Eco
Morto Eco si è scatenato un coro infinito di elogi. Il grande
filosofo, il grande semiologo, il grande narratore, il coraggioso modernizzatore della cultura italiana.
Pensiamo che una voce fuori dal coro non stonerà.
Eco, grande filosofo? Il suo glorioso Trattato di semiotica generale è sconcertante e noioso. Forse una
miniera di erudizione, per chi è lontano da quella disciplina ma un quasi zero
di pensiero. Il suo MSR Modello semantico
riformulato, sostanzialmente propone di passare, nella formulazione di una
semantica da associare al sintassi generativa di Chomsky, rispetto al modello proposto da Katz, e Fodor dall'orizzonte del dizionario, al quello dell’enciclopedia. Un proposta priva di ogni operatività e
puramente decorativa ma 420 pagine digeribili solo con massicce dosi di
bicarbonato.
Innovativa L’opera
aperta che può essere letto quasi come un manifesto di coraggio avanguardista.
Ma si resta senza fiato quanto poco si travasi da quel libretto al suo tradizional-polpettone Il Nome della rosa. Si stenta
a credere che uno stesso autore abbia scritto opere così contrastanti.
Schoemberg e Kandinsky espressero la loro arte in coerenza con le loro idee ma
non Eco. Altri aderirono concettualmente a una o più avanguardie per
successivamente ripensare il loro operare artistico tornando a una classicità
filtrata attraverso le loro precedenti esperienze. Carrà aderì al futurismo,
aderì alla pittura metafisica, dipinse quadri futuristi e metafisici, per poi tornare a una
nuova classicità. Non, però, una classicità banale ma una classicità poderosamente filtrata dalle precedenti
esperienze. Anche Sanguineti, attore come Eco della rivoluzione culturale del
’68, trovò sconcertante il contrasto e non aveva torto:
è difficile pensare che l’autore del Nome del Rosa sia lo
stesso intellettuale che aderì a quella rivoluzione culturale, che paragonava
Carlo Cassola a Liala. Apprezzare Schoemberg e la sua rivoluzione atonale e
dodecafonica non implica in ogni caso paragonare a una Lialata musicale la Madame Butterfly di Puccini. E
poi che significa espellere Liala dalla cultura, dall’arte come una schifezza?
Il carattere altezzoso e snob di Eco, quello stesso che scriveva Fenomenologia di Mike Buongiorno non si
smentiva. Quel paragone a Liala qualifica il movimento e aiuta a comprendere la
natura elitaria e snob del pensiero di Eco. Quello stesso Eco che poneva la sua
firma anche in odio al commissario Calabresi. Per non parlare delle decine di
firme sotto inutili, cervellotici, faziosi manifesti coi quali lui e altri
intellettuali tappezzarono i muri simbolici della cultura italiana.
Eco non è stato certo un pensatore teorico come Kant, come
Heidegger, come Sartre o come Croce. Non era portato alla filosofia teorica. La
sua intelligenza si aggirava molto più in basso. Si definiva studioso dei segni
dove, per altro, non ha lasciato grandi tracce se non quell’enfasi eccessiva
che lo caratterizzò sempre.
Debole come pensatore, Eco deve la sua fama ai suoi romanzi,
soprattutto, al Nome della rosa, col quale ha inventato l’esotismo medioevale. All’inizio del
secolo scorso i romanzieri dell’esotico si spingevano con la loro fantasia
ricostruendo in romanzi di splendenti turcherie in Oriente, Eco non viaggia
nello spazio ma nel tempo e al posto dei maghi, dei palazzi della novelle di
mille e una notte ci presenta le biblioteche fantastiche dei monasteri
all’interno di un romanzo investigativo. Un fascino subito raccolto dal mondo
del Cinema e proseguito con i romanzi di
Dan Brown col suo Codice da Vinci e
coi suoi mistery-esotici, non del medioevo ma dei vangeli, meglio se
apocrifi. Tutti romanzi quelli di Eco e di Dan Brown di grande successo, tutti ripresi dal cinema. Il bel Don Brown è salito ai piani alti anche
se non aiutato dalla cultura della società civile, anche se non multitaskin come Eco, anche senza la
potenza di fuoco dei piani snob. E’ strano che al Nostro non sia arrivato il premio Nobel, nonostante la sua fama e il suo pensiero radical chic.
Dei romanzi di Eco si legge spesso che sono intelligenti.
Che vuol dire intelligente? Il Rosso e il nero, Guerra e
pace sono romanzi intelligenti?Avete mai letto dell’attributo
“Intelligente” a un romanzo? Forse l’aggettivo si riferisce allo sfondo o al
contenuto culturale. Difficile dirlo ma nessuno parla della Divina Commedia come
di un’opera intelligente. I Promessi Sposi con il suo carico di storia è un
romanzo intelligente? Nessuno si sognerebbe di qualificare come opere
intelligenti, i romanzi di Stendhal, Tolstoj, Manzoni.
Visto che non si può parlare di arte o di gran romanzo, allora si parla, comicamente, di romanzo intelligente.
Mi viene spontaneo avvicinare Umberto Eco a J. P. Sartre e a
Bertrand Russell.
Eco non fu insignito del premio Nobel, Sartre sì, ma lo
rifiutò salvo poi, in via riservata, pentirsi e muoversi per accettarlo, Russell
fu insignito e accettò con piacere recandosi a Stoccolma e riuscendo
vigorosamente ad arrivarci dopo le note disavventure.
Sartre scrisse opere, opuscoli popolari, saggi filosofici,
novelle e romanzi, opere teatrali. Tra le sue opere narrative La Nausea
e, in parte, Il Muro mantengono
quasi intatto il loro appeal e i loro lettori, i romanzi successivi sono
entrati subito nel dimenticatoio, altrettanto è avvenuto per le opere
filosofiche L’essere e il nulla è un
mattone spesso incomprensibile e, contrariamente a ciò che sostengono i
manuali, con il suo essere in sé e l’essere per se è pensiero originale e non “nulla
di nuovo” rispetto a Heidegger. Si guardi all’essere in sé, bruto, amorfo, come descritto ne La Nausea e lo si confronti con l’essere linguaggio
poetico di Heidegger, che, del resto, prese subito le distanze da Sartre e dal
suo esistenzialismo.
Anche Sarte si occupò di tutto. Riformulo perfino il marxismo
e la psicanalisi.
Altrettanto prolifico e multiutility fu Beltrand Russell
attivo non solo in logica e in filosofia dove dialogò con Moore, con Bradley,
con Meinong, con il positivismo logico, con il pragmatismo. Dialogò di tutto: di logica di
educazione, di scuola, di politica, di religione, di morale. I suoi saggi, tra
i quali Perché non sono cristiano
divennero quasi dei Bestseller, promossi anche dalla sua accesa attività
politica che lo portò in prigione dove scrisse Introduzione alla filosofia matematica. Scrisse anche un libro di
racconti, Satana nei sobborghi, libri divulgativi come l’abc della
relatività e un’Autobiografia
illuminante sul percorso del suo pensiero, anche là, dove annota che, dopo
aver scritto un saggio poderoso come i Principia
Matematica si era potuto permettere di scrivere su ogni argomento anche con
leggerezza. Giustamente era certo che le sue stupidaggini non sarebbero caduto sotto nessun fuoco
incrociato. La profondità del suo pensiero era stata dimostrata in quel testo.
Tutti e tre questi autori non furono dei geni nelle loro specializzazioni,
Sartre e Russell coltivarono in alto e vissero tra i camosci, il Nostro Eco
s’accontentò di un pollaio. La sua filosofia non è né elevata, né originale, né profonda come quella dei colleghi ma un po’ di pensiero, mescolato a erudizione
c’è, e questo, in Italia, è già molto.
Indubbiamente ha svecchiato la cultura italiana ma, da buon radical chic, non ha esagerato.
Non è arrivata notizia di una sua protesta quando tre
professori abolirono il Bagaglino e
l'elitaria Tarantola, proveniente da quel club aristocratico che è la
banca d’Italia, abolì l’isola dei famosi.
Da giovanissimi le maestre ci dicevano studiate mica volete diventare degli Zulu. Poi ci venne giustamente insegnato che anche gli Zulu hanno una cultura,
che anche le più sperdute tribù della foresta amazzonica hanno una cultura con
l’unica grande eccezione di coloro a cui piacciono le tivù di Berlusconi. Eco
faceva parte di questa banda di intellettuali che non capirono l’evoluzione dei tempi. Il suo ibrido di cultura colta e popolare si è fermato ai fumetti, ma non, immaginiamo, ai fumetti di
Nembo Kid.
Il suo intervento fu provvidenziale per quell’elite che
parlava di Tomas Mann, di Sartre, di Joyce
ma di nascosto leggevano fumetti, romanzi rosa, romanzi gialli, considerate letture
indecenti e da occultare quando si frequentavano gli ovattati salotti
dei piani alti e nobili della cultura. Un sospiroanalogo a quello che accolse la
liberazione da parte di un intellettuale come Arbasino delle canzonette di
Sanremo. Ben più significativo e severo il richiamo agli intellettuali comunisti e snob da
parte di Togliatti.
Così il Nostro Eco si aggira fra l’alto e il basso, ma il
limite era già ben presente nella fenomenologia di Miche Buongiorno e, scrivendo L’Opera aperta poi II nome della rosa fu come se Scoemberg,
dopo aver predicato la dodecafonia, avesse composto Madama Butterfly.
Ma forse la vera natura di Eco nel suo brandeggiare fra alto
e basso si manifestò quando, da vero elitario snob, definì
imbecilli i commentatori dei social, proprio mentre l’Università di Torino gli conferiva l'ennesima laurea honoris causa in ‘Comunicazione e Culture dei Media’.
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