Da
giovane vedevo a Sanremo i cantanti sorretti da una orchestra costosissima,
quasi come un’orchestra classica. Poi arrivarono i giovani beat (incivilmente
sporchi e cappelloni) che
s’inventarono i complessi. Quattro, cinque artisti che suonavano strumenti
elettronici, che provavano nelle loro cantine, e che, grazie all'amplificazione elettronica, potevano farsi udire da un mare di persone.
Fu una
grande innovazione perché
riuscirono, senza costi stratosferici,
a esprimere la loro musica.
Oggi
quei complessi pionieristici sono in grado di fare ascoltare la loro musica da
migliaia di persone senza gli enormi costi, i costi stellari, dei sistemi
tradizionali. Non solo non chiedono soldi alle mammelle di stato ma ne danno e hanno contribuito enormemente al
progresso tecnologico della strumentazione musicale elettronica e della
diffusione di piccoli e grandi volumi.
La musica istituzionalizzata, la cosiddetta classica, la
finanziatissima musica classica e operistica, non ha imparato questa lezione e
ha, invece imboccato un linguaggio difficile, elitario, compreso solo da
cerchie ristrette. Un linguaggio sempre più privato che si avvia al mutismo?
Wittgenstein ci racconta che se parli un linguaggio privato, nessuno ti
capisce. Le prime avanguardie non producevano solo nuovi stili, nuovi
linguaggi, nuove immagini ma si affannavano. con articoli, polemiche,
manifesti, a illustrare questi loro nuovi linguaggi proprio per farsi capire,
per trasformare il loro nuovo linguaggio da linguaggio privato compreso dai
soli adepti in un linguaggio pubblico comprensibile ai più.
Qualcosa
di simile era già successo nel passaggio dall’alto medioevo al rinascimento e
una lezione ci può venire da quegli eventi di transizione. La polifonia era
diventata ormai così incredibilmente
complessa e sofisticata da richiedere non solo molta dottrina ma un’intensa
consuetudine d’ascolto per poter cogliere le singole melodie, il loro
intrecciarsi , il loro scontrarsi. Tanto complessa da essere diventata
incomprensibile alla pressoché totalità dei fedeli.
Quella
era la musica cantata e ascoltata nelle chiese più “in”, ma non certo quella
del popolo. Trovadori e trovieri
corrispondenti agli odierni cantautori componevano e cantavano non polifonie in
latino ma monodie nella lingua compresa dal popolo. Il protestantesimo comprese
quella lezione e non solo quella. La vecchia polifonia si estinse e la musica
popolare generò quella grande stagione di musica che comprende Mozart, Wagner,
Verdi.
Dopo
circa altri quattro secoli, le avanguardie hanno sconvolto il nuovo ordine
tonale. L’atonalità, la dodecafonia e ancora e ancora. Oggi è difficile negare
che, come accadde allora, la musica “seria” sia musica per iniziati. Morte
dell’arte? Neanche per sogno! I nuovi Mozart forse non nasceranno dalla musica
colta, ormai muta, ma dalla musica popolare, dal Jazz, dal Gospel, dal Rock o
da contaminazioni fra la musica popolare e la musica atonale e dodecafonica. Sì,
anche la dodecafonica: possiamo dire ciò che vogliamo ma è difficile dire che
il Wotzeck di Alban Berg e Mosè e Aronne di Schoenberg non siano grandi
capolavori.
La sensibilità popolare
rinnoverà non solo la musica ma tutta l’arte dal disastro a cui la stanno
portando le élite. Elite che da una parte finanziano (coi nostri soldi) in
tutti i modi i teatri d’opera coi loro registar, i loro directstar, che conducono e “regiano” opere di cartellone secondo una contabilità che dovrebbe
almeno far sorgere la domanda “Ma perché quell’enorme numero di cittadini che
non assiste a nessuna opera lirica, che non frequenta teatri, dovrebbe pagare
per l'élite che le frequenta?”
Altre
considerazioni possono aiutarci a rispondere a queste domande.
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