Intervistata dal Giornale Cecilia Bartoli dichiara “Nei teatri italiani troppi privilegi:
vanno licenziati tutti”, “Se accetterei la direzione di un teatro
italiano? «A patto di poter licenziare tutti e ripartìre da zero. Probabilmente
la strada è proprio questa: fare un po’ di pulizia generale”.
Forse
ha ragione con l’esigenza di ripartire da zero. Forse sul suo giudizio influiscono l’enorme considerazione di cui
gode all’estero e la disattenzione di cui è oggetto in Italia.
Certamente
la visuale da cui Cecilia Bartoli guarda ai problemi della lirica italiana è di
parte. Lei fa parte di quelle persone che dalla lirica trae fama, ricchezza e
vita brillante. Fama e ricchezza e vita brillante che a parte qualche eccezione
sono pagate a caro prezzo anche da coloro ai quali la lirica, o più in generale
la cosiddetta musica classica operistica, non piace, a favore di coloro che
nella lirica lavorano e dalla lirica ricavano emolumenti generosi. L’opera come
dice un ministro italiano dà da mangiare ma non certo a tutti. A me come a
molti altri, che amano la lirica ma non lavorano nel campo e non frequentano i
teatri, la lirica non solo non dà da mangiare ma esige voracemente e
incessantemente danaro che pesca delle nostre tasche. Io e quelli come me
devono dirlo chiaro: coloro che frequentano i teatri lirici e di prosa sono
parassiti: metà, più di meta del loro biglietto lo paghiamo noi. Perché
dovremmo continuare a farlo? Se lo paghino loro come pagano, i pomodori, gli
aperitivi, i taxi e via dicendo, paghino anche gli spettacoli senza chiedere i
nostri soldi.
Il
problema degli enormi e abnormi costi economici della lirica e del teatro di
prosa ingenerale è scandaloso e la maniera con cui addiviene ancora più
scandalosa. Forse se i cosiddetti artisti che la attuano sarebbero meno esosi e
meno pronti a reclamare e reclamare soldi e finanziamenti, brandendo l'inno
dell' arteartearte, culturaculturacultura contro una supposta barbarie, contro
una supposta ignoranza di chi si scandalizza di fronte a questa situazione e
che non vuole più pagare per i loro sollazzi.
Il regista Strehler
Anni fa,
l’Italia meloname, pronta a gustarsi in televisione il Don Giovanni di Mozart, fu schiaffeggiata e oltraggiata dal regista
Strehler che rifiutò alla RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA la possibilità di
trasmettere l’opera. La motivazione addotta da questo novello dio della regia
fu che i fari della tivù rovinavano la sua
regia, il suo Don Giovanni. La tivù trasmetteva il Don Giovanni, quello composto da Mozart, non quello inesistente,
composto da Strehler, ma per il regista, nelle dichiarazioni e nelle motivazioni,
tranquillamente accettate e ripetute da giornalisti e commentatori, era il suo Don
Giovanni.
Naturalmente
Strehler intendeva con espressione semplificata il Don Giovanni di Mozart con la sua regia, ma è significativo che
tale semplificazione sia stata tranquillamente accettata. Ancor più
significativo che abbia avuto un potere così assurdamente grande da bloccare la
trasmissione. Per chi poi? Per un teatro molto probabilmente composto da Vip,
da invitati, da megafunzionari, da personaggi del Gossip e da politici. Tutta
gente ben pronta a brandire con ostentata solennità la parola “Arte” a spese
nostre. Un brand l’evento opera, un brand l’evento opera alla Scala, un brand la Regia di Strehler!
Il potere
estetico manifestò allora la sua potenza, appoggiandosi a una potente ed esosa
organizzazione "culturale" capace di imporre se stessa, le sue
gerarchie, le sue cariche, i suoi stipendi. Una gerarchia esosa, pretenziosa,
perpetuamente mobilitata a chiedere soldi e mammelle di stato a cui attaccarsi,
un'organizzazione perpetuamente in stato di esibizione dei propri meriti
artistici, presentati come preziosi balsami di dignità civile, come ultimi
salvifici bastioni contro la barbarie e in difesa della civiltà, contro la
società del denaro e dell'ignoranza.
Il regista Strehler
Anni fa, l’Italia meloname, pronta a gustarsi in televisione il Don Giovanni di Mozart, fu schiaffeggiata e oltraggiata dal regista Strehler che rifiutò alla RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA la possibilità di trasmettere l’opera. La motivazione addotta da questo novello dio della regia fu che i fari della tivù rovinavano la sua regia, il suo Don Giovanni. La tivù trasmetteva il Don Giovanni, quello composto da Mozart, non quello inesistente composto da Strehler, ma per il regista, nelle dichiarazioni e nelle motivazioni, tranquillamente accettate e ripetute da giornalisti e commentatori, era il suo Don Giovanni.
Naturalmente Strehler intendeva con espressione semplificata il Don Giovanni di Mozart con la sua regia, ma è significativo che tale semplificazione sia stata tranquillamente accettata. Ancor più significativo che abbia avuto un potere così assurdamente grande da bloccare la trasmissione. Per chi poi? Per un teatro molto probabilmente composto da Vip, da invitati, da mega-funzionari, da personaggi del Gossip e da politici. Tutta gente ben pronta a brandire con ostentata solennità la parola “Arte” a spese nostre. Un brand l’evento opera, un brand l’evento opera alla Scala, un brand la Regia di Strehler!
Il potere estetico manifestò allora il suo potere appoggiandosi a una potente ed esosa organizzazione "culturale" capace di imporre se stessa, le sue gerarchie, le sue cariche, i suoi stipendi. Una gerarchia esosa, pretenziosa, perpetuamente mobilitata a chiedere soldi e mammelle di stato a cui attaccarsi, un'organizzazione perpetuamente in stato di esibizione dei propri meriti artistici, presentati come preziosi balsami di dignità civile, come ultimi salvifici bastioni contro la barbarie e in difesa della civiltà, contro la società del denaro e dell'ignoranza.
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