Turigliatto Franco, il tranquillo e non pentito “compagno”, che fece cadere Prodi
Con somma tranquillità e serenità fece cadere il pomposo
governo Prodi. Un governo che si era illuso di poter sopravvivere con un sol
voto di maggioranza, affidandosi ai senatori a vita, a quei senatori
democraticamente illegali che usurpano seggi e votano ciò che cazzo vogliono perché, in quella perfetta democrazia, nata dalla Resistenza, non devono rendere conto
a nessuno, tantomeno agli elettori. Lasciamo perdere! Il mio giudizio politico
su queste strane persone che accettano la nomina a senatori a vita è pessimo. Giustamente
Toscanini la rifiutò.
Franco abitava all’ultimi banco della terza fila con l’amico
Ranaboldo che si sarebbe poi laureato in Economia e Commercio. Allora erano
entrambi apolitici, il primo appassionato di Letteratura, il secondo
di Storia. Io, che leggevo molto, avevo con lui un rapporto privilegiato.
Ma, se io leggevo, lui divorava. Divorava racconti, romanzi, scrittori. Scorazzava
nell’ottocento russo, nel’ottocento francese, in quello inglese, passava
l’oceano e divorava la letteratura americana. Si spingeva in Svezia e Norvegia,
passava per Praga, approdava nel novecento italiano, divorava Svevo e
Pirandello. Da Joyce a Proust, a Sarte, a Balzac, a Tolstoj, a Dostoevskij con puntate nel settecento inglese e francese.
Io leggevo alla sera a casa, lui leggeva a casa e fuori casa,
di sera, di giorno, di notte, sul tram e a scuola di nascosto. Un giorno mi
disse “Toglietemi tutto. Sono anche disposto a vivere sotto i ponti, ma non
toglietemi i libri..”.
A scuola, se qualcuno chiedeva: “Che sta facendo Turigliatto?”,
la risposta era “Ma sta leggendo naturalmente! “Che sta facendo Franco?” Ma sta
leggendo, naturalmente!
Non ho mai conosciuto un lettore accanito come lui, come non
ho mai conosciuto uno che avesse letto tutto Proust. Parlavamo di Proust, perché
stavo leggendo il primo libro della Ricerca, e lui parlava e raccontava del
primo libro, del secondo, del terzo, del quarto, del quinto, del sesto. Non
solo non conosco nessuno che abbia letto tutto Proust, ma nessuno che ne
parlasse con tanto entusiasmo. Ma anche Dostoevskij,
Kafka, Voltaire, Balzac. S’impadroniva di un libro e lo divorava. Era una cosa
impressionante! Nella sua testa viveva tutta la letteratura occidentale: una
marea di personaggi, di vicende, di amori e di follie. Quella sua testa doveva
essere organizzata con i famosi ottagoni descritti Borges ne La Biblioteca di
Babilonia. Come fosse possibile ce lo spiega lo stesso Borges, quando ci informa
che tutta la Biblioteca
avrebbe potuto abitare in quel solo volume fatto di infinite pagine, infinitamente sottili, di cui parla Bonaventura Cavalieri, il padre degli
indivisibili.
A scuola non parlò mai dei suoi interessi politici, che, però, dovevano essere ben presenti dentro di lui, visto che scelse come università la
neonata facoltà di Scienze Politiche. Mi raccontarono che ne era entusiasta e
che, dato il numero minimo degli scritti (pare che il suo corso fosse
frequentato da sei, sette persone) le lezioni avvenivano attorno a un tavolo
dove allievi e professore, proposto un argomento, lo approfondivano battendo i
pugni sul tavolo ed entrando fra loro in furibonda rotta di collisione.
Da allora i miei contatti con lui sono stati indiretti e me
lo sono ritrovato in Parlamento. Seppi che era stato tra i fondatori di
Rifondazione da cui venne poi espulso quando aiutò il Governo Prodi a finire la
sua avventura.
In pace con se stesso e coi suoi operai, che ha difeso per
tutta la vita a tempo pieno, non esitatando a far cadere
Prodi anche se mancavano poche settimane all'acquisire il diritto di pensione come
parlamentare. Immagino sempre con la massima serenità, pur di essere in pace con
la sua coscienza.
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