni capaci di sopravvivere e trasmettere le mutazioni.
Pur consci della semplificazione non ci scosteremo
da questa versione elementare perché sufficiente allo scopo. Una teoria più
complessa, più scientifica complicherebbe solo la discussione senza mutare i
risultati a cui si intende pervenire, che riguardano esclusivamente un concetto
che identificheremo fin d’ora come Riserva di significati
E’ evidente che variazioni favorevoli
alla sopravvivenza, sopravvennero e continuano a sopravvenire, a strutturarsi,
a coordinarsi con organi e funzioni, in maniera tale da risultare, nello stesso
tempo, altamente funzionali alla sopravvivenza nella sua funzione fondamentale
ma del tutto estranee ad essa per altre funzionità rese possibili dall’avvenuto
strutturarsi delle funzioni vitali.
Per meglio comprendere si può pensare,
ad esempio, al complesso al complesso delle dita, delle mani e delle braccia
con relativi snodi e articolazioni delle dita, del polso, del gomito e della
spalla, che certamente furono premiate dall’evoluzione del primate uomo, perché
lo dotarono di capacità vitali quali arrampicarsi, cacciare, raccogliere
frutti, difendersi, ecc.
La pressione evolutiva premiò queste
capacità. Nondimeno quelle stesse mani, quelle stesse articolazioni delle mani,
del polso, del gomito, della spalla, capaci di coordinarsi così bene fra loro,
sono quelle stesse che gli permettono di suonare la chitarra, il violino, la
fisarmonica ed altri strumenti musicali. Sono quelle stesse che gli permettono
di scrivere, che gli permisero nel passato di produrre suoni sfregando corde,
battendo tamburi traendone e apportando piacere al gruppo, alla tribù, al
singolo.
Naturalmente noi non possiamo
sensatamente affermare che l’evoluzione premiò le estremità prensili perché permettevano
di produrre una molteplicità di suoni, sfregando o pizzicando delle corde tese
e neppure che le premiò perché permisero di costruire strumenti musicali.
Pensiamo alle memorie e al software
necessari per far girare un programma sofisticato come Word e a quanti altri
programmi si possono far funzionare con quello stesso hardware e con quello
stesso software. Se immaginiamo che Word sia A, gli altri programmi possibili
B, C, D, eccetera, allora possiamo immaginare che ad un certo punto dell’evoluzione
la capacità A si sia dimostrata vincente e selettiva, trascinando con sé anche
le potenziali capacità B, C, D, ecc., anche se del tutto indifferenti per la
sopravvivenza.
La pressione selettiva premiò senz’altro la capacità di
programmare, di escogitare soluzioni, di superare difficoltà e pericoli, di
risolvere problemi sempre più complessi e difficili. Tutte queste capacità
sopravvennero e furono premiate sia in campo mentale, dove la capacità di
sostenere programmi di calcolo, riconoscimento, decisione ecc., presuppone
l’esistenza di strutture celebrali adeguate, con memorie, connessioni e
dimensioni adeguate ai programmi, sia in campo più specificamente materiale
(abilità manuali, ecc.) creando così possibilità di abilità manuali e
programmi capaci di utilizzare queste capacità sia in funzione di sopravvivenza
che con significati del tutto diversi.
Possiamo allora, almeno
provvisoriamente, concludere che in noi si sono stratificate surplus, riserve,
capacità, che potremmo indicare come riserve di significato, delle quali
la pressione selettiva dell’evoluzione non è stata il diretto attore.
L’evoluzione, la storia biologica e
culturale dell’uomo non sono tutte ugualmente riducibili al senso
fondamentale legato alla sopravvivenza. Il senso di azioni, passioni,
comportamenti non è riconducibile unicamente al senso primario di
sopravvivenza, tutta la complessa articolazione dei desideri con tutte le
relative connessioni non è unicamente riconducibile al senso primario del
sopravvivere-
In quanto altro dal sopravvivere
la riserva ha un senso connesso al vivere, non all’ottusamente ciecamente
sopravvivere, ma al vivere in comunità come individuo singolo e mortale. In
quanto tale, la riserva di senso è connessa al finito, al limitato, al senso
storico che si storicizza nelle storie dei mortali.
Si è parlato delle articolazioni delle mani e delle
braccia che ci rendono in grado di suonare strumenti a corda, di scrivere, di
battere a macchina, di costruire quegli stessi strumenti, ma il fenomeno lungi
dall’essere limitano a qualche funzione è tanto vasto da investire tutto il
nostro vivere quotidiano
Con le mani costruiamo utensili funzionali alla
sopravvivenza ma anche zufoli, trombe, flauti che poi suoniamo non solo con le
mani ma anche con la modulazione del fiato. L’uso combinato dei due mezzi ci
permette di alzare e abbassare il volume, di modulare le note e gli accordi,
consentendoci di emettere note e suoni isolati, note e suoni coordinati in un
sistema di contemporaneità e di successione: canti, sinfonie, concerti, ritmi,
musica da ballo, ecc. Sia il ballo che il canto avvengono articolando l’uno la
voce e l’altro le mani, le gambe, il corpo e le braccia. Benché, braccia, corde
vocali polmoni siano tutti organi vitali, altrettanto non si può dire di loro
prodotti come il ballo, il canto, il suono degli strumenti a fiato, i concerti,
le sinfonie. Analoghe considerazioni si potrebbero fare in relazione alla
pittura, alla scultura, alla composizione di poemi, liriche, romanzi, ecc.
Abbiamo dunque tutto in insieme di abilità,
possibilità, attività connesse alla sopravvivenza e un’altra serie di abilità,
attività, potenzialità che ci derivano da quella riserva indicata come riserva
di potenzialità, che non è oggi, come non è stata in passato, legata alla
sopravvivenza e che non trae oggi come nel passato il proprio senso da questa.
Suonare, comporre, cantare, scrivere poesie o
romanzi, disegnare e commentare vignette, fare teatro non sono funzioni
necessarie a sopravvivere o, per lo meno non lo sono e non lo sono state in un
senso così universale e totale come il respirare, il cibarsi, il coprirsi, il
lavorare per procurarsi cibo, vestiario, cure per le malattie, cibo per i figli
ecc. e, soprattutto, non sono state determinanti per
la nostra sopravvivenza in quanto uomini. Lo sono state in un senso secondario
poiché il moto, la distrazione, il riposo, l’evasione si sono, a loro volta.
dimostrate salvifiche e la selezione ha premiato il riposo e l’evasione Ma non
hanno trovato nel loro sviluppo mai un legame diretto né sono state progetto
vitale nello steso senso con cui venivano costruite le armi o studiate le
strategie di caccia. Il loro senso non è inserito nella mappa delle funzioni
di sopravvivenza se non in maniera sussidiaria.
Dunque le mani, il sistema vocale, il sistema
motorio il nostro sistema di riconoscimento e decisione, il nostro vedere,
pensare, interfacciarsi, così fondamentali per la nostra sopravvivenza,
consentirono contemporaneamente operazioni straordinarie come il canto, la
narrazione, la raffigurazione, la danza. Consentirono in altre parole anche il
procedere di quell’operare denominato artistico, che ha come prodotto duraturo
le opere d’arte.
E certamente dovette apparire come fantastico e meraviglioso,
magico per i singoli esseri mortali questo vivere diversamente, questo vivere
rilassati o eccitati diversamente rispetto al quotidiano impegno di
sopravvivenza, questa diversificazione dall’Essere costruito dalla selezione,
quell’agire non necessario, non per la sopravvivenza ma per se stessi e per
altro. Un magico distrarsi e uscire dal mondo in una operatività/partecipazione
che non era quella dell’essere vissuti dal soffocante, ansioso, implacabile
abbraccio dell’Essere per sopravvivere.
L’uomo si
diverte e gioca in età matura al di là del significato salvifico che hanno, ad
esempio, il gioco, la corsa, la lotta per i giovani apprendisti della vita.
Conosce il piacere di raccontare e di ascoltare racconti che non sono solo
notizie o informazioni, che vanno al di là del racconto informativo, che non
ricoprono ruoli salvifici e parlano di uomini e donne del tutto inventati. E
ancora suoni e sequenze, suoni e canti che non sono solo religiosamente
salvifici, che non sono solo segnali o cori di caccia o di guerra, ma canti da
godere per altro, da cantare per altro: per festeggiare, per gioire, per nessun
altro motivo che non sia il cantare stesso, l’ascoltare e il godere gli effetti
ritmici, melodici, piaceri che stimolano a loro volta l’inventiva e la
creatività, dando autorità e prestigio a chi inventa e interpreta. Non a caso
nascono gli dei della musica, nascono miti come quelli di Orfeo, cantore capace
di commuovere le pietre col suo canto. La dimensione è mitica e sacrale ma non
riducibile alle funzioni sacrali emerse come funzioni salvifiche e capaci di
assegnare agli eventi quella dimensione mappale di sopravvivenza.
Gli dei della musica, i nuovi miti come Orfeo celebrano il
godimento poetico, artistico, musicale nella sua bellezza in sé. Non solo canti
religiosi per Marte o Giove per invocarne l’aiuto, placarne l’ira e neppure
canti alla Dea delle Messi, in cui si canta con significati e fini altri che il
proprio godere di quei canti, di quei componimenti.
L’autonomia
di senso presuppone un mondo chiuso di senso, in misura tale che, se viene
cercato il senso di una situazione o di un cambiamento questo possa essere
trovato tanto nella storia di quel mondo che nella configurazione di
provvisoria stabilità assunta dal mondo. Questi mondi sono chiusi nel senso di
Cassirer (non in riferimento ai mondi come condizioni logiche, trascendentali
della comprensione del mondo, ma in un senso più fluttuante di percezione
autonoma di vita). Queste brevi considerazioni se non altro ci e qualcosa in più sia
sull’indipendenza e sull’autonomia dell’arte sia sulla autonomia di
significato delle opere artistiche di cui molti parlano ma senza darne alcuna
ragione e motivazione. Ci dicono che l’arte è auto significante che lo è di per
sé e su queste affermazioni si fa molta melina senza aggiungere alcunché di
significativo. Ma un qualcosa di più si può dire e questo qualcosa dice che un
agire può trarre il suo significato direttamente dal senso di sopravvivenza,
sia indirettamente e in maniera mediata, come sopra si è delineato, in misura
tale da potere parlare di senso per “Altro” di senso “Altro” di una pluralità
di sensi altri pervenuti ad autonomia di senso e di mondo di senso mediante
emancipazione dalle proprie origini e dalle proprie cause.
Doverosamente aggiungo che parte delle considerazioni esposte sono presenti in un mio articolo sulla rivista Dialettica e filosofia.
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