L’evento Strehler è
significativo. Significativo per lo
stato della cultura musicale occidentale e ancor più per quello della musicale
italiana, per la quale, soprattutto per la forma “opera lirica”, si può parlare
di una vera e propria Caporetto. Il
paragone con la prima parte del novecento, con l’ottocento e con i secoli
precedenti è umiliante. L’opera musicale è stata inventata in Italia e,
dall’Italia si è diffusa in tutto il mondo. In quei secoli i teatri italiani
rappresentavano le opere di autori italiani e stranieri. Ancora per tutto
l’ottocento e il primo novecento gli Dei della musica erano i compositori,
erano Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Wagner, Mascagni, Puccini. Non i Registar, non i Conductstar anche se molti compositori erano propensi ad
appoggiarsi ai grandi cantanti fino al punto da comporre, tenendo conto delle
capacità vocali degli interpreti. Ma erano loro a decidere, loro a comporre e
lo facevano tenendo conto dei vincoli e dalle possibilità degli interpreti.
Oggi non è più così, oggi gli autori non vengono più rappresentati e i teatri
pescano sempre nel solito repertorio dell'Ottocento e del primo novecento.
Colpa
loro o colpa della società cultura CULTURA-CULTURA-CULTURA - ARTE-ARTE-ARTE,
che di parole e di retorica ne fa a bizzeffe ma di arte e cultura né fa ben
poca? Poca e di tipo parassitario. Pesca dal passato, non produce né arte né
cultura ma in compenso produce spese, emolumenti e debiti. Montagne di debiti.
La cultura e l’arte danno da mangiare come dice il ministro? Forse. Forse a
qualcuno; ma non certo al cittadino italiano, che quel’"non arte e non
cultura" deve finanziare a non finire.
I nuovi
Dei non sono i Verdi, i Bellini, i Wagner ma i registar e i conductstar: gli
Abbado, i Muti, gli Strehler, gli Zeffirelli, il che è come dire, per fare un paragone letterario forse non preciso
ma illuminante, che gli Dei letterari non sono Balzac, Tolstoj, Borges, Proust,
Joyce, Grass ma i loro oscuri e sconosciuti traduttori.
Siamo
alla frutta, siamo alla Caporetto. Una frutta e una Caporetto, in un paese che
l’opera lirica l’ha inventata e prodotta per generazioni e che ora non inventa
più nulla; in un paese che copre di denaro i suoi imbelli registar e i suoi
imbelli direct-star, meri “traduttori” del genio altrui e che di quel genio
inventivo non ne possiedono neppure un grammo.
La
società CULTURA – CULTURA - CULTURA – ARTE - ARTE - ARTE ama parlare di
turismo, di cultura, di brand italiano, di giacimenti culturali colossali, di
riserve intonse che opportunamente sfruttate potrebbero farci vivere di turismo
culturale, farci mangiare con il turismo culturale, affermazione assolutamente
falsa quanto quella che si può vivere dli agricoltura e di turismo. Si guardi
il veneto, forse la regione potenzialmente più forte al mondo come possibilità
turistiche e agricole con i suoi vini, con la sua agricoltura, con le sue
dolomiti, le sue Alpi, i suoi campi da sci, le sue spiagge, i suoi tesori
culturali di Venezia, Verona, della ville venete. Ebbene con tutte queste
ricchezze agricole, paesaggistiche, culturali penso che nessun veneto dotato di
sale in zucca penserebbe che agricoltura e turismo sono sufficienti al suo
benessere. Stesso ragionamento per Emilia Romagna e Toscana
Ma
Torniamo ai nostri favolosi giacimenti culturali e agli sforzi che la Cultura
fa per aprire questi colossali giacimenti, queste fantomatiche miniere, che
sicuramente esistono, ma sono e rimangono chiuse. A cominciare da Palestrina,
da Monteverdi, da Cavalli, per tutto il seicento, il settecento, l’ottocento il
percorso è costellato di grandi opere e di grandi autori ma in quale repertorio
o teatro o stagione avete mai visto capolavori assoluti come, ad esempio, il Jefte di Carissimi o il S. Giovanni Battista di Stradella che
non trovano posto neppure nei cartelloni dei piccoli teatri? Loro sono e
rimangono sconosciuti, mentre le fameliche coppie Conductstar e Registar
imperano e continuano a poppare generosi pasti dalle ormai asfittiche mammelle
di stato per produrre sempre, non nuovo “cibo culturale”, ma nuovi deficit,
nuovi debiti e nuovi esibizioni di CULTURA–CULTURA-CULTURA, ARTE-ARTE-ARTE. La
cultura dà da mangiare? A loro sicuramente sì, a noi no.
Decadimento
artistico e culturale, mammelle di stato e autori che non vengono
rappresentati. Chi non ha speranza di essere rappresentato non produce, non
compone, si dedica ad altro, abbandona lo sforzo creativo e cerca vie nuove
come l’insegnamento o la direzione. Comporre vuol dire spremitura dolorosa,
fatica, tante fatica che può produrre solo delusioni. Colpa loro che non
producono arte ed emozioni o della superficiale società CULTURA-CULTURA-CULTURA,
ARTE - ARTE – ARTE, quella dei Registar, dei Conductstar, loro e le loro
bacchette magiche da fatine di Pinocchio, degli infiniti festival, dei teatri
stabili e instabili, delle produzioni vecchie e nuove, dei debiti vecchi e
nuovi che s’accavallo ai vecchi, incapaci di creare un ambiente artistico
culturale favorevole all'esplosione creativa? Certamente anche le buone radici
muoiono se il terreno è inadatto e se non le si nutre.
La
questione è resa ancor più complessa dall'opposizione musica colta/musica pop e
dall'opposizione tradizione/innovazione. Non è un caso che la frattura si sia
generata e sia diventata sempre più profonda con l’addivenire delle avanguardie
all’inizio del secolo scorso. Sicuramente però la cantilena corale
CULTURA-CULTURA-CULTURA, ARTE-ARTE-ARTE continua a risuonare assordante. A
Torino, la nuova Taurini artistica, turistica, radical chic, perfino i muri
delle case ormai ne sono ormai impregnati, insieme con la puzza dei debiti che
ha generato e continua a generare.
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