Pensatori
citati
Wittgenstein, Russell,
Bernays, Peano, Kroneker, Ramsey
Testi Citati
Tractatus, Ricerche
filosofiche, Osservazioni sopra i fondamenti
della matematica, Grammatica
filosofica, Principia Matematica
Concetti trattati
Linguaggio, Linguaggi, Giochi linguistici, Riduzionismo, Principio
d’estensionalità
Dopo il Tractatus. Brevi considerazione sulla
nuova concezione del linguaggio e sul problema del riduzionismo in Wittgenstein.
Quando W. Abbandona la concezione del Tractatus per passare a quella conosciuta come giochi linguistici penso che compia un errore. Prima aveva
equivocato sul rapporto fra rappresentazione analogica e linguaggio informativo
e ora confonde rappresentazione e linguaggio anche se in maniera diversa.
W. parla di giochi linguistici
e dagli esempi che propone (ad esempio quello del muratore fra aiutante e
muratore) tratta le parole non come segni linguistici, segni del linguaggio
ma come entità semiotiche di un sistema informativo. Ma un sistema informativo
non un linguaggio!
Si possono usare le parole in tanti modi. Da bambini si
gioca a nascondino e si deve toccare una zona gridando “Libero!”. Il guidatore
svolta, se vede il cartello di divieto, e farebbe lo stesso se leggesse la
parola “Divieto”. Il muratore al posto delle frasi dice delle parole e ognuna
di quelle parole ha significati aggiuntivi; se dice “cazzuola!” può intendere
“Porgimi la cazzuola”, se dice “martello!”, può intendere sia “Dammi il
martello!” sia “Attenzione al martello!”.
Una posizione dettata dal fatto che Wittgenstein non accetta
più neppure come sensata una filosofia del linguaggio, perché rifiuta l’idea
che esista il linguaggio.
Una posizione che molti non possono condividere e che anch’io non condivido. La
peculiarità del linguaggio rispetto ai vari sistemi informativi è proprio la
possibilità di citarsi e di descriversi. Il linguaggio del disegno tecnico non
è in grado di farlo, neppure quello dei segnali stradali, neppure quello del
gioco linguistico del muratore, perché, anche se usano le parole del
linguaggio, non sono linguaggi ma sistemi organizzati di informazioni, sistemi
di segnali, codici parlanti, ecc.
Alla base del pensiero di Wittgenstein sta il suo estremo
antiriduzionismo ben presente oltre che nelle Ricerche filosofiche, nelle Osservazioni
sopra i fondamenti della matematica e nella Grammatica filosofica.
Un atteggiamento antiriduzionista anima questi scritti e non
solo in relazione al riduzionismo matematico. L’antiriduzionismo si manifesta
in maniera così radicale da indurre Bernays a bollarlo come un irrazionale
atteggiamento distruttivo, condotto senza alcun chiaro fine, verso il pensiero
speculativo.
Le Osservazioni
non hanno un impianto unitario; sono successioni di pensieri, esempi,
impressioni, appunti scritti, in periodi diversi, forse in preparazione di un
saggio che poi non fu mai scritto. Un filo conduttore però c'è. Wittgenstein si
esprime sia contro il formalismo, sia contro il logicismo e in genere contro
ogni pretesa di dare un fondamento, un impianto unitario alla matematica. Anche
se talvolta il suo discorso ricalca il pensiero finitista o intuizionista,
Wittgenstein è in effetti lontano da ogni teorizzazione. Sembra quasi che la
sua profonda avversione per ogni dottrina, per ogni teoria che sarebbe, in ogni
caso, "una" (sola) teoria sul "mondo" (tutto) lo metta in
guardia dall'esprimere una sua teoria. Il suo atteggiamento filosofico è
ossessivamente avverso a ogni tentativo che, in qualche modo, cerchi di
unificare concettualmente tutto ciò che va sotto il nome di "Matematica".
Tutto il trattato è un ossessionante esposizione di esempi a confutazione del
principio di estensionalità: per Wittgenstein il pensiero secondo il quale
concetti con ugual estensione sono interscambiabili, è la malattia della
filosofia.
Se i Principia di
Russell rappresentano, in matematica, l'estremo riduzionismo (dove il
riduzionismo avviene dalla matematica alla logica), gli sparsi pensieri di
Wittgenstein. rappresentano l'antiriduzionismo teorico estremo, che si
manifesta come opposizione a ogni unità di significato della matematica e
quindi a ogni tipo di fondazione della stessa matematica.
Così il numero 60 non
è lo stesso che il numero 6x10 (la pratica della vita lo testimonia: si può
essere capaci di fare sei mucchietti da dieci o dieci da sei senza saper
contare fino a 60), la retta popolata da numeri non rappresenta la potenza del
continuo, il calcolo letterale è irriducibile a quello numerico, il calcolo
nella notazione decimale è altra cosa rispetto a quello eseguito con
bastoncini. I numeri del pallottoliere non sono quelli definiti dal logicismo.
Tutto ciò non viene
argomentato, ma viene illustrato da esempi che fungono da esemplari. Per
Wittgenstein tutto il riduzionismo si basa sulla perdita d'identità, sul
camuffamento: "Se li avvolgiamo in una quantità sufficiente di carta,
tavoli, sedie, sbarre, alla fine, ci sembrano sfere" (2.52)
Secondo le
Osservazioni un numero irrazionale è la legge che lo genera. In casi come
questi sembra che, per Wittgenstein, il carattere definitorio sia di tipo
genetico, ma qui il “genetico” non è né sistematico né definitorio e pare più
l'occasione per divaricare identità e negare possibilità d'estensione.
Paradossalmente qui si potrebbe sostenere che, se una stessa p può essere
dimostrata con due o più metodi, quelle p non possono condividere pienamente il
senso.
Wittgenstein non da
alcun peso al fatto che con i “numeri” della logica si riesca a pervenire agli
stessi teoremi a cui si perviene con i “numeri” della matematica. Per lui i due
tipi di numeri non sono gli stessi numeri. Fare calcoli con numeri grandi
diventa impossibile se si usano i numeri intesi come classi di classi ed è
inutile dire che in teoria sarebbe possibile; anche misurare la distanza dalla
terra alla luna con un righello è possibile in teoria, ma in effetti non si può
fare. Possiamo assimilare fra loro numeri diversi, ma solo al prezzo
camuffarli, di perdere qualcosa (ad esempio, la semplicità di certe operazioni,
la loro coordinazione nelle varie notazioni posizionali), di ridurli a maschere
impotenti e goffe. Il formalismo logico, lungi dal fondarli, li appesantisce e
li traveste.
Al più Wittgenstein sarebbe disposto ad ammettere che i
numeri dei Principia sono cose che,
all'interno dei Principia e del suo
orizzonte teorico, si comportano più o meno come gli altri tipi di numeri
all'interno dei rispettivi orizzonti teorici, ma, in ogni caso, quei numeri non
sono quegli altri numeri: i numeri dei Principia,
non sono quelli di Peano, non sono quelli dell'abaco e neppure quelli di Kroneker
.
La novità della posizione di Wittgenstein non fu tanto nel
fatto di rifiutare questo o quel riduzionismo, ma di rifiutarne l'idea come
abito mentale. Ma ha senso una posizione così radicale?
Anche qui è una questione funzionale e la riduzione è una
teoria che ci da informazioni.
Se ogni riduzione fosse insensata non funzionerebbe nulla
nel nostro comprenderci e nel nostro comunicare. Riconoscere che il nostro
comunicare non è una completa babele, significa accettare una certa possibilità
di operare riduzioni.
Il Wittgenstein delle Ricerche
non pare, inoltre, superare la caratterizzazione concettuale come operazione di
predicati e alla fine conclude (vedi l'esempio dei giochi) che si riesce a
concettualizzare ben poco e che è meglio abbandonare tutti questi inutili
sforzi e parlare, ad esempio, di somiglianze di famiglia. Lo stesso concetto di
"concetto"- e questo è un tema ricorrente in Wittgenstein - riunisce
troppe cose diverse che non hanno alcuna nota comune, ma solo somiglianze di famiglia.
Quando però analizza la frase “Questo è rosso” asserendo,
contro l’empirismo logico, che l’enunciato va bel al di là della semplice
registrazione di un dato osservativo, perché presuppone la conoscenza di
un bel po’ di linguaggio, dà a-l linguaggio una valenza tale da
escludere di poter parlare genericamente di giochi linguistici e non di il
linguaggio.
Ancora un’osservazioni riguardanti
possibili influenze sul pensiero di Wittgenstein di F.P. Ramsey l’unico
pensatore, citato nella prefazione alle Ricerche,
verso il cui pensiero Wittgenstein riconosce debiti filosofici.
In un suo scritto postumo sulle teorie, Ramsey discute
l’importanza delle definizioni esplicite e conclude che le teorie, per essere operative e per poter crescere e adeguarsi a
nuove scoperte non devono essere scritte mediante definizioni esplicite delle
grandezze teoriche. Una conclusione che è per lo meno parente
dell’indefinibilità del concetto così come presentata da Wittgenstein.
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