lunedì 13 gennaio 2020

10 L’evento Strehler e il suo significato Capitolo 10 de il Manifesto degli incivili


L’evento Strehler è significativo. Significativo per lo stato della cultura musicale occidentale e ancor più per quello della musicale italiana, per la quale, soprattutto per la forma “opera lirica”, si può parlare di una vera e propria Caporetto. Il paragone con la prima parte del novecento, con l’ottocento e con i secoli precedenti è umiliante. L’opera musicale è stata inventata in Italia e, dall’Italia si è diffusa in tutto il mondo. In quei secoli i teatri italiani rappresentavano le opere di autori italiani e stranieri. Ancora per tutto l’ottocento e il primo novecento gli Dei della musica erano i compositori, erano Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Wagner, Mascagni, Puccini. Non i Registar, non i Conductstar anche se molti compositori erano propensi ad appoggiarsi ai grandi cantanti fino al punto da comporre, tenendo conto delle capacità vocali degli interpreti. Ma erano loro a decidere, loro a comporre e lo facevano tenendo conto dei vincoli e dalle possibilità degli interpreti. Oggi non è più così, oggi gli autori non vengono più rappresentati e i teatri pescano sempre nel solito repertorio dell'Ottocento e del primo novecento.
Colpa loro o colpa della società cultura CULTURA-CULTURA-CULTURA - ARTE-ARTE-ARTE, che di parole e di retorica ne fa a bizzeffe ma di arte e cultura né fa ben poca? Poca e di tipo parassitario. Pesca dal passato, non produce né arte né cultura ma in compenso produce spese, emolumenti e debiti. Montagne di debiti. La cultura e l’arte danno da mangiare come dice il ministro? Forse. Forse a qualcuno; ma non certo al cittadino italiano, che quel’"non arte e non cultura" deve finanziare a non finire.
I nuovi Dei non sono i Verdi, i Bellini, i Wagner ma i registar e i conductstar: gli Abbado, i Muti, gli Strehler, gli Zeffirelli, il che è come dire, per fare un paragone letterario forse non preciso ma illuminante, che gli Dei letterari non sono Balzac, Tolstoj, Borges, Proust, Joyce, Grass ma i loro oscuri e sconosciuti traduttori.
Siamo alla frutta, siamo alla Caporetto. Una frutta e una Caporetto, in un paese che l’opera lirica l’ha inventata e prodotta per generazioni e che ora non inventa più nulla; in un paese che copre di denaro i suoi imbelli registar e i suoi imbelli direct-star, meri “traduttori” del genio altrui e che di quel genio inventivo non ne possiedono neppure un grammo.
La società CULTURA – CULTURA - CULTURA – ARTE - ARTE - ARTE ama parlare di turismo, di cultura, di brand italiano, di giacimenti culturali colossali, di riserve intonse che opportunamente sfruttate potrebbero farci vivere di turismo culturale, farci mangiare con il turismo culturale, affermazione assolutamente falsa quanto quella che si può vivere dli agricoltura e di turismo. Si guardi il veneto, forse la regione potenzialmente più forte al mondo come possibilità turistiche e agricole con i suoi vini, con la sua agricoltura, con le sue dolomiti, le sue Alpi, i suoi campi da sci, le sue spiagge, i suoi tesori culturali di Venezia, Verona, della ville venete. Ebbene con tutte queste ricchezze agricole, paesaggistiche, culturali penso che nessun veneto dotato di sale in zucca penserebbe che agricoltura e turismo sono sufficienti al suo benessere. Stesso ragionamento per Emilia Romagna e Toscana
Ma Torniamo ai nostri favolosi giacimenti culturali e agli sforzi che la Cultura fa per aprire questi colossali giacimenti, queste fantomatiche miniere, che sicuramente esistono, ma sono e rimangono chiuse. A cominciare da Palestrina, da Monteverdi, da Cavalli, per tutto il seicento, il settecento, l’ottocento il percorso è costellato di grandi opere e di grandi autori ma in quale repertorio o teatro o stagione avete mai visto capolavori assoluti come, ad esempio, il Jefte di Carissimi o il S. Giovanni Battista di Stradella che non trovano posto neppure nei cartelloni dei piccoli teatri? Loro sono e rimangono sconosciuti, mentre le fameliche coppie Conductstar e Registar imperano e continuano a poppare generosi pasti dalle ormai asfittiche mammelle di stato per produrre sempre, non nuovo “cibo culturale”, ma nuovi deficit, nuovi debiti e nuovi esibizioni di CULTURA–CULTURA-CULTURA, ARTE-ARTE-ARTE. La cultura dà da mangiare? A loro sicuramente sì, a noi no.

Decadimento artistico e culturale, mammelle di stato e autori che non vengono rappresentati. Chi non ha speranza di essere rappresentato non produce, non compone, si dedica ad altro, abbandona lo sforzo creativo e cerca vie nuove come l’insegnamento o la direzione. Comporre vuol dire spremitura dolorosa, fatica, tante fatica che può produrre solo delusioni. Colpa loro che non producono arte ed emozioni o della superficiale società CULTURA-CULTURA-CULTURA, ARTE - ARTE – ARTE, quella dei Registar, dei Conductstar, loro e le loro bacchette magiche da fatine di Pinocchio, degli infiniti festival, dei teatri stabili e instabili, delle produzioni vecchie e nuove, dei debiti vecchi e nuovi che s’accavallo ai vecchi, incapaci di creare un ambiente artistico culturale favorevole all'esplosione creativa? Certamente anche le buone radici muoiono se il terreno è inadatto e se non le si nutre.
La questione è resa ancor più complessa dall'opposizione musica colta/musica pop e dall'opposizione tradizione/innovazione. Non è un caso che la frattura si sia generata e sia diventata sempre più profonda con l’addivenire delle avanguardie all’inizio del secolo scorso. Sicuramente però la cantilena corale CULTURA-CULTURA-CULTURA, ARTE-ARTE-ARTE continua a risuonare assordante. A Torino, la nuova Taurini artistica, turistica, radical chic, perfino i muri delle case ormai ne sono ormai impregnati, insieme con la puzza dei debiti che ha generato e continua a generare.

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